Le bugie sulla tassa sulle transazioni finanziarie

www.paneacqua.eu
23 maggio 2012

Come in tutte le questioni che toccano i cosiddetti “poteri forti”, in questo caso la finanza internazionale, c’è sempre qualcuno che rema contro e cerca di denigrare uno strumento che ha tutte le potenzialità per contrastare la speculazione finanziaria e reperire fondi per destinarli allo sviluppo, alla lotta contro la povertà e i cambiamenti climatici

Dal momento in cui l’economista James Tobin lanciò l’idea nel 1972, non siamo mai stati più vicini alla realizzazione di una Tassa sulle Transazioni Finanziarie (TTF). Ma proprio ora c’è il rischio concreto che si realizzi una tassa con il suo nome, ma che mantenga solo alcune delle caratteristiche che la renderebbero uno strumento reale per l’equità e lo sviluppo sostenibile. Il dibattito intono alla TTF è piuttosto complesso. Purtroppo sono entrate in campo variabili, proposte e dichiarazioni che rischiano di far confondere i cittadini europei e di fuorviare gli stessi politici. Come in tutte le questioni che toccano i cosiddetti “poteri forti”, in questo caso la finanza internazionale, c’è sempre qualcuno che rema contro e cerca di denigrare uno strumento che ha tutte le potenzialità per contrastare la speculazione finanziaria e reperire fondi per destinarli allo sviluppo, alla lotta contro la povertà e i cambiamenti climatici.

Con l’avvicinarsi della prospettiva europea di introduzione della Tobin Tax aumentano gli studi allarmistici sugli effetti di tale tassa sulla crescita economica e sui contribuenti.

Le falsità rischiano di vanificare tutto. Ecco allora, le giuste risposte alle principali critiche sintetizzate in un documento a cura della Campagna ZeroZeroCinque. Il documento riprende il lavoro svolto in sinergia con le campagne internazionali contenuto nel documento Financial Transaction Tax: Myth Busting la cui redazione è stata curata dall’organizzazione Stamp Out Poverty.

Falso Mito 1: La TTF per funzionare deve essere applicata in tutto il mondo

Questo è semplicemente falso. L’esperienza delle TTF applicate nel mondo dimostra, nei fatti, che invece questo tipo di tassazione è applicata con successo anche in via unilaterale. “Diverse forme di TTF sono state introdotte in diversi luoghi in maniera permanente o temporanea negli ultimi decenni in oltre 40 paesi” (Beitler, 2010). Un buon esempio è la Stamp Duty applicata in Gran Bretagna sulle azioni, che raccoglie ogni anno 5 miliardi senza alcuna significativa perdita per settore della finanza sulla piazza britannica. Molti paesi, inclusa la Corea del Sud, il Sud Africa, l’India, Hong Kong, la Gran Bretagna, il Brasile raccolgono risorse cospicue dalle forme di tassazione del settore finanziario in vigore nei loro stati.

Il Brasile, ad esempio, attualmente tassa le transazioni di vari beni con diverse aliquote raccogliendo un gettito che nel 2010 è stato pari a 15 miliardi di dollari (Ministero delle Finanze del Brasile, 2011). Il successo di queste TTF già esistenti, dimostra che la tassa non ha bisogno di essere applicata a livello mondiale per poter funzionare. La teoria secondo cui una TTF non applicata a livello globale genererebbe la delocalizzazione delle istituzioni finanziarie su altre piazza di affari che non applicano questa tassa, è anch’essa errata. Il Fondo Monetario Internazionale conferma infatti che la TTF non comporta un’automatica e significativa delocalizzazione del mercato finanziario di un dato paese che applica la tassa verso altri che non la applicano (FMI, 2011).

Il segreto che si cela dietro ad ogni TTF di successo, dipende dal modello con cui la tassa è stata disegnata.

Falso Mito 2: La TTF può essere facilmente evasa o elusa

In realtà, l’evasione del pagamento può essere facilmente minimizzato da un accurato disegno della tassa, in modo da trasformare un’attività molto remunerativa e a basso rischio in una ad alto rischio e con profitti minori. In altre parole, stabilendo una percentuale di tasso molto bassa per la TTF e dei costi alti per gli elusori, la possibilità di evasione è significativamente ridotta. Una buona progettazione della tassa per quel che riguarda la base imponibile (ovvero quali strumenti finanziari tassare e quali no) è un punto decisivo per una buona riuscita nell’implementazione. Utilizzando entrambi i seguenti principi nel designare la tassa si può contribuire a minimizzare l’evasione, ad esempio rendendo il luogo geografico dove avviene la transazione irrilevante e quindi prevenendo i rischi di trasferimento delle attività finanziarie come sistema per evitarne il pagamento.

Il principio di residenza, come nella proposta della Commissione Europea (2011)

In base a questo principio, i soggetti tenuti al pagamento della TTF sono identificati in base alla residenza fiscale dell’istituzione finanziaria o dell’operatore di borsa, ovvero nel Paese in cui questi sono contribuenti. Di conseguenza, l’assoggettamento alla tassa dipende da chi è coinvolto nella transazione e non dal luogo geografico in cui avviene l’operazione. Per esempio, nel caso in cui uno stato Europeo come la Francia implementi una TTF, qualsiasi impresa o individuo con residenza fiscale o meno in Francia sarebbe soggetta al pagamento della tassa in qualsiasi parte del mondo avvenga l’operazione finanziaria.

Il principio dell’imposta di bollo

Secondo questo principio, quando un bene viene commerciato non si registra alcun passaggio di proprietà a livello legale fino al momento in cui la TTF non viene pagata all’autorità competente.

Quindi una transazione finanziaria non tassata (o non bollata) non può essere fatta valere da un punto di vista legale. La non-validità giuridica del contratto di compra-vendita è una conseguenza del mancato pagamento della tassa, in quanto il compratore che non riceve alcun diritto legale sul bene acquistato non può nemmeno godere dei vantaggi che questo comporta, come ad esempio i dividendi o la capacità di utilizzare o rivendere il bene.

“Gli strumenti finanziari che non sono tassati, e che quindi non sono impugnabili legalmente, non possono essere soggetti ad una compensazione centrale da parte di una stanza di compensazione. Questo fattore oggi riveste un’importanza cruciale e rappresenta una delle modalità in cui una TTF è molto più fattibile oggi che nel passato, anche sugli strumenti derivati. Gli strumenti che non hanno subito una compensazione centrale incorreranno in una richiesta di compensazione dell’adeguatezza patrimoniale il cui costo è notevolmente superiore a quello di una TTF” (Griffith-Jones and Persuad, 2012, p. 9).

Queste possibilità sarebbero troppo rischiose per gli investitori, e quindi l’incentivo ad eludere la TTF è fortemente ridotto.

Infine, gli oppositori della tassa stanno applicando alla TTF degli standard di riferimento molto più alti rispetto a qualsiasi altra tassa. Tutte le tasse sono soggette ad evasione in una certa percentuale. Ottenere il 100% dei contributi è impossibile, basti pensare all’esempio dell’imposta sui redditi negli Stati Uniti, una delle fonti di reddito principali per il governo americano. Un recente studio dell’IRS ha dimostrato che gli evasori di questa tassa corrispondono a circa al 19% dei contribuenti, pari a 345 miliardi di dollari solo per l’anno fiscale in corso. Comunque, il guadagno dall’imposta sui redditi di quell’anno è stato pari a 2.000 miliardi di dollari. Sebbene circa un quinto della tassa sia stato evaso, nessuno oserebbe comunque contestare la validità della tassa e la sua importanza in termini di gettito.

Quando prendiamo in considerazione una misura di tassazione, l’obiettivo deve essere di disegnarla in modo tale da minimizzare l’evasione e l’elusione, come si propongono i principi elencati qui sopra. È onesto ammettere però che l’elusione e l’evasione non possono mai essere evitate del tutto.

Falso Mito 3: I comuni cittadini pagheranno il costo di questa tassa

Non è vero. La TTF sarà pagata, in prima battuta e soprattutto, dai principali venditori e acquirenti degli strumenti finanziari. In realtà l’85% degli scambi che saranno soggetti alla tassa sono operati da banche e altre istituzioni finanziarie, come fondi di investimento i cui clienti sono solitamente persone con redditi alti. I cittadini, in larga parte, non operano transazioni su beni come obbligazioni e derivati. Il FMI ha realizzato uno studio per capire chi in ultima istanza andrebbe a pagare la tassa e ne ha concluso che la tassa sarebbe piuttosto progressiva (FMI, 2011, p.35). Questo significa che la tassa ricadrebbe sulle stesse istituzioni e individui che verrebbero colpiti da una tassa sui profitti. Si tratta quindi di una tassa completamente diversa dall’IVA che colpisce in misura maggiore le persone più povere.

Altro aspetto ancora più importante da tenere in considerazione: sono le società d’affari piuttosto che i singoli individui a pagare il prezzo più alto. Sono infatti le prime a fare continui scambi mentre il comportamento del singolo è di solito legato all’acquisto di un bene come investimento. Maggiore è la frequenza con cui si effettuano le transazioni, maggiore è il costo della tassa da sostenere. In particolare, quindi, la TTF avrà un impatto sull’High Frequency Trading (HTF), che da molti economisti viene visto come un buon risultato in quanto l’HFT è dannoso e comporta dei rischi pertanto deve essere regolato e fortemente limitato.

Potrebbero le istituzioni finanziarie, e soprattutto le banche, scaricare indirettamente i costi della TTF sui propri clienti aumentando le commissioni sui servizi bancari, come ad esempio i prelievi al bancomat, i prestiti, i mutui? Questo è molto improbabile. In primo luogo, i legislatori possono regolare che questo non avvenga semplicemente proibendolo. In secondo luogo, il settore finanziario è fortemente competitivo, e questo rende altamente improbabile che le istituzioni facciano ricadere i costi sulla loro clientela in quanto questo provocherebbe una potenziale perdita di business che andrebbe a favore di chi questi costi non li fa pagare. Se infatti alcune banche ponessero delle commissioni più alte sul prelievo ai bancomat o sui mutui, mentre altre non lo fanno, questo porrebbe le prime in una posizione di svantaggio con la conseguenza di perdere alcune parti del loro mercato.

Questa critica è quindi più che altro un mantra volto a spaventare dicendo che le banche troveranno sempre il modo di scaricare i costi sui loro clienti, ma in realtà in un mercato competitivo non è detto che questo avvenga come invece ci vogliono far credere.

Falso Mito 4: I pensionati pagheranno

Non saranno i pensionati a dover sostenere il costo della tassa. Al contrario di altri investitori i fondi pensione (ovunque nel mondo) perseguono strategie di investimento di lungo periodo. L’ampia maggioranza del loro capitale è investito su orizzonti di lungo periodo, per cui una piccolissima tassa applicata in entrata ed in uscita dal mercato avrebbe un impatto del tutto insignificante rispetto ad altri costi e benefici.

La considerazione cruciale che deve essere fatta quando si parla dell’impatto della TTF è il periodo di proprietà dello strumento. Il costo della TTF è inversamente proporzionale alla durata dell’investimento. È molto alto per chi opera sul mercato in ottica a breve termine (comprando e vendendo un titolo ogni ora, ogni giorno dell’anno), è marginale per chi opera con scambio a medio termine (comprando e detenendo un’azione per un anno), e diventa assolutamente irrilevante per chi opera con investimenti a lungo termine (comprando e detenendo un’obbligazione per 10 anni fino alla sua naturale scadenza).

I fondi pensione cambiano il loro portafoglio soltanto una volta ogni 2 anni. Un operatore ad alta frequenza invece cambia il suo portafoglio ogni giorno e potrebbe quindi arrivare a pagare la tassa migliaia di volte in più rispetto alla media dei fondi pensione (Persaud, 2012).

Un’ulteriore importante distinzione deve essere spiegata. Ci sono principalmente due sistemi pensionistici: quelli finanziati dai trasferimenti pubblici e quelli finanziati da capitali di investimento pre-finanziati (appunto i fondi pensione). La TTF potrebbe soltanto avere un impatto sui secondi, in quanto le pensioni finanziate da trasferimenti pubblici non hanno alcun legame con il mercato finanziario e quindi non sono soggetti alla tassa. La modalità per trasferimenti pubblici è valida per ben oltre il 50% dei redditi dei pensionati in Europa (con l’eccezione di Olanda, Gran Bretagna e Finlandia). Viceversa, le pensioni finanziate da fondi pensione sono meno del 10% in 11 paesi dell’UE (Francia, Grecia, Belgio, Italia, Spagna, Portogallo, Ungheria, Austria, Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca), 15% in Germania e rappresentano una cospicua fonte di reddito (circa il 20%) per 6 paesi (Finlandia, Olanda, Gran Bretagna, Danimarca, Irlanda, Svezia). Non sorprende quindi che siano proprio i paesi afferenti a quest’ultima lista ad esprimere maggiori preoccupazioni su spinta delle rispettive lobby finanziarie.

Infine, riducendo il rischio sistematico associato all’High Frequency Trading, la TTF contribuirebbe alla stabilità del mercato finanziario, migliorando le prestazioni delle pensioni nel lungo periodo.

Falso Mito 5: La TTF ridurrebbe la crescita economica causando disoccupazione e danneggiando l’economia

Al contrario, la TTF incrementerebbe la crescita economica e creerebbe occupazione. Nella sola Gran Bretagna, una TTF così come proposta dalla CE genererebbe un gettito di 8.4 miliardi di sterline l’anno e aumenterebbe il PIL dello 0.25%, l’equivalente di 75.000 nuovi posti di lavoro (Persaud, 2012).

Inoltre, molti dei Paesi che attualmente hanno una TTF dimostrano tutti di avere una forte crescita: si veda ad esempio la Corea del Sud, Hong Kong, India, Brasile, Taiwan, Sud Africa e Svizzera. Infatti questi rappresentano le economie emergenti e in forte crescita.

La più grande minaccia ad una crescita di lungo periodo non è data dalla TTF, ma dalla finanza fuori controllo. Alla fine del 2009 la crisi è costata ai paesi del G20 6.2% del loro PIL -1.976 miliardi di dollari (FMI, 2010).

Critiche sono state sollevate contro la TTF decontestualizzando alcune cifre contenute nell’Impact Assessment pubblicato lo scorso anno dalla Commissione Europea in cui si citava una riduzione del PIL di 1.76%. Questa cifra si riferisce al peggior scenario possibile e non è da considerarsi come la cifra conclusiva. Si sostiene che se la TTF venisse implementata secondo il disegno della CE, l’impatto sul PIL provocherebbe una perdita nel lungo periodo dello 0.53% che rappresenta una minima somma se proiettata su base annuale. Eppure, i detrattori della proposta hanno utilizzato questa cifra del – 1.76% per prefigurare potenziali impatti del tutto errati, come la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro.

Persino la cifra che indica una potenziale perdita dello 0.53% è una sovrastima. C’è stato un recente aggiornamento del modello usato dalla Commissione preparato dagli stessi autori che hanno realizzato il primo rapporto (Lendvai e Raciborki 2011) in cui si cerca di contemplare in maniera più realistica il modo in cui l’investimento è finanziato e si conclude che l’impatto negativo della TTF sul PIL si riduce significativamente allo 0.2%.

Comunque le stime della Commissione si basano su un modello che pure nella sua versione rivista risulta incompleto. Questo perché l’Impact Assessment ha solo contabilizzato l’impatto negativo della TTF e nessuna delle sue implicazioni positive. Principalmente esclude di considerare come le risorse generate dalla TTF potrebbero essere investite in modo da provocare un impatto benefico sulla crescita, creando ad esempio posti di lavoro, sostenendo investimenti in infrastrutture e riducendo la povertà. È fortemente parziale guardare solo ai costi di una tassa e non quantificare alcun beneficio. Il Commissario alla Fiscalità Semeta ha riconosciuto che l’Impact Assessment è inaccurato su questo punto giustificando che fosse solo il primo tentativo di teorizzare gli impatti di una TTF sull’intera regione europea ed è quindi un lavoro in corso. La CE sta infatti realizzando altre analisi su questo tema.

Un recente studio di Griffith-Jones & Persaud (2012) esamina specificatamente gli impatti della TTF sulla diminuzione di probabilità di crisi economiche. Si conclude che l’introduzione della TTF comporterebbe un impatto positivo sul PIL, almeno di circa lo 0.25%. Questo impatto positivo potrebbe essere anche più alto se associato ad un uso intelligente e giusto delle risorse derivanti dalla TTF, che potrebbero sostenere l’occupazione ed riequilibrare l’economia verso una crescita equa e sostenibile.

Impiegare risorse umane in settori più produttivi

Remunerazioni estremamente alte nel settore finanziario attraggono alcuni dei più brillanti laureati, distogliendo quindi ottime risorse umane per l’industria, il commercio, la ricerca e l’innovazione. Se l’introduzione della TTF portasse all’abbassamento dei guadagni di coloro che sono impiegati nel settore finanziario, questo incoraggerebbe queste persone di forte talento a dirigersi verso altri settori come l’ingegneria e il settore manifatturiero, contribuendo ad un riequilibrio dell’economia verso una crescita più solida e di lungo periodo.

Una crescita più giusta

È provato (anche nell’Impact Assessment della CE) che la TTF sarebbe una tassa molto più progressista di altre. Pertanto se la TTF sostituisce (o riduce) un’altra tassa, cioè se è fiscalmente neutrale, questo comporterebbe che una più alta proporzione di redditi famigliari verrebbe consumata, in quanto i più poveri spendono una più ampia parte del loro reddito marginale di quanto non facciano i più ricchi. Se il gettito derivante dalla TTF permettesse a un paese di abbassare le proprie tasse sul reddito o l’IVA, la domanda aggregata aumenterebbe, così come la crescita; questo effetto avrebbe un particolare valore soprattutto nell’attuale contesto in cui la maggior parte degli economisti individuano nella mancanza di domanda aggregata il fattore che determina una crescita lenta o addirittura una recessione.

Falso Mito 6: La TTF provocherebbe tagli all’occupazione

No, come illustrato al punto precedente, la TTF potrebbe generare 75.000 nuovi posti di lavoro nella sola Gran Bretagna (Persaud, 2012). Le risorse generate se usate con intelligenza ed in maniera progressista, potrebbero essere investite per stimolare il mercato del lavoro e aumentare l’occupazione in settori specifici come ad esempio il manifatturiero. Questo contribuirebbe ad un riequilibrio dell’economia, che soprattutto in alcuni Paesi è diventata troppo dipendente dal settore finanziario. La TTF potrebbe provocare una leggera riduzione nel numero di persone che lavorano nel Trading ad alta frequenza ma questo sarebbe più che compensato da un incremento dei posti di lavoro in altre aree produttive, portando così ad un netto aumento dell’occupazione.

Falso Mito 7:La TTF sembra una bella idea, ma nessuno la prende seriamente in considerazione

A dire il vero la TTF ha guadagnato molto sostegno negli ultimi due anni. Persone di spicco l’hanno fortemente appoggiata. Non da ultimo si può ricordare il fondatore di Microsoft, il filantropista Bill Gates, che nel rapporto presentato al G20 lo scorso novembre2011 ha particolarmente raccomandato l’adozione di una TTF. Altri nomi importanti da ricordare sono: George Soros, Al Gore, Ban Ki Moon e Kofi Annan. Nel 2011 ben 1.000 economisti di fama mondiale, tra i quali i premi Nobel Joseph Stiglitz e Paul Krugman, l’hanno sostenuta così come 1.000 parlamentari in 30 paesi del mondo. Al Summit del G20 di novembre 2011, Argentina, Brasile, Francia, Germania e Sud Africa si sono espressi a favore.

Al momento vi è un’importante iniziativa a livello europeo. Una legislazione specifica sulla TTF è ora in discussione in seno all’Unione Europea, e 9 paesi membri stanno spingendo per un’accelerazione del processo: Francia, Germania, Spagna, Italia, Portogallo, Grecia, Austria, Belgio e Finlandia.

Falso Mito 8: La TTF ridurrebbe la liquidità dei mercati, aumenterebbe i costi del capitale, e comprometterebbe l’economia

Alcuni sostengono che una TTF dell’ampiezza prevista nel modello della CE, incrementando i costi delle transazioni e di conseguenza riducendo i volumi degli scambi, ridurrebbe la liquidità dei mercati e aumenterebbe il costo del capitale, provocando da ultimo un abbassamento degli investimenti ed un rallentamento della crescita economica senza infine generare molte risorse (Rogoff, 2011). Queste argomentazioni sono false.

La ragione più ovvia di scetticismo è che l’aumento nei costi di transazione derivanti dalla tassa li riporterebbe in realtà a quelli di 10 anni fa, quando i mercati erano solidi tanto quanto lo sono ora se non addirittura di più. Sicuramente non c’era problema di liquidità (Persaud, Marzo 2012).

Per quanto riguarda il costo dei capitali, se Rogoff avesse ragione nel dire che un piccolo incremento nel costo delle transazioni avrebbe un impatto significativo sul costo dei capitali, allora ci aspetteremmo un’ampia crescita nei guadagni durante gli ultimi decenni come risultato di un netto declino nei costi di transazione (dovuto ai progressi nella computerizzazione e alla deregolamentazione). Eppure i dati non sembrano sostenere questa tesi – la crescita sembra invece essere stata migliore durante i periodi con alti costi di transazione, anche prima del crollo (Baker, 2011).

Infine, come precedentemente detto, coloro che saranno più colpiti dalla TTF saranno coloro che operano nell’High Frequency Trading. Gli operatori dell’High Frequency Trading d’altro canto sostengono di fornire i mercati della liquidità necessaria ma questa affermazione trae in inganno. In periodi calmi, quando i mercati sono già liquidi, gli high frequency trader aiutano la liquidità. Ma in tempi di crisi, essi cercano di anticipare la tendenza, drenando liquidità proprio quando è più necessaria – come visto con il Flash Crash in New York a maggio 2010. Se la TTF limita l’high frequency trading può perfino migliorare la resilienza (ovvero la capacità di resistere a shock e oscillazioni improvvise) sistemica (Persaud, 2012). Secondo Kapoor (2010) è allora molto meglio avere volumi di transazioni minori ma che forniscono una liquidità più solida. Imporre una TTF aiuterà a rimuovere dal mercato le transazioni superflue che non servono a nessuno scopo per l’economia ed assicurerà invece che le transazioni che rimangono siano dettate da più fondamentali ragioni economiche.

Falso Mito 9: L’esperienza fallimentare della Svezia sulla TTF è la prova che la TTF non può funzionare

Gli oppositori della TTF spesso citano l’esperienza negativa della Svezia che tra il 1984 e il1991 ha applicato una TTF sulle azioni, per dimostrare che la TTF non può funzionare. Comunque, l’esistenza di esperienze di successo in molte altre nazioni che applicano la TTF, è la conferma che l’esperienza della Svezia è un’eccezione non la regola. È ormai ampiamente riconosciuto che il problema nel caso della Svezia era legato al modello specifico con cui era stata disegnata la tassa e non più in generale al concetto di tassazione delle transazioni finanziarie.

Un rapporto del Fondo Monetario Internazionale redatto per il G20 nel settembre2010, ha posto in evidenza due problemi.

1- La tassa sulle azioni veniva applicata solo agli scambi attraverso intermediari svedesi, rendendo quindi la tassa facilmente eludibile servendosi di intermediari non svedesi. Di conseguenza, molti degli scambi relativi al capitale azionario della Svezia si è spostato verso intermediari britannici. Al contrario, la Stamp Duty in Gran Bretagna si applica all’acquisto di azioni di aziende britanniche ovunque avvenga lo scambio nel mondo, in quanto il pagamento è connesso al trasferimento legale del titolo di proprietà e non può quindi essere evaso. La maggior parte degli investitori è disposto a pagare una modesta tassa pur di avere certezza della proprietà legale del bene.

2- La tassa così come era proposta e applicata dal 1989 al1990 hacomportato uno spostamento verso altri strumenti finanziari non soggetti alla tassa, dai prestiti alle imprese ai derivati quali gli swap.

La conclusione del FMI sul caso della Svezia non è stata quella di rigettare la TTF, quanto piuttosto di raccomandare una base di applicazione della tassa che possa essere la più onnicomprensiva possibile al fine di scoraggiarne l’evasione e di trarre vantaggio dagli appigli legali e amministrativi per assicurarne l’adempienza.

Falso Mito 10: La TTF è una tassa disegnata per alimentare le casse europee

Non è detto. La TTF così come le altre tasse sarà raccolta a livello nazionale. È quindi competenza di ogni paese decidere come spendere il gettito raccolto. Sia Francia che Germania, i paesi che ad oggi spingono maggiormente per l’introduzione della TTF, sono contrari all’uso del gettito per il budget UE.

La società civile, i sindacati e le ONG chiedono che le risorse generate da questa tassa siano destinate per priorità di politica interna in tema di protezione dei servizi pubblici e per onorare gli impegni internazionali di lotta alla povertà nel mondo e contrasto ai cambiamenti climatici.

C’è un precedente sull’uso cooperativo delle risorse generate da tasse nazionali volto a raggiungere risultati previamente concordati a beneficio di tutta la comunità. Si tratta della tassa aerea per i passeggerei che va a beneficio di UNITAID, un fondo che acquista trattamenti per combattere l’HIV/AIDS, la tubercolosi, la malaria. La tassa viene raccolta a livello nazionale, versata all’Organizzazione Mondiale della Sanità a Ginevra, e distribuita con efficacia a livello internazionale, principalmente a beneficio dei paesi in via di sviluppo. La TTF, raccolta in diversi paesi, potrebbe essere usata in maniera similare per finanziare ad esempio il Fondo Globale o in merito al clima finanziare il Fondo Verde per il Clima.

Falso Mito 11: Se la TTF fosse implementata, i politici destinerebbero le risorse per l’aiuto pubblico allo sviluppo né per contrastare i cambiamenti climatici.

Nell’attuale situazione economica assicurare che le risorse della TTF siano in parte destinate per impegni internazionali oltre che per priorità politiche interne è sicuramente una sfida. Comunque è importante evidenziare che grazie al lavoro della società civile, questa è un’opzione politica seriamente presa in considerazione. I sondaggi realizzati nel 2011 (YouGov e Eurobarometro) hanno dimostrato che la maggioranza degli Europei sono a favore di una tassa delle transazioni finanziarie e che c’è un sentire comune che il settore finanziario debba riparare ai danni causati dalla crisi economica. Per l’Italia i sondaggi riportano una percentuale a favore della TTF del 61%.

Le conseguenze della crisi finanziaria sono state molto serie in Europa ma anche peggiori nei paesi in via di sviluppo. La crisi ha provocato un buco di 65 miliardi di dollari nei budget dei paesi poveri e la Banca Mondiale stima che globalmente 64 milioni di persone sono ora costrette a vivere con meno di 1,25 $ al giorno. L’aiuto pubblico allo sviluppo ha registrato la più importante regressione degli ultimi 15 anni, le rimesse dei migranti si sono drasticamente ridotte, e i cambiamenti climatici stanno spingendo milioni di persone a rischio di fame e di restare senza casa. L’anno scorso il Fondo Globale per la lotta all’HIV/AIDS, la tubercolosi e la malaria, ha visto la sospensione dei propri fondi con conseguenze potenzialmente devastanti per le persone che per sopravvivere hanno bisogno di ricevere i trattamenti.

La TTF aiuterebbe a ridistribuire le risorse da coloro che hanno causato la crisi finanziaria a coloro che non hanno alcuna responsabilità diretta e che invece ne stanno soffrendo gli effetti in misura maggiore.

Le campagne internazionali chiedono quindi ai Governi di destinare una giusta percentuale del gettito della TTF per obiettivi internazionali volti a sostenere la lotta alla povertà nel mondo, lo sviluppo e le misure di contrasto ai cambiamenti climatici.

Falso Mito 12: L’IVA sui servizi finanziari o la Tassa sulle Attività Finanziarie (TAF) sono da preferire alla TTF…. No. La TTF è l’opzione più valida per una serie di ragioni.

In primis, contrariamente all’IVA o alla TAF, la TTF ridurrebbe il volume di attività economiche dannose che hanno provocato la crisi in prima battuta. Incrementando il costo delle transazioni sul mercato finanziario, la TTF scoraggerebbe l’high frequency trading e aiuterebbe a ridurre l’eccessiva volatilità e il rischio sistemico. Invece, le altre alternative sebbene in grado di generare un gettito, non avrebbero impatti diretti sui comportamenti di chi opera nei mercati finanziari e quindi non riuscirebbero a portare gli stessi benefici che la TTF porterebbe in termini di regolamentazione.

Seconda ragione: in termini di gettito la TTF ha la capacità di generare maggiori risorse rispetto alle altre alternative, soprattutto se il mercato dello scambio valutario viene incluso nella base imponibile. La CE stima un gettito dato dalla TTF (escludendo il mercato degli scambi tra le valute) di 57 miliardi di euro se applicata su scala europea (nei 27 stati membri) e di 300 miliardi di dollari se applicata in tutte i paesi sviluppati e con base imponibile allargata agli scambi valutari (Spratt e Ashford, 2011).

Terza ragione: rispetto alla TAF, la TTF risulta migliore in quanto è estremamente difficile evaderla dal momento che tuttora stabilita la si raccoglie automaticamente. La TAF, essendo un’ulteriore tassa sul reddito, è soggetta invece a possibili manovre elusive attraverso il ricorso a specifiche strategie come ad esempio il trasferimento di fondi offshore. Si tratta di strategie normalmente usate da ricche imprese per ridurre l’ammontare di tasse da pagare.

La quarta ragione è politica. La TTF è l’opzione al momento appoggiata da paesi come la Germania e la Francia oltre che dalla Commissione Europea. Ci sono differenti modi per tassare il settore finanziario, nessuno è di per sé perfetto, ed un consenso (almeno a livello di 27 stati membri) è improbabile che venga raggiunto. È quindi importante evitare di rendere la perfezione nemica del bene. Se gli stati vogliono che il settore finanziario contribuisca ai costi dell’attuale crisi che ha provocato, è determinante scegliere un’opzione e perseguirla fino alla sua implementazione. Il fatto che la TTF goda di un certo supporto è decisivo in quanto nessun’altra opzione per il settore finanziario, inclusa l’IVA e la TAF, godrebbe di consenso. È importante quindi concentrarsi sulla TTF che è l’opzione più valida sia in termini di gettito generabile sia per gli effetti regolatori, e non farsi distrarre da altre alternative con il rischio di cadere in sterili dibattiti senza fine. I detrattori della TTF usano proprio questa tattica per rallentare il processo, ed in ultima istanza, per bloccarlo definitivamente. In questo scenario sarebbero le banche e gli hedge funds i veri vincitori, mentre a perdere sarebbero tutti coloro che beneficerebbero da una maggiore stabilità economica grazie alla TTF e coloro che avrebbero maggiormente bisogno delle risorse generate dalla TTF che potrebbero salvare posti di lavoro nei paesi sviluppati e salvare vite nei paesi in via di sviluppo.

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Riferimenti per approfondire:

Baker, D. (2011). Ken Rogoff Misses the Boat on Financial Speculation Taxes. Center for Economic and Policy Research (CEPR).
Beitler, D. (2010). Raising Revenue: a Review of Financial Transaction Taxes throughout the World. http://www.stampoutpoverty.org/?lid=11289
Darvas, Z. and von Weizsacker, J. (2010). Financial Transaction Tax: Small is Beautiful. http://econ.core.hu/file/download/mtdp/MTDP1019.pdf
European Commission (2011). Proposal for a Council Directive on a common system of financial transaction tax and amending Directive 2008/7/EC. http://www.finanze.it/export/download/consultazioni/com2011_0594it01.pdf
European Commission (2011). Impact Assessment Accompanying the document ‘Proposal for a Council Directive on a common system of financial transaction tax and amending Directive 2008/7/EC’ http://ec.europa.eu/taxation_customs/taxation/other_taxes/financial_sector/index_en.htm
GriffithJones, S. and Persaud, A. (2012). Financial Transaction Taxes. http://www.stephanygj.net/papers/FTT.pdf
Habbard, P. (2010). The Parameters of a Financial Transaction Tax and the OECD Global Public Good Resource Gap, 2012—2020. Trade Union Advisory Committee (TUAC).
IMF 2010 Financial Sector Taxation – The IMF’s report to the G20 and Background Materials http://www.imf.org/external/np/seminars/eng/2010/paris/pdf/090110.pdf
IMF (2011) Taxing Financial Transactions: Issues and Evidence. IMF Working Paper. http://www.imf.org/external/pubs/ft/wp/2011/wp1154.pdf
Kapoor, S. (2010). Bank Levy and Financial Transaction Tax. A Re-Define Policy brief.
Matheson, T. (2011). Taxing Financial Transactions: Issues And Evidence. IMF Working Paper. http://www.stampoutpoverty.org/?lid=11384
Persaud, A. (2012). The Economic Consequences of the EU Proposal for a Financial Transaction Tax. http://www.stampoutpoverty.org/?lid=11536
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