Stranieri in patria

Il 15 maggio 2012, una delegazione di giovani rom, nati in Italia ma cittadini stranieri, ha incontrato il presidente della commissione diritti umani del Senato, Pietro Marcenaro, e gli ha consegnato un appello per il capo dello Stato, Giorgio Napolitano. E’ stato stimato che ci sono in Italia almeno 14 mila ragazzi di origine rom che, nati da genitori apolidi o residenti irregolarmente nel nostro Paese, si sentono parte integrante della società, pur essendo nei fatti degli “estranei”. Ecco, qui di seguito, il testo integrale della lettera:

Caro Presidente.
Siamo in tanti, ragazzi e ragazze del popolo Rom nati in Italia, di seconda, a volte anche di terza generazione, da genitori apolidi o residenti irregolarmente nel nostro Paese. Ci rivolgiamo a Lei perché ancora una volta abbiamo apprezzato le parole chiare che ha inteso indirizzare al Sindaco di Nichelino, che ha avuto la sensibilità di concedere la cittadinanza onoraria a 450 ragazzi nati da genitori stranieri in quel territorio.

Siamo italiani, ma stranieri. Ci sentiamo “parte integrante della nostra società”, ma viviamo quotidianamente il disagio di essere considerati impropriamente stranieri. Disagio doppio e particolarmente pesante per noi ragazze e ragazzi Rom. Non è assolutamente facile, ci creda, per tanti di noi regolarizzare posizioni giuridiche, ottenere un permesso di soggiorno, fare richiesta di cittadinanza, perché veniamo da famiglie che vivono da sempre situazioni precarie, per la difficoltà di reperire la necessaria documentazione, in particolare per quelli di noi i cui genitori e nonni sono nati e provengono da luoghi che hanno vissuto recenti e drammatiche vicende belliche.

Eppure abbiamo frequentato le scuole. Una situazione difficile, quella che viviamo, di “stranieri in patria”. Che rende precaria la nostra vita e non agevola l’integrazione sociale e l’accesso al lavoro, nonostante molti di noi abbiano frequentato le scuole e, soprattutto, vorrebbero inserirsi regolarmente e legalmente nella comunità civile. In tanti abbiamo vissuto la violenza degli sgomberi dei campi e l’umiliazione della reclusione nei CIE, i Centri di identificazione per l’espatrio. Ed in tanti viviamo in case popolari o case proprie o ancora piccole aree autocostruite. Ma espatrio verso dove, se è l’Italia la nostra patria? Ci creda, sono esperienze dure e drammatiche, che spingono, purtroppo, tanti giovani verso la marginalità, l’illegalità ed il rifiuto delle regole civili. Che ricacciano le nostre comunità verso l’esclusione sociale ed una inaccettabile discriminazione.

Le risposte da un Governo che guarda all’Europa. Dal Governo Monti, signor Presidente, governo che guarda all’Europa ed ai suoi valori fondanti di accoglienza, di solidarietà e di inclusione sociale, ci aspettavamo finalmente un provvedimento che ponesse fine a questa ingiustizia. Abbiamo anche apprezzato le aperture del Ministro Riccardi, espressione della Comunità di Sant’Egidio, i cui volontari frequentano i campi e conoscono bene le nostre difficoltà. Ma ancora una volta dobbiamo prendere atto che nulla è successo.
Speriamo nella sua lungimiranza. Non possiamo che appellarci a Lei, affinché con la determinazione e la lungimiranza che tutti le riconoscono intervenga su Governo e Parlamento per porre fine ad una discriminazione che produce solo tensioni e disagi, che è palese ingiustizia, che tradisce i valori della Carta Costituzionale. Siamo, ci sentiamo, vogliamo essere riconosciuti cittadini italiani.

Confidando in Lei, le porgiamo i più distinti e cordiali saluti.

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Italia, centinaia di cittadini europei rinchiusi nel Cie di Roma

www.eilmensile.it, 23 maggio 2012

Anomala la presenza di centinaia di cittadini europei di nazionalità rumena nel Centro di Identificazione e di Espulsione (Cie) di Ponte Galeria, alle porte di Roma. La denuncia, contenuta nel rapporto “Una storia sbagliata”, arriva dalla Ong Medici per i Diritti Umani in seguito alla visita condotta nella struttura il 22 febbraio scorso. Infatti, secondo l’organizzazione umanitaria “è da considerarsi degno d’attenzione il dato secondo il quale la prima nazionalità rappresentata nel centro sia quella rumena, quindi di cittadini appartenenti all’Unione Europea e in quanto tali titolari di libertà di circolazione, soggiorno e stabilimento nel territorio europeo”. La legislazione Europea, difatti, esclude l’espulsione dei cittadini comunitari se non nel caso di minaccia grave e reale per la società. “Trattandosi di ipotesi eccezionali e circoscritte – continua il rapporto – un numero così alto di trattenimenti di cittadini rumeni suscita dubbi circa possibili abusi dello strumento normativo.

Altro dato preoccupante è l’altissima presenza nel Cie di donne vittime dello sfruttamento a scopi sessuali (circa l’80 percento). Tra loro, pochissime denunciano la propria condizione potendo, così, usufruire del permesso di soggiorno per protezione sociale. Secondo il rapporto “ciò si verifica anche a causa dei condizionamenti ambientali all’interno del centro ove spesso le vittime si trovano a subire una situazione di convivenza e di controllo da parte di persone responsabili o coinvolte nel loro sfruttamento. Le stesse operatrici sono state inoltre testimoni di casi di donne che dopo aver denunciato la propria condizione di sfruttamento presso commissariati e stazioni di pubblica sicurezza sono state successivamente tradotte nel Cie”.

Infine, l’Ong Medici per i Diritti Umani conclude il rapporto sottolineando le inefficienze del Cie, il cui scopo sarebbe quello di identificare e rimpatriare i migranti. Infatti, nonostante i tempi del trattenimento siano di massimo sei mesi, nel Settembre 2010 il 56 percento dei detenuti era rinchiuso all’interno del centro da più di nove. Questo dato rappresenta secondo l’Ong “non solo un peggioramento delle condizioni di vita dei trattenuti ma anche un ulteriore vulnus ai loro diritti”.