Curia romana a rischio implosione di M.Vigli

Marcello Vigli
www.italialaica.it| 31.05.2012

Gli eventi che nelle ultime settimane hanno sconvolto la Curia romana costituiscono l’epilogo “annunciato” della sua mondanizzazione imposta da Giovanni Paolo II e che sembrò pienamente realizzata quando, nel giorno del suo funerale, tutti i grandi del mondo si ritrovarono sul sagrato di San Pietro.

Papa Wojtyla, nella fase di transizione aperta dal crollo dell’Unione sovietica, l’aveva coinvolta nel suo presenzialismo come soggetto politico a livello planetario riformandola nel 1988 con la Costituzione Apostolica Pastor bonus per accentuarne il carattere centralistico, già rafforzato da Paolo VI, con una concentrazione dei poteri nel Segretario di stato; una sorta di “primo ministro del papa”, nell’ambito di un’internazionalizzazione del personale di curia.

L’uno e l’altro avevano ignorato, anzi contraddetto, la richiesta di maggiore collegialità nella gestione governo della Chiesa universale che era emersa dal Concilio Vaticano II, depotenziando il Sinodo dei vescovi, che lo stesso Paolo VI aveva istituito nel 1965 con la Lettera apostolica-Motu proprio Apostolica sollicitudo.

Ridotto ad assemblea consultiva, convocato dal papa al quale compete fissarne l’ordine del giorno ed approvarne il documento conclusivo, il Sinodo non è diventato, come era nelle aspettative, lo strumento per correggere l’assolutismo papale sancito dal Concilio Vaticano I. Avrebbe, al tempo stesso, ridotto l’autoreferenzialità della Curia imponendole di perseguire l’interesse della Chiesa piuttosto che l’equilibrio fra i gruppi di potere costituiti al suo interno. Sopravvissuti a papa Wojtyla o formati dopo la sua morte, hanno creato quella “sporcizia nella chiesa” pubblicamente denunciata dal cardinale Ratzinger nel discorso pronunciato poche ore prima dell’elezione al pontificato.

Dopo essere diventato Benedetto XVI, si è scontrato con loro nel tentativo di fare pulizia. Valga per tutti il conflitto con i protettori della Congregazione dei Legionari di Cristo. Posta sotto inchiesta formale dal 2004 e commissariata due anni dopo, nel 2012 fa ancora parlare di sé per scandali al suo interno!

Alle rivalità e agli scontri fra Segreteria di Stato e conferenze episcopali, italiana e non, e fra singoli prelati preoccupati della loro carriera, si aggiungono, infatti, quelli fra i “movimenti” ecclesiali – dai Focolarini a Comunione e liberazione, dalla Comunità di Sant’Egidio all’Opus Dei – che, per la loro dimensione, hanno raggiunto posizioni di potere grazie alla nomina di loro membri nei Dicasteri della curia e nelle sedi diocesane più prestigiose.
In questo contesto la “promozione” di mons. Carlo Viganò responsabile del risanamento della gestione di appalti e forniture del Governatorato, il siluramento di Gotti Tedeschi responsabile del pur timido tentativo di rendere più trasparente l’attività dello Ior, le manovre intorno alla nomina di nuovi cardinali, che condizioneranno il prossimo conclave, le altre colpevoli inefficienze, documentate dal libro di Gianluigi Nuzzi e l’arresto del maggiordomo del papa, contribuiscono ad evidenziare una situazione ingovernabile.

Dal caso Cippico degli anni cinquanta al coinvolgimento di Marcinkus nell’affare Calvi, la Santa Sede ha vissuto molte altre situazioni imbarazzanti da fronteggiare, ma si era contrapposta come soggetto unitario a quelli che venivano denunciati come “attacchi” esterni volti a denigrare l’immagine della Chiesa profittando delle colpe di alcuni individui. Perfino sulla strage fra le Guardie svizzere e sul caso Orlandi erano riusciti a contenere lo scandalo.

Oggi proprio il riemergere del caso Orlandi sta ad indicare che c’è qualcosa di nuovo.

La Curia rischia di implodere con gravi conseguenze per tutta la Chiesa.

È pur vero che altra è la realtà della comunità ecclesiale in Italia e nel mondo. Tutti sono pronti a riconoscere che i curiali intriganti sono altra cosa da don Puglisi, ammazzato dalla mafia e don Martini, morto sotto i calcinacci per “salvare” una statua della madonna; anche fra i preti che “fanno politica” non si possono confondere Ciotti e Zanotelli con Ruini e Bagnasco.

Neppure appellandosi a questa chiesa di base il papa riuscirebbe, però, ad imprimere una svolta radicale per evitare danni irreparabili.

Una crisi delle istituzioni ha bisogno di un intervento istituzionale adeguato.

Forse rilanciando il Sinodo dei vescovi e dotandolo di poteri reali il papa può chiamare in campo un soggetto capace di restituirgli autorità pur se in una prospettiva collegiale che, però, papa Ratzinger, come i suoi predecessori, considera inconciliabile con la concezione del papato che si sente chiamato ad interpretare.

Una sua scelta in questa direzione non sarebbe di poco momento anche per chi, pur disinteressato alle vicende del cattolicesimo, non può ignorare quanto ha pesato sulla vita politica italiana l’interventismo di prelati ambiziosi e affaristi in questa fase di imperante berlusconismo.

Roma 31 maggio 2012