Fecondazione eterologa e costituzione italiana

Marco Comandè
www.italialaica.it| 25.05.2012

L’iter costituzionale

Sentenza pilatesca? La Corte Costituzionale si è riservata il diritto di non decidere, sulla legittimità del divieto di fecondazione eterologa, rinviando ai tribunali la potestà di decidere sulla legge 40. Stando alla ricostruzione dei giornali, i suddetti tribunali dovrebbero riformulare meglio l’interrogativo sull’incostituzionalità. Se, infatti, ci si riferisce al diritto europeo, allora le sentenze della Corte di Strasburgo hanno un loro peso. Ma se ci si riferisce alla legge italiana, allora bisogna spiegare meglio il contrasto tra legge 40 e gli articoli 3, 29, 30, 31 e 32 della Costituzione.

La giurisprudenza è un terreno ostico, in cui vige il detto “Fatta la legge, trovato l’inganno”. Per questo all’art. 3 sull’uguaglianza dei cittadini è aggiunto il secondo comma “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

In questo modo la Corte Costituzionale ha rafforzato il potere di sentenziare al di fuori dei codicilli e delle astuzie normative, calandosi nella realtà di fatto esistente nel Paese, senza tenere conto delle leggi e dei regolamenti giudiziari.

Forse non si coglie la portata di questo potere. In uno Stato di polizia, in cui tutti i cittadini possono essere perseguiti penalmente, le prove che l’accusa raccoglie non possono essere tenute in considerazione se la polizia non dimostra di aver seguito fedelmente l’iter previsto per legge. Non conta che il politico abbia intascato la mazzetta se scoperto a seguito di intercettazioni, se le intercettazioni sono state effettuate senza autorizzazione.

Invece la Corte Costituzionale ha il potere di valutare le situazioni di fatto esistenti. È per questo che gli orientamenti giurisprudenziali sono cambiati nel corso del tempo, per seguire l’evoluzione sociale del Paese. L’unico limite della Corte è quello di non poter fare leggi nuove, ma solo abrogare quelle esistenti.

Tuttavia anche questo ostacolo al potere giudiziario è arginato con una potestà legislativa “de facto”. Qualora una legge dia adito a un’interpretazione equivoca, senza dover essere necessariamente incostituzionale, allora il legislatore è tenuto ad aggiungere dei commi alla legge, in modo tale da escludere che quest’ultima possa essere interpretata nel modo sbagliato.

C’è un aspetto storico, conseguente a questo modo di sentenziare, che il comune cittadino ignora. Siccome gli argomenti che la Corte dovrebbe affrontare sono tantissimi, allora i supremi giudici hanno dettato un procedimento “in negativo”, come per il rullino di una macchina fotografica in cui le immagini sono rovesciate. Non conta che una legge sia incostituzionale, ma è necessario che tale fatto sia evidente nelle situazioni “de facto” emergenti. Detto in modo più banale: la legge viene ignorata fino a quando non colpisce nessun cittadino, ma quando tale individuo viene leso in un diritto a causa della legge e fa ricorso al tribunale, allora quest’ultimo chiede lumi alla Corte Costituzionale.

Tale è la procedura. Per questo la Corte, agendo in negativo, non si è espressa sulla fecondazione eterologa. Tocca ai tribunali modificare la richiesta, calandola nella situazione “de facto”.

Il problema dell’eterologa

Personalmente, di tutti gli articoli e le disposizioni della Costituzione italiana, ritengo che quella più evidente è relativa alla maternità. Perché di questo parliamo, no? Come si può ben dedurre dalla sentenza 27 del 1975 (quella che ha dichiarato l’incostituzionalità delle norme fasciste sul divieto di aborto), gli articoli della Costituzione fanno tutti riferimento a cittadini già nati, cioè individui che hanno acquisito la “capacità giuridica” con la nascita. Per le situazioni anteriori alla nascita, l’unico cittadino ad avere pieni poteri è la donna in gravidanza, non il feto.

Insisto: l’art. 30 Cost. parla di “figli nati fuori dal matrimonio”, su cui cade il diritto-dovere dei genitori di “mantenere, istruire ed educare”. Per avere qualche appiglio su cui basarsi nel giudicare i diritti dell’embrione, bisogna rifarsi al secondo comma dell’art. 31 Cost.: “[La Repubblica] Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo”.

La nozione di maternità, come ben evidente, è cambiata moltissimo in questi anni. Non stiamo più parlando di donne con il pancione, ma di embrioni concepiti fuori dal rapporto sessuale. Lo dico in un altro modo: quando inizia la maternità, a partire dalla quale emerge il dovere del legislatore? Fino a poco tempo fa, il linguaggio popolare era “Quando la donna rimane incinta”. Si badi bene: non quando “scopre” di essere incinta, perché la situazione de facto è la gravidanza e non la “coscienza” di essere gravide. Oggi invece è “Quando l’embrione si forma”, cioè quell’essere unico e irripetibile non ancora nato, ma che attende di essere impiantato nell’utero dell’individuo dotato di capacità giuridica (la donna).

Perciò se la donna acconsente all’impianto, allora la tutela della maternità si concretizza nell’atto dell’impianto stesso. Ma se la donna non acconsente e l’embrione esiste “de facto”?

Questa è la situazione nuova che è emersa. Per questo sono molto curioso di leggere la sentenza della Corte Costituzionale, se e quando sarà emessa. La mia interpretazione attiene alla progressività dei diritti.

Un individuo che compie 18 anni acquisisce “capacità d’agire”, cioè di compiere tutti gli atti giuridici ritenuti opportuni.

Prima dei 18 anni può agire solo in modo limitato, se dimostra di avere una maturità intellettiva allora può riconoscere un neonato come proprio figlio, può sposarsi, può dare il proprio consenso per sperimentare un farmaco di nuova produzione, ma non può in alcun modo firmare cambiali e contratti.

Con la nascita l’individuo acquisisce capacità giuridica

A tre mesi dal concepimento, il feto è tutelato dall’aborto tranne nel caso in cui emergano gravi rischi per la madre.

Prima dei tre mesi il feto è tutelato solo nella misura in cui la madre decide di proseguire la gravidanza.

Ma se l’embrione non è stato impiantato? Si crea una situazione di incertezza giuridica, a meno di non interpretare in modo estensivo la “maternità” tutelata dalla Costituzione, includendovi la tutela dell’embrione, il quale ha quindi un solo diritto, quello di essere concepito.

Ripeto: se l’embrione esiste e la madre naturale non acconsente all’impianto, allora come garantire il diritto dell’embrione a essere concepito? La mia risposta è: l’embrione ha diritto di essere concepito, non ha importanza che sia la madre naturale o la madre adottiva.

E allora, cosa significa l’art. 4 comma 3 della legge 40/2004: “È vietato il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo”?

Questo divieto è troppo generico, perché non permette di distinguere le situazioni “de facto” esistenti. Infatti il criterio del matrimonio non ha vietato il diritto all’adozione o alla tutela dei figli “illegittimi”. Allo stesso modo, anche l’embrione dovrebbe avere la speranza di essere concepito da una donna che è disposta ad accoglierlo in famiglia, senza che sia la madre naturale.

Il divieto di eterologa è troppo generico, non chiarisce il dettato costituzionale sulla tutela della maternità. Al contrario, dovrebbe essere il legislatore ad indicare precisamente in quali casi non è consentito il ricorso all’eterologa. A me vengono in mente alcune situazioni: se il donatore è sconosciuto, se la madre naturale non ha rinunciato al proprio diritto sull’embrione…