Primum vivere! Per una critica del totalitarismo sviluppista e liberista

Angelo d’Orsi
www.megachipdue.info

Il finanzcapitalismo continua a oscillare tra due poli di una falsa alternativa: rigore e crescita. Sempre all’interno di un modo di produzione che è devastazione dell’ambiente e dei beni comuni. E che ormai solo gli ideologi ostinati non vogliono ammettere essere in una crisi sistemica.

Una Giornata di riflessione (Torino, 26 maggio) dell’Associazione Movimento 2 Giugno, dal titolo “Aria Acqua Terra. Per una politica della sopravvivenza”, ha affrontato i temi fondamentali dell’inquinamento ambientale, della distruzione del nostro paesaggio, della devastazione idrogeologica, con l’ausilio di scienziati e persone competenti, ma anche di testimoni e di “vittime” e di militanti che hanno raccontato le loro battaglie di questi anni.

Contemporaneamente il deputato Pd torinese Stefano Esposito, uno dei rappresentanti più beceri (e squalificati) dell’estremismo “costruttivistico”, ossia distruggitore, non nuovo a inquietanti iniziative del genere, denunciava i 360 docenti del Politecnico e di altre prestigiose sedi universitarie e di ricerca, che hanno osato, cifre e dati alla mano, dimostrare, inoppugnabilmente, l’assurdità, da ogni punto di vista, del famigerato TAV in Val di Susa, inviando un appello al presidente Monti perché fermasse la macchina e invitasse gli esperti autentici a riesaminare il progetto; appello poi sottoscritto da numerosi altri, tra cui anche il sottoscritto. Non pago, lo stesso personaggino firmava la prefazione a un libercolo di smaccata propaganda, privo di qualsivoglia fondamento scientifico, presentato come la prova della necessità di quest’opera inutile sul piano della mobilità, dannosa su quello ambientale, assurda su quello dei costi attuali e ancor più di quelli prevedibili.

Il tema è stato inevitabilmente al centro della Giornata del Movimento 2 Giugno, nella quale si sono affrontati rischi e realtà di una sistematica devastazione del nostro Paese, per incuria delle istituzioni locali e centrali, per avidità della classe politica, per l’incompetenza o per la corruzione dei “tecnici”, per la connivenza dei media, e l’ignoranza di gran parte della pubblica opinione.
Eppure, non da oggi, dovremmo tutti riprenderci una politica non solo dal basso, ma che si occupi dei bisogni concreti: una politica terra terra, dirà qualcuno; ebbene sì, anche una politica aria aria, acqua acqua e così via. Una politica che ci ricordi che non c’è convivenza senza sopravvivenza.
Insomma, occorre riflettere che la politica, arte della convivenza, deve oggi innanzi tutto essere a scienza della sopravvivenza.

Aria Acqua Terra, appunto: il Movimento 2 Giugno, che lavora nella direzione di una riappropriazione della politica da parte dei cittadini, partecipata e informata, ha voluto focalizzare l’attenzione sulle questioni ambientali, intese nel senso più ampio possibile, comprendendo cioè anche quelle tematiche urbanistiche, relativa al consumo del suolo, agli scempi edilizi, alle manomissioni idrogeologiche, da anni neglette, o cancellate, invece che affiancate, dalle questioni connesse alle varie forme di inquinamento. Riappropriarsi la politica e darle un contenuto legato ai problemi di fondo della nostra quotidianità, dal come ci muoviamo all’interno degli spazi urbani o in quelli extraurbani, ai nostri rifiuti, da quel che respiriamo a quel che mangiamo.

Il capitalismo, divenuto turbocapitalismo, ipercapitalismo, ultracapitalismo, o, ricorrendo al libro di Luciano Gallino, Finanzcapitalismo, rivela oggi tutti i limiti della globalizzazione, certo un elemento positivo per taluni aspetti, ma più che globalizzazione di ricchezze, si è rivelata globalizzazione delle povertà, per dirla con Zygmunt Bauman; o meglio: si è rivelata tale per pochi, e il suo opposto per tanti. Nella cittadella assediata dei super ricchi, il finanzcapitalismo, che continua, sotto la parola magica, spauracchio e insieme specchietto, di “crisi”, a oscillare tra due corni di una falsa alternativa (rigore e crescita), due poli di un modo di produzione, che è modo di devastazione dell’ambiente, del paesaggio, che ormai solo gli ideologi ostinati non vogliono ammettere essere in una crisi sistemica. Un ceto politico ingordo, classi dominanti fameliche, continuano a reclamare rigore e crescita, oscillando dall’una all’altra, entrambi funzionali alla perpetuazione del dominio neppure di classe, ma di cricche, di alcune decine di migliaia di gestori del capitale mondiale (quei trilioni di dollari ed euro, spesso reali, più spesso virtuali, ma rimanendo sempre però incollati alle stesse dita) che sono il Verbo degli assediati nella Torre, da cui comandano, con apparati militari e apparati ideologici. Rigore significa far pagare ai ceti medio- bassi i debiti prodotti dai ceti dominanti, e l’involuzione stessa di un sistema che non funziona più. E il rigore è propedeutico alla crescita, e le forze tradizionalmente della Sinistra hanno abboccato all’amo.

Crescita, altra parola musicale, che dovrebbe indurci a credere che questo se non è il migliore dei mondi possibili, è il solo mondo possibile; indurci a scommettere sulla possibilità di aumento costante del PIL (altro grande feticcio), che significa arricchimento disuguale, ma soprattutto significa depauperamento delle risorse naturali, e conseguente loro accaparramento da parte di grandi potentati economici e finanziari, che una volta acquisite le proteggono con la forza delle armi. Crescita, significa aumento dei consumi, moltiplicazione dei rifiuti, consumo del suolo, inquinamento dell’aria e dell’acqua e della terra. Ma per ottenere tali mirabolanti esiti, non bastano i politici, le classi di governo, centrali e locali, nazionali e internazionali; non sono sufficienti neppure gli ukase che giungono dalle sigle minacciose che incombono (UE, OCSE, BCE, G8, G20, WTO, FED…), o le ormai tristemente familiari pronunce da parte delle famigerate agenzie di rating…

Per convincerci che altro non v’è da fare se non continuare ad aumentare la produzione, per aumentare i consumi, per aumentare i profitti, incuranti delle conseguenze, con una incredibile miopia (e dire che qualcuno aveva definito la politica l’arte di guardare lontano), occorre mobilitare gli spin doctors, occorre il sostegno degli economisti. Si noti che alla finanziarizzazione dell’economia pratica, ha corrisposto una matematizzazione di quella teorica, specie sotto forma di grafici, che ormai costituiscono i 9/10 dei manuali di economia. In effetti, sia a livello accademico, sia nel dibattito pubblico oggi gli economisti provano a convincerci di pseudoverità che corrispondono ad atti di fede. La prima delle quali è che l’economia è una scienza, e una scienza esatta, alla quale non è possibile opporsi né resistere. I suoi teoremi sono leggi universali, cui non ci si può sottrarre; e che le scelte che in suo nome compiono i suoi sacerdoti, che siano “tecnici” o politici, sono inevitabili, necessarie, e oggettive.

Il liberismo più selvaggio, quello che distrugge le vite degli individui, è la sola teoria politico-economica che abbia diritto di cittadinanza: il resto viene bollato come “ideologia”. Ma ideologia è proprio la loro, nel senso marxiano del termine. Il velo che vuole impedirci di vedere la verità, quello che nasconde interessi particolari sotto la falsa coscienza di interessi generali.

All’Università si insegnano baggianate siffatte, dalle pericolose conseguenze. Andatelo a dire al popolo greco che non c’era altra via che affamarlo, e farlo morire per mancanza di medicinali, e vedere i suoi ragazzi svenire a scuola per denutrizione. L’OCSE c’informa che nel 2006 gli affamati, coloro che vivono sotto la soglia di povertà, erano 840 milioni; nel 2012 sono oltre 1 miliardo. Ma evidentemente quelle centinaia di migliaia di vittime di questo sistema, per non parlare delle vittime delle guerre, delle neoguerre, altro portato del turbocapitalismo, per tacere delle migliaia di migranti, uccisi in tanti modi, dalle bombe sul confine tra Messico e Usa ai sepolti nelle acque del Mediterraneo (20000 in meno di vent’anni, secondo i dati della Caritas) – sono “non persone” (Dal Lago), sono “vite di scarto” (Bauman), sono esuberi, sono esodati, sono desplazados, sono i condannati dal destino, che, come si sa, è cinico e baro. Ma colpisce sempre gli stessi, e beneficia quegli altri. Quelli che decidono delle nostre vite, e delle nostre morti.

E mentre si riducono gli esseri umani a scarti, gli altri, i potenti, i decisori, producono (o ci costringono a produrre) scarti, deiezioni, rifiuti: monnezza. D’ogni genere, e si pensa poi di eliminarla bruciandola, e producendo diossina, e quant’altro quell’operazione di incenerimento genera dai suoi forni e fa fuoruscire dai suoi camini, nuovi inferni danteschi. Tutto questo per eliminare rifiuti che sono generati dai consumi: consumi, certo, necessari, ma, nella quantità del nostro mondo, più spesso indotti da assordanti campagne invasive, e pervasive, che ormai hanno occupato anche le stazioni ferroviarie, gli aeroporti e l’interno dei treni e degli aerei, quasi a inseguire coloro che non hanno potuto beneficiare dei preziosi “consigli per gli acquisti” attraverso radio e tv o internet…

Si tratta insomma di un nuovo totalitarismo, che come tutti quelli che l’hanno preceduto, pretende di lasciare un segno indelebile, una traccia imperitura di sé. Al “fascismo di pietra” – come è stata chiamata la voluttuosa tendenza a costruire archi, colonne, statue, e così via, magari con una troneggiante M, allusiva al “duce” – si è sostituita l’ideologia e la pratica (più la prima che la seconda, a dire il vero) delle “Grandi Opere”. Tanto faraoniche, pletoriche, costose, quanto inutili (o utili per esigue minoranze di agiati) e, soprattutto, devastanti. La linea detta Tav in Val di Susa, oggi ne costituisce l’esempio paradigmatico; ma c’è il MOSE di Venezia, e anche se il Ponte sullo Stretto per ora è scongiurato, non è detto che un domani non riemerga nelle pieghe di altri programmi di altri governi. E ciascuna di queste opere, sciagurate sul piano ambientale, è una fonte di profitti per aziende con cui i politici sono collusi, spesso inquinate da mafia ‘ndrangheta e camorra. E i dati ci dimostrano che i consuntivi, sempre, sono cifre di 3-4 (fino a 6, per le linee ad Alta Velocità) volte superiori ai preventivi. Insomma, macchine che divorano risorse finanziarie pubbliche, per distruggere risorse naturali, altrettanto pubbliche. Eccoli, i “beni comuni”: da riconoscere e difendere con le unghie e con i denti.

È ora che la politica, quella autentica, dal basso, affronti seriamente tale novero di questioni: devono farlo direttamente i cittadini autorganizzati in gruppi e associazioni: non aspettiamoci nulla dalla classe politica. Tocca a noi tutti salvare, con la democrazia, l’aria, l’acqua, la terra di questo Paese, contribuendo, nel nostro piccolo, a salvare, l’intero Pianeta.