Notizie dalla rivoluzione egiziana

Carissimi tutti e tutte,
mentre il calvario del popolo palestinese continua …. l’Egitto torna alla ribalta, in questi giorni, con le nuove rivolte popolari per le condanne miti di un regime che continua ad essere potente. Vi trasmetto il testo di Amira, giovane giornalista e blogger egiziana, che avevo accompagnato a Rimini, ospite del Convegno della Rete Radiè Resh (Aprile 2012).
Le sue aspettative dalla rivoluzione sono andate un pò deluse….L’agenzia dove lavorava ( Daily News Egypt) è stata chiusa e lei, insieme ai colleghi, è rimasta senza lavoro. Ma non si perde d’animo e continua nell’ impegno politico e letterario con poesie e testi che pubblica nel suo blog “Poetechnique”. Vi allego il testo del suo intervento al convegno, gentilmente tradotto dall’inglese dall’amica Carla Consiglio, del gruppo romano Rete Radié Resh. E’ un documento da conoscere e divulgare per l”importanza che riveste come testimonianza di prima mano di una primavera araba che sfortunatamente non è ancora giunta a maturazione.

Con un abbraccio, Anissa

—————————————————————————-

Intervento di Amira Salah Ahmed, giornalista e blogger egiziana
al 24° Convegno della Rete Radié Resh – Rimini 2012

Grazie per avermi invitata: è per me un piacere trovarmi in un gruppo di appassionati attivisti. Mi conforta vedere un tale interesse per la storia della rivoluzione in Egitto.

Come testimone della sollevazione Araba, capisco ed apprezzo l’importanza della solidarietà. La solidarietà internazionale che abbiamo avuto è stata vitale per sostenere il nostro morale ed il nostro spirito. L’attenzione e la reazione dei movimenti di solidarietà in tutto il mondo hanno fatto sì che i governi, che si erano alleati con il regime di Hosni Mubarak, non abbiano più potuto ignorare le nostre richieste di cambiamento e sono stati costretti a sostenere noi, il popolo, invece che gli alleati di un regime corrotto.

La ragione per cui la solidarietà è stata così vitale per l’attivismo è che il potere di un popolo unito è la minaccia più grande per coloro che hanno il potere.

La sollevazione Araba è cominciata con un atto generato dalla disperazione di un venditore tunisino di nome Bouazizi. Ma ben presto quel senso di abbandono e di disperazione si è trasformato in forza e determinazione ed ha creato un’immensa quantità di energia e di speranza. L’atto disperato di un solo uomo ha risvegliato la coscienza di un’intera generazione e l’ha spinta a combattere contro la privazione dei suoi diritti nelle forme il più possibile non violente.

I giovani attivisti che da lungo tempo in piccolo numero combattevano per la democrazia ed erano facilmente ignorati, sono stati finalmente capaci di indurre le masse a parlare forte ed insieme a migliaia di persone ad infrangere il muro di ferro della paura.

Dire che il movimento dei giovani è stato non violento non significa che non si sia scontrato con la violenza a lungo usata dal regime per reprimere il dissenso e sferzare i cittadini che avrebbero dovuto essere rappresentati e protetti.

Noi, come generazione di giovani Egiziani, non abbiamo mai conosciuto un governo rappresentativo, civile. Hosni Mubarak, un generale dell’esercito, prese il potere un anno prima che io nascessi ed è il solo presidente che io abbia conosciuto. Il suo partito, che era al governo, monopolizzava la politica, gli affari, i media ed agiva senza render conto di niente, violando in modo clamoroso i diritti umani in ogni occasione, badando soltanto ai propri personali interessi, assicurandosi che le masse fossero povere ed ignoranti in modo che fosse per loro più facile manipolarle ed opprimerle.

Quelli che parlavano chiaro furono presto coinvolti e con la propaganda perpetuata dai media di stato garantirono che la disunione di una società impaurita li avrebbe mantenuti al potere. Le istituzioni statali furono usate per sostenere Mubarak al potere e il suo partito al governo; vennero usate anche per garantire al figlio Gamal la successione alla presidenza dell’Egitto, trasformando il nostro paese in una monarchia non ufficiale.

Dire che la sollevazione dell’Egitto è incominciata il 25 Gennaio 2011 sarebbe trascurare gli anni di attivismo e di sfida da parte di giovani bloggers, attivisti, difensori dei diritti umani, dell’indipendenza dei media e dei lavoratori marginalizzati.

La nostra rivoluzione si è andata facendo durante parecchi anni. Le elezioni presidenziali del 2005 furono uno show organizzato da Mubarak per convincere l’Occidente che l’Egitto era democratico, mentre di fatto furono fraudolente, false e superficiali. Questo fu realmente l’origine della consapevolezza da parte del popolo che Mubarak stava preparando le condizioni per passare il potere al figlio. Fu allora che l’attivismo in Egitto cominciò a prendere una forma differente.

Uno sciopero dei lavoratori, organizzato nella cittadina di Mahalla, si scontrò con una violenza estrema e con arresti in massa che per giorni trasformarono la città in una zona di guerra. Parecchi movimenti ebbero origine da quello.

Negli anni seguenti, gli attivisti si trasformarono in bloggers ed il giornalismo cittadino si fece sentire in termini reali. Così avvenne anche per il giornalismo indipendente.. Fu un momento di cambiamento di scena per i media monopolizzati dai giornali di stato, dai canali televisivi e dalle stazioni radio che, sfortunatamente, operano tutt’oggi.

Il 2010 fu uno degli anni più caotici e fu chiaro che c’era qualcosa nell’aria; mentre lo stato cercava di controllare il dissenso crescente, divennero sempre più evidenti le sue violazioni e la corruzione.

Allora, nel Giugno del 2010, apparve l’immagine di un uomo di nome Khaled Said; la sua faccia fece irruzione e si diffuse come il fuoco in internet e nei canali dei media. Quest’uomo aveva 28 anni e rimase ucciso dalle torture della polizia. Questa era la cosa fin troppo familiare a tutti gli Egiziani: la brutalità della polizia.

Le proteste organizzate per solidarietà con Khaled Said furono le più imponenti ed ordinate mai viste fino ad allora in Egitto. Per aggirare le leggi di emergenza che proibivano ai cittadini di riunirsi in gruppo pubblicamente, gli attivisti si sarebbero disposti a 3 o 5 metri di distanza reciproca ,in piedi ed in silenzio,sul bordo della strada, in modo che non potessero essere arrestati per assembramento illegale. Così ha avuto inizio il movimento di protesta che ha guadagnato terreno tra i giovani di ogni tipo e così ha cominciato ad organizzarsi.

Le elezioni parlamentari nel Novembre del 2010 furono chiaramente pilotate ed il regime non tentò neanche di farle apparire corrette ed imparziali. Questa situazione provocò ancora proteste da parte dei partiti politici, che unirono le loro forze al crescente movimento giovanile.

A metà Dicembre incominciò la rivoluzione tunisina, e subito cominciammo a parlare della possibilità che potesse essere replicata in Egitto. Eravamo pieni di zelo e vedevamo che ormai poteva riuscire; ci decidemmo, quindi, a dare inizio ad un piano d’azione. Parole infami furono dette da analisti e funzionari pubblici: l’Egitto non è la Tunisia. Ma noi volevamo che lo fosse e ci siamo riusciti.

Più tardi, nella prima ora del Nuovo Anno, circa all’una di notte del 1°Gennaio 2011, un brutale attacco con le bombe in una chiesa di Alessandria fece molti morti e ancora più feriti. I cristiani copti, che rappresentano almeno il 10% della popolazione in Egitto, stavano assistendo alla Messa del Nuovo Anno e la loro celebrazione si mutò in lutto. Fu chiaro a molti che questo era un attacco del regime con la mira di impaurire il popolo e di indurlo a volere la stabilità. Le elezioni presidenziali furono stabilite per la fine del 2011 ed in questo modo Mubarak voleva indurre il popolo a desiderare che lui rimanesse al potere ed il figlio gli succedesse.

Sfortunatamente, le masse incolte possono facilmente essere condizionate a desiderare la stabilità, come dice un proverbio Egiziano: qualcuno che conosci è meglio di qualcuno che non conosci. Contavano su questa ideologia per conservare il potere ma la reazione del popolo non avrebbe potuto essere più sorprendente.

Tutti uniti, Musulmani e Cristiani, organizzammo dimostrazioni e marce di solidarietà che furono attaccate e disperse dalle forze della sicurezza centrale in modo abbastanza inconsueto, cosa che provava la complicità del regime nel bombardamento.

Stabilimmo la nostra rivoluzione per il 25 Gennaio, perché questo è il giorno nazionale della polizia. Intendevamo protestare contro la brutalità della polizia e la corruzione del Ministro degli Interni proprio nel giorno destinato a celebrare la polizia. Inoltre l’intero paese in quel giorno era libero dal lavoro e quindi la gente avrebbe potuto scendere in strada. Tuttavia, mentre passavano i giorni, non avevamo idea di quanto sarebbe stata massiccia la partecipazione.

Come giornalisti, organizzammo in anticipo la nostra copertura. Parlando con altri giornalisti, avevamo poca speranza che le dimostrazioni organizzate sarebbero state un po’ più consistenti del solito: un paio di centinaia di dimostranti, al massimo, un numero molto inferiore alle migliaia di elementi delle forze di sicurezza, e qualche decina di giornalisti. Pensavamo che tutto si sarebbe concluso come al solito, con un sanguinoso scontro con i dimostranti ed i giornalisti, molti sarebbero stati feriti ed arrestati: questo era ciò che avveniva di solito.

Noi lo chiamammo il Giorno della Rabbia, e lo scopo era mobilitare le masse nelle strade del Cairo con una richiesta: pane, libertà e giustizia.

Era una delle mattine più calme nelle strade del Cairo, dove vivo e lavoro. I punti di riunione erano stabiliti e resi noti e così anche le direzioni di mancia verso le piazze centrali nei paesi intorno. Nel Cairo, lo scopo più importante era raggiungere Piazza Tahri, il cuore della città, un luogo vietato ai dimostranti.

. Con sorpresa di tutti, persino di quelli che avevano organizzato le dimostrazioni,la gente uscì a migliaia. La gente che non aveva mai partecipato alle proteste prima, che non aveva riferimenti politici, che di solito aveva paura e quelli che non si erano mai premurati di parlare o di esprimersi contro il regime, tutti questi scesero nelle strade. E quando quelli che se ne stavano impauriti nelle loro case videro torrenti di popolo in marcia, anche loro si unirono e la dimostrazione si fece sempre più grande.

Fu allora che capimmo che la sola nostra forza di nazione di 80 milioni di cittadini stava nel fatto di essere così numerosi.

I dimostranti furono colpiti con bastoni, innaffiati con potenti getti d’acqua e presi di mira dai gas lacrimogeni. Ma essi continuarono ad andare avanti finché riuscirono miracolosamente a rompere le file della polizia e ad arrivare alle piazze e a Piazza Tahrir. Quella notte la protesta di migliaia di cittadini fu spezzata dalle forze di sicurezza. Molti furono arrestati, bastonati e gassati.

Nei successivi due giorni, gli attivisti cercarono di mantenere viva la particolare energia del particolare momento politico, ma desistettero perché la polizia dava loro la caccia. Non erano in numero sufficiente.

Ma si facevano segretamente dei piani per il Venerdì della Rabbia del 28 Gennaio. E mentre i giovani attivisti stabilivano segretamente i luoghi per le dimostrazioni e le marce, con nuovi percorsi per evitare la polizia, lo stato si dava da fare per pianificare la repressione delle proteste.

Intorno all’una del 28 Gennaio, Internet fu interrotta e così anche le linee dei telefoni mobili ed i servizi SMS. Ci fu un totale blackout delle telecomunicazioni. Ma non importava quel punto, perché ognuno sapeva ciò che doveva fare e dove andare il mattino seguente.

Le dimostrazioni incominciarono non appena finirono le preghiere del Venerdì. Le marce presero avvio dalle moschee, dalle chiese, dalle viuzze laterali, letteralmente da ogni area del paese. Questa volta la polizia si trovò in minoranza, perché scesero nelle strade in centinaia di migliaia. Furono di nuovo sorpresi, come lo fu il regime, e la polizia non trovò il bandolo per affrontare le masse.

Questa volta avevano l’ordine di sparare per uccidere. A centinaia furono uccisi nei primi giorni della rivoluzione. Furono usati ancora i gas lacrimogeni, ma i dimostranti sapevano ormai come combatterne gli effetti. A centinaia furono arrestati, migliaia furono feriti. Ma il movimento non si fermò.

Il blackout delle telecomunicazioni di fatto lavorò contro il regime, perché la gente, tagliata fuori dai suoi cari andati alla dimostrazione, era indotta a scendere nelle strade a vedere di persona cosa stava succedendo. Mentre noi ci facevamo strada ed occupavamo le piazze principali nel paese, incominciò il sit-in a Piazza Tahrir. Quelli furono i giorni più gloriosi che avessimo mai sperimentato. Se potessimo far rivivere quei giorni e captare ciò che li rese possibili per farli continuare a lungo, allora nel mondo l’Utopia sarebbe realizzata. Ciò che avvenne a Tahrir fu per molti aspetti utopico e forse per questo è piuttosto irrealistico che prosegua a lungo.

Ci furono alti e bassi in quei giorni; il momento più atroce fu il 2 Febbraio, conosciuto ora come la Battaglia del Cammello, quando Mubarak ed i suoi sostenitori mandarono a Tahrir cavalli e cammelli contro i dimostranti. Fu come una battaglia medievale. Ma noi sopravvivemmo, ci difendemmo reciprocamente, mantenemmo la nostra posizione e divenimmo più forti.

Quando perdemmo l’energia del momento cruciale, qualcosa sarebbe avvenuto a sorreggere la situazione e a portare più gente nelle strade.

Uno dei giorni più deludenti fu il 10 Febbraio, quando Mubarak pronunciò il suo terzo discorso. Tutti erano preparati a celebrare il suo ritiro dal potere, tutte le fonti dicevano ai media che l’avrebbe fatto. Il popolo aveva preparato i fuochi d’artificio, ed invece egli si presentò alla TV molto tardi nella notte per dire che non era mai stata sua intenzione di concorrere per un’altra candidatura presidenziale e rimproverò gli Egiziani di non approvare tutto quello che aveva fatto.

Era l’ultimo tentativo di manipolare il popolo, ma non funzionò

Non appena il discorso di Mubarak si concluse, senza che nulla fosse stato prima pianificato, i dimostranti cominciarono immediatamente a marciare verso il palazzo presidenziale e l’edificio della televisione di stato.

Fu, comunque, l’ultimo discorso di Mubarak ed egli abbandonò il potere il giorno seguente. Noi ne esultammo in grande stile ed il mondo intero esultò con noi. Pensammo di aver vinto e ci sentimmo forti e pieni di speranza più di quanto avessimo potuto immaginare di essere.

E’ difficile descrivere il senso di esaltazione e di possesso che allora provammo. Per giorni e settimane i cittadini furono rinvigoriti dal sentimento di possedere il loro paese di cui mai prima erano stati padroni, al punto che i bambini con i loro genitori andavano a pulire le strade e perfino a dare la tinta ai marciapiedi. Sentivamo che avevamo bisogno di cambiare tutto e che, anche se quello che volevamo era difficile, sarebbe divenuto una realtà.

Capimmo in breve tempo che avevamo esultato troppo presto. Uno dei nostri più grandi errori fu lasciare Piazza Tahrir. L’esercito, che aveva gestito il potere dopo Mubarak, all’inizio promise di appoggiare un governo civile entro 6 mesi. E’ passato un anno e mezzo ed il Consiglio Militare è ancora al potere.

Quando l’esercito all’inizio andò nelle strade, la gente lo acclamava. Alcuni, però, erano abbastanza saggi da sapere che l’esercito non era nostro alleato. Durante quei 18 giorni non si confrontarono mai in modo diretto con i dimostranti, non stettero loro vicino in parecchie occasioni e rimasero a guardare mentre i dimostranti pacifici venivano attaccati.

L’ esercito ha un ruolo sentimentale nella psiche dell’Egitto. Ed è molto difficile indurre la gente ad esprimersi contro il Consiglio Militare, perché esso coincide con l’esercito. Tuttavia abbiamo capito che nel gioco politico il Consiglio Militare non ha credibilità ed ha portato la rivoluzione fuori carreggiata. Usando lo stesso strumento di Mubarak, cioè i media di stato in tutte le loro forme, il Consiglio Militare ha ribaltato l’atteggiamento della massa del popolo e l’ ha messo contro la rivoluzione e gli attivisti. In parecchie occasioni hanno dato ai contestatori l’etichetta di traditori, di spie, di agenti stranieri finanziati dall’Occidente. Ciò, ovviamente, per conservare il potere Nel frattempo l’economia continua a soffrire ed i ministri , che sono ancora al loro posto, non hanno nessun potere reale di prendere decisioni o fare cambiamenti.

Abbiamo fatto un referendum che ha spaccato la nazione che si era unita contro il regime di Mubarak. Questo è stato il primo passo per dividere quella forza che, unita, era stata così potente, ed ha prodotto i suoi effetti.

Abbiamo avuto delle elezioni presidenziali che hanno emarginato i giovani che hanno dato inizio alla rivoluzione. E allo stesso modo hanno emarginato le donne e le minoranze. Naturalmente, hanno introdotto nel potere le forze più organizzate, cioè la Fratellanza Islamica (Muslim Brotherhood), seguita dal più intransigente partito politico dei Salafiti.

L’argomento principale della nostra critica a queste forze non è il loro conservatorismo religioso, ma il fatto che non hanno preso parte alla rivoluzione. Al contrario, molte volte si sono poste contro le richieste della rivoluzione. Tuttavia sono più organizzate delle forze liberali e della gioventù attivista.

Una delle caratteristiche della sollevazione Egiziana fu che non ebbe un leader. Vediamo ora che questo è stato il nostro errore più grande, cioè che nel momento in cui eravamo uniti contro un comune nemico, non abbiamo scelto i nostri propri rappresentanti..

Al contrario, noi temevamo il modo in cui le forze più organizzate vanno al potere. Ci rendiamo ora conto che ci vorrà del tempo perché le forze liberali, secolari , di sinistra, si organizzino e mettano radici per divenire un potente attore politico.

Nel frattempo, la rivoluzione continua, mentre molti fuori dall’Egitto possono pensare che è finita. Noi abbiamo continuato le nostre proteste di massa, anche se talvolta non con gli stessi numeri nella partecipazione, ma sempre significativi.

Ogni risultato che abbiamo ottenuto è derivato direttamente dalle proteste di massa o dai sit-in, qualche volta, sfortunatamente, sono stati molto sanguinosi e mortali. Più di 100 persone sono morte durante le dimostrazioni ed i sit-in da quando Mubarak fu allontanato, all’inizio negli scontri con le forze di sicurezza, ma più recentemente negli scontri diretti con l’esercito.

Una delle immagini più memorabili dell’anno passato è quella di una giovane dimostrante che veniva trascinata e colpita da soldati a Tahrir, e poi spogliata e ridotta in biancheria intima.

Il deprecabile atto indusse, per la prima volta, migliaia e migliaia di donne a fare marce per tutto il paese, per condannarlo. Uno dei primi segnali che il Consiglio Militare non era dalla nostra parte si verificò dopo un’irruzione sul sit-in in Piazza Tahrir il 9 Marzo 2011. Le donne arrestate durante questa irruzione furono costrette a subire dei test di verginità da parte di medici militari. Inoltre, da allora più di 10.000 civili sono stati sottoposti a processi militari.

Le donne hanno dimostrato una forza sbalorditiva nella rivoluzione. Altrettanto vale per gli studenti, il cui movimento acquista forza ogni giorno di più.

Questi sono i movimenti che rendono la rivoluzione evidente e ci danno la speranza che continui. Quel che abbiamo imparato è che il cambiamento non viene facilmente, ma richiede anni e forse persino generazioni. Abbiamo fatto festa troppo presto dopo Mubarak, ma abbiamo imparato la lezione. Continuiamo ad essere determinati e le barriere della paura , che sono state infrante, non saranno ricostruite. Non abbiamo più paura, anche se a volte siamo disperati e frustrati. Non abbiamo più paura di morire.

La rivoluzione continua, ma ha assunto forme differenti. Si realizzano delle campagne che hanno lo scopo di svelare la verità riguardo alle violazioni dell’esercito, di agire contro i processi militari dei civili, di smascherare gli operatori dei media che sono allineati con il regime.

Non possiamo più stare a Piazza Tahrir, ma lo spirito della rivoluzione è molto più vivo nelle case, nelle scuole, nelle università e nelle fabbriche. Tutti ora chiedono il rispetto dei diritti umani e la partecipazione; questa è stata la nostra reale vittoria mentre continuiamo a combattere un regime oppressivo e corrotto.