Obiettori all’aborto. C’è chi dice no: “sabotatori di diritti per legge”

E. Martini
il manifesto, 03.06.2012

È l’obiezione di coscienza – come ci ricorda il geniale «don Pizzarro» di Corrado Guzzanti – l’arma della politica vaticana per sabotare il diritto delle donne a una maternità consapevole e alla pianificazione familiare (e in prospettiva anche il diritto dei cittadini a scegliere liberamente come morire). «Con la facoltà di sottrarsi a un dovere professionale sancita attraverso la legge 194 c’è stato uno slittamento semantico del concetto di obiezione di coscienza».

Di questo parla l’ultimo libro di Chiara Lalli, autrice di saggi di bioetica e filosofia morale, edito da Il Saggiatore, dal titolo «C’è chi dice no. Dalla leva all’aborto. Come cambia l’obiezione di coscienza» (pp. 240, 19 euro). In principio era un concetto quasi rivoluzionario. E ora? Come è stato manipolato il significato di obiezione di coscienza? Si è passati da un’azione di libertà individuale e contraria ad una legge dello Stato, a un’imposizione autoritaria di gerarchia tra le coscienze.

Il ragazzo che si rifiutava di fare il servizio militare obbligatorio pagava un prezzo molto alto andando in galera. Una scelta dolorosa, complicata da prendere. Negli anni poi, entrando nelle leggi, l’obiezione è diventata un diritto positivo. È successo prima con la 772/1972 sulla leva, una legge con una storia abbastanza lunga e travagliata perché nella sua prima stesura contemplava iniquamente un servizio civile molto più lungo di quello militare.

Poi nel 1978 arrivò la legge 194 di cui ancora discutiamo, che introdusse l’obiezione di coscienza all’aborto. E qui la questione si fa problematica, perché da un lato la legge regolamenta il servizio per la donna e contemporaneamente permette agli operatori di sottrarsi al servizio. È una legge intrinsecamente conflittuale, che ha reso l’obiezione una scelta di comodo, un’estensione privilegiata.

Qual è la situazione oggi? Ci sono realtà spaventose: in alcuni reparti o ospedali pubblici il servizio è stato di fatto annullato. Secondo l’ultima relazione annuale sulla legge 194, quella del 2010, la media nazionale di obiettori è del 70% ma in alcuni ospedali si arriva fino al 90%. Il Lazio è una delle realtà più drammatiche, con lunghissime file d’attesa che costringono le donne ad andare fuori regione per abortire.

In Lombardia, nel biennio 2009/2010, sono risultati obiettori il 64% dei ginecologi-ostetrici, il 42% degli anestesisti e il 43% del personale sanitario, e a Como, per esempio, ci sono 23 ginecologi obiettori su 26. Negli ultimi anni poi il dato è in crescita perché i medici non obiettori sono stanchi di essere penalizzati addossandosi tutto il lavoro meno qualificante che altri scaricano. È una situazione che la legge non prevedeva: pensata per tutelare le donne, oggi le penalizza. Insomma, in questo momento in Italia le garanzie della 194 sono fortemente legate alle differenze specifiche locali e alla fortuna.

Ed è tornato l’aborto clandestino… Pare di sì. Ovviamente è difficile da monitorare, ma ci sono segnali preoccupanti: le donne che vanno ad abortire all’estero e molti casi registrati negli ospedali di abuso di Cytotec, un farmaco anti ulcera che ha come effetto collaterale l’aborto spontaneo. L’anno scorso a Roma una donna è morta con questo metodo. Un’altra possibile spia degli aborti clandestini potrebbe forse essere l’aumento di quelli spontanei.

Secondo i dati Istat sono passati da circa 55.000 mila del 1988 agli oltre 77.000 del 2007. Eppure, giusto mercoledì scorso alla Camera, sono state presentate e votate sette mozioni contrapposte sull’obiezione di coscienza all’aborto. Alcune, come quella firmata da Fioroni, Roccella, Buttiglione, Binetti, ecc., impegnano il governo a tutelare da qualsiasi «discriminazione o penalizzazione» gli obiettori.

Questo è il colmo: chi fa il medico o il sanitario lo ha scelto e la discriminazione non è certo nei loro confronti ma nei confronti delle donne che non hanno scelta e se vogliono accedere al servizio previsto dalla legge 194 sono costrette ad “emigrare”; la discriminazione semmai è contro i medici e il personale sanitario su cui si riversa tutto il peso di un lavoro difficile, poco qualificante, e sempre più svolto in solitudine.

Il paradosso, insomma, è che gli obiettori sono diventati sabotatori, ma protetti dalla legge stessa? Esattamente. Se non spostiamo il discorso del rapporto tra operatori sanitari e pazienti, non usciamo dal pantano delle coscienze personali. Perché la tua coscienza è più importante della mia?

Qualunque professione implica dei doveri: l’avvocato d’ufficio, per esempio, non può invocare la propria coscienza per rifiutarsi di difendere uno stupratore. La professione che ha scelto lo tiene ancorato alle proprie responsabilità. E d’altra parte, da quando il servizio militare è una libera scelta non esiste più l’obiezione di coscienza alla leva. E allora sarà il caso di ridiscutere almeno le conseguenze di una scelta che, mettendo in campo la propria coscienza, limita l’applicazione delle leggi dello Stato.