La democrazia è in pericolo di vita. La riforma costituzionale letta da “economia democratica”

Valerio Gigante
Adista n. 23/2012

.Pericolosi e ripetuti tentativi, quelli in atto negli ultimi mesi, di modificare la Costituzione. Tentativi che potrebbero portare allo stravolgimento del nostro assetto istituzionale e della vita democratica del Paese. La denuncia – in un documento del 24 maggio – arriva da Economia democratica (v. Adista Segni nuovi n. 21/12), associazione nata per iniziativa di alcuni intellettuali ed esponenti del mondo laico e cattolico progressista (tra cui Raniero La Valle, Luigi Ferrajoli, Rossana Rossanda, Gianni Ferrara, don Achille Rossi, Raul Mordenti, Enrico Peyretti, p. Alberto Simoni, don Luigi Di Piazza) e di diverse realtà di base (tra cui Comitati Dossetti per la Costituzione, Centro per la Pace di Bolzano, il mensile Missione Oggi, Centro Balducci di Zugliano del Friuli, Koinonia, Cipax, Vasti) per riportare l’economia pubblica e privata alla regola della democrazia e alle finalità sociali della Costituzione.

In particolare, Economia democratica se la prende con il progetto di legge attualmente al vaglio della I Commissione del Senato e che riguarda la riforma del bicameralismo perfetto, le corsie legislative privilegiate per il governo, la prevalenza della figura del presidente del Consiglio e la sfiducia costruttiva, la riduzione di circa il 20% del numero dei parlamentari.

Sostenuto dalla maggioranza “montiana” Pd-Pdl-Udc, il progetto, spiega l’associazione, determinerebbe, una volta approvato, «l’impotenza del Parlamento di fronte all’esecutivo», perché «distruggerebbe, di fatto, l’istituto della fiducia su cui si regge il rapporto tra il popolo, il Parlamento e il governo, rendendo il presidente del Consiglio inattaccabile dalle Camere che non potrebbero votargli la sfiducia, in presenza di leggi inique, senza esporsi ad essere sciolte dallo stesso presidente sfiduciato. Inoltre non potrebbe esserci voto di sfiducia nei confronti di un governo che fosse giudicato dannoso agli interessi del Paese, se non da parte delle due Camere riunite solennemente in seduta comune, con la maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, e senza che nello stesso tempo venga designato un altro presidente del Consiglio e realizzato pertanto un “ribaltone” elevato a dignità costituzionale». Un progetto simile, di fatto, a quella “sfiducia costruttiva” già contenuta nella riforma complessiva della II parte della Costituzione, fatta approvare a colpi di maggioranza da Berlusconi nel 2005, ma che fu sonoramente bocciata dai cittadini nel referendum confermativo del 2006. Se questo nuovo tentativo passasse, «la debolezza del governo di fronte a imposizioni che sul piano economico e di bilancio gli fossero addossate in sede internazionale ed europea» si tradurrebbe «in un’onnipotenza del governo nell’eseguirle anche contro la volontà del Parlamento e del Paese».

Apparentemente meno pericolosa, ma sintomatica di una cultura che tende a delegittimare l’istituto parlamentare, anche la proposta della riduzione complessiva del numero dei parlamentari da 945 a 762, «che senza nessun vero risparmio non farebbe che lasciare vuoti alcuni seggi nei due emicicli delle Camere». «Risparmi ben più consistenti – sostiene invece Economia democratica – potrebbero venire da una riduzione non solo strumentale e simbolica del numero dei parlamentari, o da una seria riduzione delle indennità e dei costi di tutti i membri di Assemblee o Consigli rappresentativi, senza travolgere con l’occasione l’intero equilibrio dei poteri sancito della Costituzione. Togliere dei parlamentari perché gli altri continuino a prosperare non sarebbe un grande sacrificio e un grande esempio da parte della politica».

Preoccupazioni condivise anche da altri giuristi e intellettuali (Umberto Allegretti, Gaetano Azzariti, Lorenza Carlassare, Alessandro Pace, Alessandro Pizzorusso, Eligio Resta, Stefano Rodotà, Gustavo Zagrebelsky) che il 1° giugno hanno pubblicato su Repubblica un appello in cui denunciano l’«inammissibile precipitazione» con cui la commissione del Senato sta approvando il disegno di legge di riforma. Perché la Costituzione, spiegano, «non può essere profondamente mutata senza una vera discussione pubblica, senza che i cittadini adeguatamente informati possano far sentire la loro voce. È inaccettabile che la richiesta di partecipazione, così forte ed evidente in questo momento, venga ignorata proprio quando si vuole addirittura modificare l’intero edificio costituzionale. I cittadini, che negli ultimi tempi sono tornati a guardare con fiducia alla Costituzione, non possono essere messi di fronte a fatti compiuti».

Nel merito, la proposta prevede addirittura lo stravolgimento del ruolo e delle funzioni del Parlamento, «fino a poter essere sciolto dallo stesso presidente del Consiglio, nel caso votasse contro una sua legge sul quale fosse stata posta e negata la fiducia. L’intreccio tra sfiducia costruttiva e potere del presidente del Consiglio di chiedere lo scioglimento delle Camere attribuisce a quest’ultimo un improprio strumento di pressione e rende marginale il ruolo del presidente della Repubblica. I problemi del bicameralismo vengono aggravati, il procedimento legislativo complicato. Gli equilibri costituzionali sono profondamente alterati, cancellando garanzie e bilanciamenti propri di un sistema democratico. E ora si propone di passare da una repubblica parlamentare ad una presidenziale, di mutare dunque la stessa forma di governo».)