Crociata contro i politici cattolici corrotti di M.Vigli

Marcello Vigli
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“È impressionante come tanta nostra gente sia parte integrante di quella folla che va a comporre l’immagine sconfortante di un Paese condizionato dalla presenza di corrotti e corruttori, di evasori e parassiti, di profittatori e fautori di illegalità diffusa, difensori sistematici della rivendicazione dei diritti nell’ignoranza, se non nella denigrazione, dei doveri”. Lo ha detto a Roma il 25 giugno monsignor Mariano Crociata, Segretario della Cei, in un suo discorso agli assistenti nazionali delle Associazioni ecclesiali sociali, riferendosi ai politici cattolici corrotti.

Sono parole significative sia per la denuncia esplicita e senza riserve, sia perché pronunciata in una sede particolare. Si tratta di associazioni impegnate nella formazione degli adulti, soprattutto nell’ambito dell’impegno sociale e politico. Ad esse spetta il compito d’imporre un’inversione di tendenza educando a non pensare la fede in maniera separata dalla vita e dalla coerenza che ad essa è richiesta, annullando le esigenze della morale ridotta semplicisticamente sempre a moralismo. Proponendo questa soluzione in verità monsignor Crociata non va alla radice del problema.

La sua denuncia resta coraggiosa e, soprattutto, funzionale al rafforzamento dell’azione che da varie parti si sta svolgendo contro la corruzione, male endemico della vita politica italiana particolarmente deprecabile in un Paese a maggioranza cattolica. Pur non essendo la prima volta che voci della gerarchia ecclesiastica si sono levate contro di essa, queste parole assumono un valore particolare per le circostanze nelle quali sono state pronunciate e la loro inequivocabile chiarezza. Il caso Lusi e il caso Formigoni affondano le loro radici l’uno nella gestione dell’ultimo partito “cattolico”, l’altro nell’ambiente, ben più caratterizzato da un punto di vista ecclesiale, di Comunione e Liberazione. Al di là delle persone, sono sotto accusa strutture che, a voler essere indulgenti, non hanno saputo o voluto vigilare sull’operato di loro membri autorevoli e investiti di responsabilità.

Indipendentemente, infatti, dalle reali responsabilità penali dell’uno e dell’altro, i loro comportamenti erano in modo evidente in contrasto con le regole, scritte e non, a cui, monsignor Crociata fa riferimento. La pur solida formazione cristiana, che indubbiamente avevano ricevuto, non ha retto alla tentazione di varcare i confini fra il pubblico e il privato che i cattolici, in verità, sono educati a considerare molto fluidi, quando il “privato” è la Chiesa.

Per la remunerazione di sacerdoti e vescovi, infatti, è lecito, anzi doveroso, attingere alle finanze pubbliche e violare la volontà dei contribuenti che non intendono servirsi della facoltà di destinare l’otto per mille dell’Irpef in occasione della dichiarazione dei redditi. Per finanziare le scuole o le cliniche cattoliche si possono sottrarre risorse a quelle pubbliche. È perfettamente normale cedere alla raccomandazione dell’ecclesiastico di turno per un’assunzione al lavoro o per l’assegnazione di un appalto.

Non è certo la stessa cosa che comprarsi una casa con soldi del finanziamento pubblico al partito, accettare bustarelle o imporre tangenti, ma questa distinzione non può soddisfare chi, come monsignor Crociata, s’interroga sulla perdita di vitalità e di adeguata incidenza dell’ispirazione cristiana nella vita sociale, civile e politica.

Tale vitalità è stata compromessa proprio dalla mancata attuazione del messaggio conciliare che indicava la necessità di ridefinire il rapporto fra fede e denaro e di riscoprire la gratuità dell’offerta del messaggio evangelico. Ad ogni occasione si ribatte alle critiche contro il finanziamento pubblico alla Chiesa con il “servizio” che i suoi ministri o i suoi fedeli offrono alla società nell’assistenza e nell’istruzione contribuendo, fra l’altro, proprio al declino della grande conquista della tanto vituperata modernità, che vuole lo Stato impegnato direttamente a garantire a tutti i cittadini il diritto alla salute, all’istruzione…al benessere attraverso la redistribuzione della ricchezza prodotta con l’impegno di tutti, ma accaparrata da pochi.

Molte parole sono state spese sulla povertà della Chiesa, ma molto poco è stato fatto per costruire una Chiesa povera. Non è certo facile farlo in una società che fa della ricchezza posseduta il criterio di valutazione del valore della persona e del denaro la chiave che apre le porte del potere, è, però, una via obbligata per rendere credibile la missione della Chiesa.

Chiamata a costruire il Regno di Dio sulla terra, non può ridursi a consolare gli afflitti diventando con i suoi confessionali un surrogato gratuito del lettino dello psicanalista!

Monsignor Crociata non è credibile nella sua denuncia, pur sempre preziosa, della corruzione dei cattolici impegnati in politica, se non l’accompagna sia con un’autocritica della gestione delle risorse finanziarie da parte della Cei, di cui è Segretario, sia, soprattutto, con il radicale ripensamento del regime concordatario che gliene garantisce gran parte.