La sentenza Diaz e la caporetto della politica

Lorenzo Guadagnucci*
www.micromega.net

Dunque cinque giudici di Cassazione hanno detto no. No all’arroganza di chi ha permesso ad altissimi dirigenti di polizia di arrivare all’ultimo grado di giudizio sul caso Diaz occupando ruoli operativi elevatissimi; no alla pretesa del potere politico di salvare in qualche modo quei dirigenti. La sentenza del 5 luglio è un terremoto, perché decapita la polizia italiana e condanna per via indiretta la condotta irresponsabile e vile dei poteri politici e di governo che per undici anni hanno protetto vertici di polizia protervi e abbandonato a loro stessi i cittadini, i testimoni, le vittime che hanno invocato giustizia sperando che ci fosse almeno un giudice in grado di accogliere la dura verità dei fatti.

Quel giudice c’era. Era negli uffici della procura di Genova (i pm Enrico Zucca e Francesco Cardona Albini), nel tribunale d’appello genovese e infine in Cassazione. Ma undici anni di indifferenza, se non di derisione, non si cancellano facilmente ed è quindi il momento di chiamare ciascuno alle proprie responsabilità. E’ il momento di riconoscere che le parti civili con i loro avvocati, i comitati Verità e Giustizia per Genova e Piazza Carlo Giuliani e i pochi altri che hanno condiviso questa battaglia, quando chiedevano la sospensione degli imputati, le scuse formali da parte dei vertici politici, commissioni d’inchiesta e interventi legislativi di autentica riforma, avevano ragione e dimostravano buon senso e maturità politica. Nessuno ha voluto ascoltare, dimostrando la propria insipienza.

La Cassazione ieri ha suonato una potente sveglia. Non sappiamo ancora se ci saranno orecchie disposte ad ascoltare il messaggio che scaturisce dalla sentenza, ma vale la pena ricordare che cosa comporterebbe, in un paese democratico, quel che è successo ieri al Palazzaccio di piazza Cavour.

Ricambio ai vertici della polizia. L’attuale capo della polizia, Antonio Manganelli, e il suo predecessore, Gianni De Gennaro, oggi sottosegretario, sono i massimi responsabili della linea scelta in questi anni: non collaborazione coi giudici, protezione e promozione degli imputati, rifiuto di riconoscere le proprie responsabilità. Le loro dimissioni sono a questo punto una necessità, la premessa logica per un radicale ricambio.

Riforma democratica delle forze dell’ordine. Gli undici anni che ci separano dal G8 di Genova hanno dimostrato che la riforma di polizia del 1981 è stata svuotata dall’interno. Abbiamo assistito a una militarizzazione strisciante (oggi il 100% delle nuove assunzioni avviene per legge fra chi è stato volontario nelle forze armate) e una crescente opacità della polizia di stato, mentre i carabinieri sono addirittura diventati quarta forza armata. Apertura alla società civile, sindacalizzazione, smilitarizzazione sono una necessità democratica.

Interventi legislativi immediati. Il caso Diaz e il caso Bolzaneto, con la maggior parte delle pene cadute in prescrizione e l’impossibilità di perseguire, nel caso Diaz, gli autori materiali delle violenze, dimostrano che il nostro paese ha bisogno urgente di una legge sulla tortura (imprescrittibile) e di una norma che renda identificabili, con codici sulle divise, gli agenti in servizio di ordine pubblico.

Istituzione indipendente. Le forze dell’ordine italiane hanno dimostrato di non essere capaci di compiere serie verifiche interne dei propri comportamenti; lo spirito corporativo, di fronte a denunce di abusi, prevale regolarmente sull’esigenza di giustizia e di trasparenza. Troppi casi (Cucchi, Uva, Bianzino, Aldrovandi e molti altri) dimostrano che c’è un’unica strada oggi percorribile, cioè l’istituzione di un’autorità indipendente, con poteri d’indagine e sanzionatori, che garantisca trasparenza e affianchi l’eventuale azione penale della magistratura.

La sentenza del 5 luglio apre dunque un ampio campo d’azione per un riforma democratica dei servizi di sicurezza, a tutela dei diritti civili e delle libertà costituzionali. Ma un dubbio grava su di noi: esiste davvero in Italia uno schieramento civile e politico in grado di alzare questa bandiera e condurre una battaglia di autentiche riforme? Chi nel 2001 parlò di “notte cilena”, chi nel 2006 propose agli elettori di istituire una commissione parlamentare su Genova G8, ha poi lasciato il campo e si è aggiunto allo schieramento di chi ha coperto e legittimato l’irresponsabile condotta dei vertici di polizia.

La successione dei fatti è il racconto di una caporetto politica delle forze democratiche e progressiste sul terreno dei diritti costituzionali: la bocciatura in parlamento della commissione d’inchiesta (2007); la nomina del prefetto De Gennaro, responsabile della disastrosa gestione dell’ordine pubblico a Genova, come capo di gabinetto del ministro Amato (2007); l’avallo alle promozioni degli imputati e alla decisione di confermare tutti ai rispettivi posti anche dopo le condanne in appello (2010); l’ascesa di De Gennaro a ruoli di governo (2012).

In questi anni nei tribunali, e infine il 5 luglio in Cassazione, testimoni e avvocati di parte civile hanno agito in solitudine, vivendo una sensazione di abbandono. Sarebbe l’ora di aprire una fase nuova.

* Comitato Verità e Giustizia per Genova

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Sentenza della Corte di Cassazione per i fatti della scuola Diaz: importante ma incompleta e tardiva

Amnesty International Italia

Quella emessa oggi dalla Corte di Cassazione su quanto accaduto alla scuola Diaz di Genova nel luglio 2001 è, per Amnesty International, una sentenza importante, che finalmente e definitivamente, anche se molto tardi, riconosce che agenti e funzionari dello stato si resero colpevoli di gravi violazioni dei diritti umani di persone che avrebbero dovuto proteggere.

Tuttavia, Amnesty International ricorda che i fallimenti e le omissioni dello stato nel rendere pienamente giustizia alle vittime delle violenze del G8 di Genova sono di tale entità che queste condanne lasciano comunque l’amaro in bocca: arrivano tardi, con pene che non riflettono la gravità dei crimini accertati – e che in buona parte non verranno eseguite a causa della prescrizione – e a seguito di attività investigative difficili ed ostacolate da agenti e dirigenti di polizia che avrebbero dovuto sentire il dovere di contribuire all’accertamento di fatti tanto gravi. Soprattutto, queste condanne coinvolgono un numero molto piccolo di coloro che parteciparono alle violenze ed alle attività criminali volte a nascondere i reati compiuti.

Per Amnesty International, la conclusione di questo difficile processo non può rappresentare la fine del tentativo di dare piena giustizia alle vittime del G8 di Genova. Terminata la fase degli accertamenti delle responsabilità individuali, resta infatti tutta da fare un’analisi che porti a conclusioni condivise su cosa non funzionò a Genova nel 2001 a livello di sistema e su come fare in modo che ciò non si ripeta più.

Amnesty International continuerà a chiedere alle istituzioni italiane di:

• condannare pubblicamente le violazioni dei diritti umani commesse dalle forze di polizia 11 anni fa e fornire scuse alle vittime;

• impegnarsi ad assicurare che violazioni quali quelle accadute a Genova nel 2001 non si verifichino di nuovo attraverso l’attuazione di misure concrete per garantire l’accertamento delle responsabilità per tutte le violazioni dei diritti umani commesse dalle forze di polizia;

• introdurre nel codice penale il reato di tortura e adottare una definizione di tortura che includa tutte le caratteristiche descritte nell’articolo 1 della Convenzione Onu contro la tortura;

• creare un’Istituzione nazionale sui diritti umani in linea coi “Principi riguardanti lo statuto delle istituzioni nazionali” (Principi di Parigi);

• ratificare il Protocollo opzionale alla Convenzione Onu contro la tortura e istituire un meccanismo indipendente nazionale per prevenire torture e maltrattamenti;

• condurre una revisione approfondita delle disposizioni in vigore nelle operazioni di ordine pubblico, incluse quelle in materia di addestramento e dispiegamento delle forze di polizia impiegate nelle manifestazioni, di uso della forza e delle armi da fuoco e che tenga conto della necessità di introdurre elementi di identificazione individuale degli appartenenti alle forze di polizia nelle operazioni di ordine pubblico.

Roma, 5 luglio 2012