L’eterna collusione mafia – istituzioni

Citto Saija
http://www.nuovosoldo.it/ 6 luglio 2012

Ormai dovrebbe essere a tutti chiaro che la tanto decantata autonomia regionale siciliana è stata frutto di un rapporto di scambio tra lo stato nazionale e la mafia. I vecchi pruriti indipendentisti e i sempre rinascenti sicilianismi vanno accantonati e messi al bando.

Se la parte migliore dei siciliani vuole iniziare a cambiare la Sicilia è necessario porre all’ordine del giorno il problema urgentissimo della rifondazione dell’autonomia regionale. Il sicilianismo, in tutte le sue salse, non è altro che la maschera dietro la quale si nasconde il volto della mafia e soprattutto di quella che potremmo definire la “cultura mafiosa” che sta nella mente e nel cuore di tanti politici siciliani moderati o pseudoprogressisti.

La malattia iniziale su cui nasce l’autonomia regionale (salviamo la buona fede di pochi e sparuti sinceri autonomisti) è ancora presente e attiva; anzi va estendendosi all’intero Paese.

Quando il sostituto procuratore di Palermo Antonio Ingroia sostiene che “L’Italia è incapace di illuminare gli angoli sporchi del suo passato” dice una verità in assoluto. E tutti i tentativi, anche della grande stampa, di delegittimare i giudici palermitani che cercano la verità per fare giustizia, mettono in evidenza l’eterna collusione mafia-istituzioni.

La solitudine di alcuni magistrati coraggiosi che fanno il proprio dovere è sotto gli occhi di tutti ed è evidente il tentativo di politici di peso e delle istituzioni per ostacolarli nella ricerca della verità. Il “sistema” di cui parla il banchiere già vaticano Gotti Tedeschi è attivissimo e protegge in tutti i modi i propri adepti, il potere dalla tante collusioni e che si autoprotegge.

Bene ha fatto il sostituto procuratore Ingroia ad accettare di esternare le sue riflessioni sul blog di Grillo e a dire “passate parola tra voi cittadini”. La “cultura mafiosa” è subdola, è calunniosa ed è il brodo di coltura della mafia, di quella mafia che spara e uccide.

Chi sta zitto è colpevole per il presente e per il futuro.

E non dimentichiamo che nel passato ma anche nel presente, pezzi delle stesse istituzioni ecclesiastiche hanno alimentato la cosiddetta “cultura mafiosa”. Ricordo i tempi in cui il cardinale principe di Palermo Ernesto Ruffini andava dicendo che in Sicilia la mafia non esiste.

Certo non possiamo dimenticare il grido di Giovanni Paolo II che nel 1993, nella valle dei templi di Agrigento, invitava i mafiosi a convertirsi annunciando il “giudizio di Dio”. E poi abbiamo avuto don Puglisi che la Chiesa beatificherà indicandolo come modello da seguire.

E mentre giornali anche importanti, attraverso editorialisti di turno, cercano di delegisttimare la procura di Palermo che cerca la verità sulle collusioni tra stato e mafia, non possiamo che evidenziare positivamente il monito che ci viene dalla Chiesa di Agrigento.

L’arcivescovo di quella città mons. Franco Montenegro ha negato la celebrazione eucaristica per i funerali di un presunto mafioso. Non è la prima volta che padre Montenegro combatte soprattutto contro la cosiddetta “cultura” mafiosa che opprime la nostra isola. Ne ha anche parlato qualche giorno fa per i festeggiamenti in onore di San Ca1ogero a cui gli agrigentini sono molto devoti. E’ necessario “passare parola” come sostiene Pietro Ingroia, soprattutto in un momento in cui i siciliani si apprestano ad eleggere i nuovi rappresentanti nell’assemblea regionale.

La lotta alla mafia deve essere quotidiana e deve contribuire a liberare tutte le istituzioni dalla collusioni mafiose. Un nuovo inizio è possibile, e la politica deve essere rifondata su nuovi principi per potere liberare la Sicilia dalla piovra che sempre rinasce.