Preti Operai a convegno. Servizio e potere nella Chiesa di R.Fiorini

Roberto Fiorini (*)
Adista Segni Nuovi n.25/2012

C’hanno chiesto se l’abbiamo fatto apposta, il convegno, a Bergamo in concomitanza con le giornate milanesi del papa. In realtà è da qualche anno che i preti operai si incontrano al “Paradiso” di Bergamo dedicando una delle giornate, il 2 giugno, all’approfondimento di un tema con l’invito aperto a tutti. Quest’anno, in assemblea numerosa, abbiamo riflettuto su “Servizio e potere nella Chiesa” e davvero in quei giorni il tema è stato azzeccato mentre in Vaticano la caccia ai corvi era in pieno svolgimento. Ma non pensate che la cosa ci abbia distratto più di tanto. Il tema meritava ben altro, e gli amici che abbiamo invitato a parlare ci hanno donato una ricchezza incredibile.
Rosanna Virgili ci ha portato dentro il Vangelo di Marco, premettendo che avrebbe preferito ascoltare noi, osservando volti che esprimono tutta una storia, piuttosto che essere lei a parlare. Ed ecco, subito, la citazione di Mc 10,42-45, «Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: “Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”».

Il Vangelo è rivelazione della vera identità di Gesù: dall’«Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio» (1.1) alla fine, dove la parola è affidata a un soldato pagano: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!» (15,39).

Nei Vangeli – dice Virgili – è già presente la Chiesa. Essi «sono un tentativo di rievangelizzare la Chiesa», infatti «sono arrivati dopo la prassi ecclesiale» dei primi decenni. E vi troviamo ampiamente la tentazione del potere. I suoi leader dimostrano un’impressionante «durezza di cuore» (4,40-41; 6,51-52; 7,18; 8,4.14-21) che si esprime sempre più fortemente. Il rimprovero inaudito che Gesù rivolge a Pietro dopo la sua confessione di Gesù Messia: «Va dietro a me. Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (8,33), smaschera la torsione del senso messianico tentata dal capofila dei dodici che ne stravolgeva tutto il senso. Il «Va dietro a me» significa che l’unica vera guida è Gesù stesso (Mt 23,10). è Lui e Lui solo che apre la strada.

Nonostante questo, Gesù rimarrà fedele con infinita dolcezza ai suoi discepoli, anche durante e dopo il loro abbandono. Da questo stile unico le Chiese tutte e i loro dirigenti hanno tutto da imparare, ma su una cosa c’è, da parte di Gesù, un’intransigenza assoluta: sul modo di concepire il potere. Qui la rivelazione dell’identità del Messia si salda con l’imperativo, senza se e senza ma, rivolto ai dodici. I verbi che Gesù utilizza nel passo di Marco sopra citato hanno una chiarezza cristallina e sanzionano la differenza messianica di Gesù. Per nominare il dominio dei signori mondani usa i verbi kata-Kuriéuo e kat-ex-ousiàzo che indicano esercitare la signoria e il potere dall’alto in basso verso qualcuno. Un potere che discende da uno che sta sopra nei confronti di tutti quelli che stanno sotto. Un no secco viene affermato: «Ma tra voi non è così». è la pars destruens dice Virgili. Tra voi non c’è alcuna posizione verticale. è il verbo diakonéo quello che descrive la messianicità di Gesù e di conseguenza l’imperativo per i discepoli. «Il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire». Anche per i dodici e per chi lo segue vale la stessa regola espressa in un rovesciamento di prospettiva e di posizione: il grande deve essere servitore, diacono, e il primo deve farsi schiavo degli altri.

«Va dietro a me» Gesù continua a dirlo innanzitutto ai “primi” e ai “grandi” della Chiesa, come a Pietro. L’abuso di potere, cioè la caduta nell’ideologia del potere mondano, non è una venialità, ma è la più grande tentazione e conserva una palpitante attualità. E non lo dice qualche testa calda, ma è il Vangelo ad attestarlo.

Il secondo intervento è stato offerto da Giovanni Miccoli, storico della Chiesa, per lo scorso anno con noi per offrirci la sua competenza. Miccoli, limitandosi alla Chiesa d’Occidente, apre il discorso riferendosi all’enciclica di Pio XI Quas primas che istituiva la festa di Cristo re.

«Sbaglierebbe gravemente chi togliesse a Cristo Uomo il potere su tutte le cose temporali, dato che Egli ha ricevuto dal Padre un diritto assoluto su tutte le cose create, in modo che tutto soggiaccia al suo arbitrio». E, citando Leone XIII, continua: «L’impero di Cristo non si estende soltanto sui popoli cattolici… ma abbraccia anche quanti sono privi di fede cristiana, di modo che tutto il genere umano è sotto la potestà di Gesù Cristo».

Ne deriva l’alleanza con i poteri costituiti attraverso la sacralizzazione delle autorità umane, alle quali si deve obbedienza: «La regale dignità di nostro Signore come rende in qualche modo sacra l’autorità umana dei principi e dei capi di Stato, così nobilita i doveri dei cittadini e la loro obbedienza».

Dal diritto di Cristo scaturisce il diritto della Chiesa che ne diventa titolare. Non riguarda solo l’eterno, ma si addentra pesantemente anche nel temporale. Attraverso concordati stabilisce alleanze e strappa concessioni, in un rapporto di scambio (allora con Mussolini, Hitler e Franco).

L’enciclica Quas primas rappresenta un punto di arrivo di un lungo processo che qui non possiamo riprendere. Alle spalle c’è comunque un cristianesimo imperiale che tale è rimasto nell’impianto e nel cui sviluppo avviene la concentrazione di potere assoluto nelle mani del vescovo di Roma: da vicarius Petri a vicarius Christi a vicarius Dei («Papa tantae est dignitatis… ut non sit simplex homo, sed quasi Deus, et Dei vicarius». Per Bellarmino diventa una locuzione impropria chiamarlo vicario di Pietro).

In breve ci si richiama «a un Cristo senza Gesù, che per questo non ha un volto, si trasforma in un’aureola di divinità alla quale si può dare il volto del potere ecclesiastico, che viene così sacralizzato» (González-Faus).

Padre Felice Scalia ci ha offerto la sua meditazione teologico-spirituale, sofferta e sincera. «La sete di potere c’è sempre stata nella Chiesa, come la spinta ad allargarlo sempre più… In 2000 anni di cristianesimo è avvenuto un abuso di potere che ha scippato della loro dignità i cristiani… “Ma tra voi non è così”: nel Vangelo troviamo questa buona notizia… è la buona notizia del Regno».

Il potere ha caratteristiche comuni in tutti gli ambiti, compresi quelli religiosi; dominio dell’essere umano sull’essere umano, è senza aggettivi: tutti si assomigliano

Vi è il potere di dominio che ha come caratteristica essenziale la disuguaglianza tra gli umani. E vi è il potere di servizio per il quale è fondamentale l’uguaglianza tra tutte le persone. I santi sono grandi per aver servito, rinnegando il diritto di rapina (Fil 2).

Ci troviamo di fronte a tanto potere e poco servizio, inteso come capacità di ascolto nella Chiesa, ascolto di come vive la gente che sta sotto (katà): si esprime come dottrinalizzazione massiccia, istituzionalizzazione fine a se stessa, verticalismo ossessivo, corsa verso il potere e l’arricchimento, lotte di corte pontificie e diocesane, condite in una massima di Machiavelli: «è impossibile conquistare il potere senza corruzione». E altro ancora.
Rimane un’unica possibilità: quella di riprendere in mano il Vangelo, come si è fatto nel Vaticano II che si tenta di imbalsamare. è quello che dobbiamo fare a partire da noi stessi.

Quanto mai attuale e concreta è la parola di Congar: «La Chiesa come tale, deve e può applicare le norme evangeliche che si tende a riservare ai cristiani, in quanto individui, come: perdonare i nemici, presentare la guancia sinistra, preferire i mezzi di poco valore, conoscere la tentazione dello spirito di possesso e di potenza, combattere contro la carne, ecc. è necessaria la storia, crediamo, per trattarli convenientemente. è una grande maestra di verità… La conoscenza delle forme storiche ci aiuta ad affermare meglio la permanenza dell’essenziale e il cambiamento delle forme».

(* ) Responsabile di redazione della rivista “PretiOperai”