Il femminicidio è crimine di Stato

Zina Crocé *
www.womenews.net

“La violenza maschile è la prima causa di morte per le donne”: lo ha affermato una componente della commissione Affari sociali della Camera, Daniela Dioguardi.

E proprio pochi giorni fa, l’inviata Onu Rashida Manjoo, nel rendere noto il primo Rapporto sul femminicidio in Italia, ha evidenziato una situazione grave e insostenibile: “queste morti non sono incidenti isolati che arrivano in maniera inaspettata e immediata, sono l’ultimo efferato atto di violenza che pone fine a una serie di violenze continuative nel tempo. La gran parte delle violenze non è denunciata poiché non è sempre percepita come un crimine”.

Succede, infatti, che certe forme maschili di violenza siano considerate “naturali”, perché spesso diventano parte integrante della quotidianità, dunque vengono “normalizzate” e accettate con rassegnazione, complice la “virtuosa” sopportazione, che certa tradizione continua a far gravare sulle spalle femminili.

La violenza contro le donne rigurgita ed esplode, in modo particolare, nei periodi di crisi economica, culturale e sociale, non sembra avere connotazioni di classe o di area geografica, riguarda tutti i ceti sociali, e unisce, in modo sciagurato, Nord e Sud del paese.

Gli ultimi Rapporti Onu mettono sotto accusa la cultura patriarcale (“innerva i rapporti di disuguaglianza tra uomini e donne”) ed evidenziano come l’origine di questa forma di violenza, fuori e dentro la famiglia, sia imputabile al persistere, in taluni soggetti maschili, del bisogno ancestrale di esercitare dominio sulle donne, considerate oggetti e non soggetti: valvole di sfogo, insomma.

Rashida Manjoo, nel valutare le “risposte” dello Stato, va giù duro: le stigmatizza come “non appropriate, né di protezione”, e arriva a definire il femminicidio “crimine di Stato”, perché di fatto “tollerato dalle pubbliche istituzioni”.

Il problema è molto serio, e dovrebbe essere affrontato a più livelli. Dovrebbero essere attivati, dove non operanti, Tavoli interistituzionali permanenti, con la partecipazione delle forze dell’ordine, per la messa a punto di azioni integrate. Per la gestione “fisica“ del problema, sul territorio, occorrerebbe potenziare l’illuminazione pubblica e realizzare impianti di videosorveglianza. Per fare ciò servono fondi, certo, e bisogna reperirli: la sicurezza è una priorità, non un fatto accessorio.

Le associazioni femminili, i club service, i circoli del cinema, le varie agenzie formative, potrebbero diventare luoghi di elezione per attività di analisi e di prevenzione. Un ruolo di rilievo sarebbe quello giocato dai Media, a cui da tempo sono rivolte le “Raccomandazioni” della Commissione pari opportunità della Federazione nazionale Stampa, anche secondo quanto indicato nel “Codice di autoregolamentazione per i Media” analizzato dall’Eurispes nel Rapporto 2004, inserito nel Libro Bianco “Women and Media in Europe”, e redatto da chi scrive.

Insomma, sarebbe necessaria una riflessione costante nei luoghi della formazione, dell’informazione, della politica.

Il problema richiede una radicale “politica” di formazione culturale. Purtroppo, nelle Scuole non sempre tali problematiche sono comprese. Nelle sue note conclusive all’opuscolo “P.O. on the Road”, curato, anche questo, da chi scrive, la responsabile della Direzione Generale per gli Affari internazionali dell’Istruzione dichiara “..non sono poche le difficoltà e le resistenze che incontrano le docenti impegnate nelle realizzazioni delle azioni dedicate alle tematiche di genere .

I colleghi le guardano con sospetto, o ironizzano sul loro lavoro…”. Da queste affermazioni si comprende bene come la situazione sia mal valutata addirittura da chi è addetto/a alla formazione. Diventa necessaria, quindi, un’adeguata formazione dei docenti, inclusi gli operatori dei servizi di medicina scolastica.

Questi devono sconfiggere un’altra forma di violenza, criptica e dunque più pericolosa: il diktat bellezza=magrezza che è indotto dalla “serializzazione” dell’identità femminile, ed è all’origine dei tanti fenomeni di anoressia che compromettono la qualità della vita delle adolescenti.

* Esperta di Gender Mainstreaming