L’ANGOLO DELLA GRU – Le buone pratiche: “Il cerchio da chiudere” di A.Bifulco

Aldo Bifulco
Cdb Cassano – Napoli

Era il 1971, quando negli USA veniva pubblicato “Il cerchio da chiudere”, scritto da Barry Commoner, e il movimento ambientalista scientifico era appena nato. La sua tesi appariva incontestabile: la natura funziona con cicli chiusi, perciò la natura non conosce rifiuti. Ogni degradazione ambientale, ogni inquinamento, ma anche l’aumento a dismisura dei rifiuti rappresentano una rottura di questi cicli. Non c’è altra soluzione: bisogna “chiudere il cerchio!”

E’ paradossale che ancora oggi ci siano tanti che vanno cercando buche da riempire (discariche) che non risolvono il problema e che avvelenano la terra con la “peste del duemila”, il percolato e tanti ancora che cercano “la macchina magica” (l’inceneritore), capace di far sparire i rifiuti, senza sapere che li trasformano in diossine, furani e microparticelle di metalli pesanti, mercurio, cadmio, piombo, sulla cui tossicità ed effetti cancerogeni ben pochi dubitano.

Paul Connett, altro famoso e più recente ambientalista statunitense, ha teorizzato e praticato la metodologia dei “rifiuti zero” e, non in un piccolo paese di montagna, ma in una grande città, a tecnologia avanzata, come San Francisco.

La fase più importante di questa strategia, dopo la separazione alla fonte (raccolta differenziata), è il “compostaggio” che rappresenta la chiusura del cerchio della frazione organica dei rifiuti, la frazione più abbondante e che genera maggiori problemi.

Paul Connett suggerisce di cominciare a modificare il linguaggio che spesso condiziona l’acquisizione dei “concetti”. Allora cominciamo a chiamare i rifiuti come “prodotti residui” o semplicemente come “potenziale risorsa”. Connett non sa che a Napoli siamo ancora più raffinati, quando vogliamo creare distacco, disagio, se non paura usiamo il termine (con tono dispregiativo) “monnezza”. Infatti, alcuni, pensano e indicano i “siti di compostaggio” come “depositi di monnezza”!!!

Compostare i materiali biodegradabili, significa recuperare tutta la ricchezza di un prodotto e contribuire a ricostruire il suolo consumato. L’”humus”, quei pochi centimetri di terra superficiale, fanno del nostro suolo, un “ecosistema vivente”. “Humus”, ha la stessa radice di “uomo”, di “umanità”. Ecco perché “compostare” è utile, è necessario, è bello!!

In questi anni, abbiamo sperimentato il compostaggio domestico, il compostaggio condominiale, abbiamo fatto esperienza nelle scuole, negli orti civici, presso alcune associazioni ed abbiamo assistito al “miracolo scientifico” della trasformazione dello sfalcio , delle bucce di banane, di patate e di mela, dei gusci d’uovo ecc. in terreno buono emanante “profumo di fertilità”!

Far scoprire al nostro sistema economico e sociale che il percorso ciclico della natura è il percorso più efficiente, meno costoso e più redditizio, significa evitare un sistematico deterioramento dell’ambiente ed avviare politiche virtuose anche dal punto di vista economico nella gestione dello smaltimento dei rifiuti. Per portare a compimento la strategia dei “rifiuti zero” c’è bisogno di considerare tre aspetti: 1) la responsabilità della comunità; 2) la responsabilità industriale; 3) una leadership capace.

Allora una comunità prima di discutere del “dove, come e quando”, dovrebbe accedere ad un’informazione corretta per essere responsabile e non essere preda di chi “sull’ignoranza e la paura” costruisce gli interessi di alcuni potentati economici e le fortune di alcune forze politiche.

E mi vengono in mente le parole colorite di Felice Pignataro, frutto di autentica saggezza “ dint’ a munnezza ce stanno e’ VITAMINE!”. Allora che facciamo di queste vitamine: le facciamo defluire nel percolato, le facciamo esalare con i fumi, oppure le recuperiamo?