Se la Russia imbavaglia la rete

Roberto Bertoni
www.articolo21.org

Mentre in Italia si è appena concluso il grottesco balletto di nomine per i vertici della RAI, con l’azienda appesa alle decisioni del Cavaliere “rieccolo” e dei suoi uomini, nella Russia dell’amico Putin hanno scelto di portarsi avanti col lavoro. La Duma (il Parlamento russo), infatti, ha votato un provvedimento che mette sotto controllo internet, così come avviene in Cina e in tutte le false democrazie sparse per il mondo.

Ciò è avvenuto nel silenzio quasi generale, come se questi temi non ci riguardassero da vicino, come se la libertà della rete non fosse una priorità assoluta, specie in un mondo sempre più globale e connesso, nel quale davvero un battito d’ali di una farfalla in Brasile può provocare un tornado in Texas. Ora, al netto dell’affascinante intuizione del matematico americano Edward Lorenz, pioniere della Teoria del caos, ci indigna assistere all’acquiescenza di numerose forze politiche, anche in ambito internazionale, di fronte a derive autoritarie delle quali, evidentemente, non si percepisce fino in fondo la pericolosità.

Bene ha fatto, a tal proposito, l’europarlamentare Debora Serracchiani a chiedere al ministro degli Esteri europeo, Catherine Ashton, di far sentire con vigore tutto il disappunto dell’Unione Europea nei confronti di un simile sopruso, ma abbiamo dei seri dubbi che il suo auspicio, che è ovviamente anche il nostro, avrà un seguito in un’Europa così tecnocratica e attenta solo ai vincoli di bilancio.

Questa è una delle circostanze nelle quali si avverte maggiormente l’assenza di un’unione politica, di una vera comunione d’intenti, di un’entità sovranazionale in grado di far sentire con autorevolezza la propria voce all’indirizzo di paesi che stanno compiendo un autentico scempio delle regole democratiche.

Non è la prima volta che accade, anzi. Basti pensare a quel che sta avvenendo in Ungheria, dove l’estrema destra sta facendo strame di tutti i diritti, a cominciare da quello all’informazione e ad una libera stampa. Basti pensare agli imbarazzanti silenzi che hanno avvolto per anni l’anomalia berlusconiana, considerata tale solo quando la sua permanenza al potere rischiava di far saltare l’intera Eurozona, aprendo così scenari apocalittici. Basti pensare a quanto poco spazio venga dedicato a questi temi dalle trasmissioni televisive e da quasi tutti i giornali.

Basti pensare a tutte le volte che il conflitto d’interessi (di Berlusconi e non solo) è stato derubricato a questione secondaria perché prima vengono il lavoro, le pensioni e tutto il resto, senza accorgersi che un diritto non esclude gli altri e che non ha senso stilare classifiche di priorità perché i diritti vanno sostenuti, rivendicati e difesi tutti insieme, sempre, altrimenti è fin troppo semplice calpestarli e cancellarli uno dopo l’altro.

Come sempre, Articolo 21 ci sarà. E non saremo soli, come non eravamo soli lo scorso 11 gennaio sotto l’ambasciata ungherese, durante il sit-in di protesta organizzato dall’FNSI contro i gravi attacchi sferrati dal governo di Viktor Orbán al pluralismo delle opinioni e all’indipendenza dei giornalisti magiari; come non lo siamo stati nel corso della lunga battaglia contro l’ACTA, recentemente vinta grazie alla bocciatura della norma liberticida ad opera del Parlamento europeo; come non ci siamo mai sentiti soli nel decennio di lotta contro tutto ciò che il berlusconismo rappresenta, a cominciare dalla Legge Gasparri e dalle vicende cui abbiamo assistito in questi giorni nel servizio pubblico (anche e soprattutto a causa della Legge Gasparri).

Saremo al fianco di tutti i giornalisti, gli intellettuali, i blogger e i semplici cittadini russi che vogliono continuare ad esprimere liberamente le proprie idee. Ci saremo perché siamo convinti che ogni idea, comprese quelle che respingiamo con sdegno, debbano comunque avere spazio.

Ci saremo, infine, per tener viva la memoria di Anna Politkovskaja e per denunciare con la dovuta fermezza il degrado morale di quest’epoca nella quale sembra che gli unici argomenti degni di attenzione siano lo spread e l’affidabilità economica dei singoli stati. Non è così, non deve essere così perché altrimenti il sogno di un’Europa unita e coesa, capace di opporsi alla barbarie e ai soprusi, rimarrà, per l’appunto, soltanto un sogno.

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Russia. Per Anna, Natasha e le altre vittime innocenti: noi non dimenticheremo

Andrea Riscassi
www.andreariscassi.it

Due anni fa, in occasione del primo anniversario dell’omicidio di Natasha Estemirova, scrissi un articolo per Articolo21 immaginando che per una volta le autorità russe facessero il loro dovere e arrestassero colpevoli e mandanti. Mi ero ispirato all’introduzione scritta da Adriano Sofri della raccolta di scritti di Anna Politkovskaja “Proibito parlare”, nel quale raccontava una presenza di tutti i potenti russi (e del mondo) alle esequie della giornalista russa: in realtà non vi partecipò nessun vip della Russia di Putin (né del mondo cosiddetto libero, salvo il buon Marco Pannella).

Due anni fa, non solo le autorità russe non fecero il loro dovere, ma misero in moto la macchina della propaganda: il principale collaboratore di Putin, Dmitri Medvedev (gli ha tenuto in caldo la seggiola al Cremlino per quattro anni) annunciò infatti al mondo che erano stati “individuati i killer della Estemirova”.

Io rimasi allibito. Quale presidente di un “paese normale” annuncia che sono stati individuati dei killer di una giornalista e attivista dei diritti umani senza averli prima arrestati (anzi, fatti arrestare)?

La mossa appariva solo come una macchinazione propagandistica per non interrompere il sogno della “nuova Russia” di Medvedev che tanto è piaciuta in Occidente (come non dimenticare il surreale “patto del sandwich” con Obama?).
In realtà Medvevev bluffava, ma tutta la stampa mondiale gli diede corda titolando acriticamente, proprio il giorno dell’anniversario, 15 luglio 2010, “Individuati i killer della Estemirova”.

Sono passati altri due anni, e le indagini devono essersi perse per strada. Eppure non dovrebbe essere difficile per un regime che fa della forza militare e poliziesca il suo biglietto da visita, individuare chi rapì in Cecenia l’esponente dell’ong Memorial, attraversò con lei a bordo cinque posti di blocco e un confine per lasciarla, qualche ora dopo, in Inguscezia, uccisa a colpi di pistola.

Ma cosa si può pretendere da questa Russia odierna?

Medvedev è tornato a guidare il governo e quindi continua a eseguire gli ordini di Putin. Questo d’altronde, mentre il mondo è più distratto del solito dalla crisi economica e sta stringendo i bulloni di una repressione che assomiglia sempre più a una tirannide personale: prima le limitazioni alla libertà di manifestare, poi ai finanziamenti stranieri alle Ong (che molti russi hanno timore a sostenere per rischi di ritorsione) e infine maggiori controlli alla libertà di navigare in rete.

Questi tre sono d’altronde i principali strumenti con cui si muove la sempre più forte opposizione (politica e sociale) al putinismo (che tra poco tornerà in piazza, dopo gli incidenti del 6 maggio).
Chiedere a questo governo, a questa giustizia, a questa classe politica che governa la Russia, da tre lustri, giustizia per Anna Politkovskaja, Natasha Estemirova e per tutte le vittime innocenti della Russia di Putin sembra un inutile esercizio di stile.

La speranza è che, quando il regime crollerà, qualcuno vorrà occuparsi di tutti questi casi, vorrà dare nomi e volti agli assassini. E sopratutto ai loro mandanti. Noi comunque non ci dimenticheremo chi ha finto di fare indagini, chi ha finto di dimenticare quelle coraggiose e quei coraggiosi che si esposero e che pagarono con la vita.