I matrimoni gay riguardano anche gli etero

Paolo Bonetti
www.italialaica.it

Quello che è avvenuto nella recente assemblea del partito democratico, durante la quale la presidente Bindi si è rifiutata di mettere in votazione un documento che impegnava il partito a sostenere le unioni omosessuali come di pari diritto rispetto a quelle eterosessuali, ha confermato, ancora una volta, che anche nel maggior partito di centro-sinistra e nonostante talune dichiarazioni in contrario del suo segretario, persistono pregiudizi e chiusure inaccettabili, in materia matrimoniale, sul trattamento da usare nei confronti dei cittadini che hanno un orientamento sessuale diverso da quello della maggioranza.

Si nega in questo modo a milioni di uomini e donne un fondamentale diritto civile, che è ormai pacificamente riconosciuto in quasi tutti i paesi dell’Europa occidentale e che si sta facendo strada, con l’appoggio dichiarato del presidente Obama, in molti stati della confederazione nordamericana. Non solo, perfino in Argentina, paese tradizionalmente machista, si parla concretamente di approvare una legge che garantisca la parità giuridica delle unioni omosessuali.

In Europa, il primo ministro conservatore inglese Cameron si appresta, dopo che in Gran Bretagna sono già da tempo ammesse le unioni civili fra persone dello stesso sesso, a varare una legge che equipari pienamente il matrimonio gay a quello tradizionale fra uomo e donna. In proposito Cameron ha dichiarato : “sono favorevole al matrimonio gay non malgrado il fatto di essere conservatore, ma proprio perché sono conservatore”. Con queste parole egli coglie bene, al contrario dei conservatori nostrani omofobici o, comunque, pronti a compiacere tutti i tabù e i divieti della Chiesa cattolica, il valore di stabilizzazione morale e sociale di un simile riconoscimento.

In un magistrale articolo apparso su Repubblica, un giurista autorevole come Stefano Rodotà ha mostrato, contrariamente a quello che si è sostenuto per anni, come non ci sia alcuna contraddizione fra il dettato costituzionale e il matrimonio fra persone dello stesso sesso. Inoltre, il trattato di Maastricht e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea vietano espressamente ogni discriminazione basata sulle tendenze sessuali, e ci sono sentenze della Corte costituzionale italiana e della Corte di Cassazione che riconoscono il diritto di coppie dello stesso sesso a vedersi riconosciuto un trattamento omogeneo a quello che la legge assicura alle coppie eterosessuali coniugate.

Ci si chiede allora per quale motivo non si riesce, in Italia, a fare approvare dal Parlamento una legge che è già stata approvata in paesi come la Spagna e il Portogallo, un tempo considerati assai più arretrati del nostro sul piano dei diritti civili. E, soprattutto, si rimane sorpresi quando si deve prendere atto che perfino partiti che si proclamano laici, messi alle strette, tentennano, rinnegano le loro promesse, cercano compromessi pasticciati che alla fine scontentano tutti. In Italia, neppure una legge assai prudente e moderata sui diritti civili delle coppie di fatto, etero e gay, si è riusciti a far passare in questi ultimi anni.

Eppure l’opinione pubblica è ormai in larga misura favorevole a una qualche regolazione giuridica di rapporti sentimentali e sessuali che sono largamente presenti e accettati nella nostra società. Nonostante ci siano ancora, nel nostro paese, comportamenti omofobici diffusi, che in molti casi sfociano nella violenza, anche per la mancanza di una legge che li punisca adeguatamente, il costume sociale è in gran parte cambiato e si è fatto più rispettoso del diritto di ogni persona di vivere liberamente le proprie emozioni, senza dover subire atteggiamenti di intolleranza e di rifiuto. Perché, allora, la classe politica e parlamentare, nella sua maggioranza, non prende atto di questi cambiamenti?

Il problema, anche in questo caso, è un difetto di laicità di quasi tutti i nostri partiti che, invece di rispondere ai cittadini di quello che fanno, si lasciano intimorire dalle condanne e dai ricatti elettorali della Chiesa cattolica e si mostrano, perciò, timorosi di offenderne le convinzioni in materia di etica familiare e sessuale. Ma l’etica della Chiesa in questo campo, fondata su una presunta e del tutto teorica legge di natura (che le ricerche antropologiche, sociologiche e psicologiche si incaricano puntualmente di smentire), è quanto di più retrivo e lontano dalla nuova sensibilità morale della società italiana, specialmente delle giovani generazioni, si possa immaginare.

Costringe, però, un gran numero di cittadini a vivere in una condizione di ingiusta e non più accettabile inferiorità giuridica, oltre che di vera e propria discriminazione morale. Per questo la questione del riconoscimento dei matrimoni gay ci riguarda tutti, quali che possano essere le nostre personali opinioni in materia, perché è una questione che concerne l’autonomia e la laicità dello Stato, la sua indipendenza da ogni autorità morale e religiosa esterna, il suo dovere di non considerare persone di serie B, e semplicemente da tollerare, quelle che manifestano orientamenti di vita diversi da quelli della maggioranza.

Quello che vale per la diversità politica, religiosa, etnica e culturale, non può non valere per la diversità nell’orientamento sessuale, che condiziona in profondità tutta la nostra vita di relazione. Mostrarsi esitanti su questa questione, non riconoscere che si gioca, su questa tema, la credibilità stessa delle nostre istituzioni, cercare scappatoie furbesche e sostanzialmente vili, significa tradire quella laicità che si dichiara a parole di voler difendere.

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Nozze gay se per la politica italiana quei diritti civili sono tabù

Stefano Rodotà
la Repubblica | 19.07.2012

Imprigionati da anni dalle logiche senza respiro dei partiti, i diritti civili continuano a porre domande ineludibili e compaiono nel sistema istituzionale con aperture che la politica continua a non vedere o a rifiutare. È ancora accaduto con le polemiche nel Pd sui diritti delle persone omosessuali.

Ma, per discutere in modo adeguato una questione così impegnativa, non basta ricordare i paesi che hanno riconosciuto il matrimonio tra persone dello stesso sesso, marcando la distanza tra l’altrui e il nostro rispetto per i diritti d’ogni persona. Bisogna partire da casa nostra, dove si sono manifestate novità che dovrebbero essere considerate un comune punto d’avvio per arrivare ad una seria disciplina legislativa, che è indecente e illegittimo continuare a rinviare.

Aveva cominciato il Trattato di Maastricht, vincolante per l’Italia, introducendo il divieto di discriminazioni basate sulle tendenze sessuali. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati, ha poi aggiunto una innovazione che muta profondamente il quadro istituzionale. Nel suo articolo 9 stabilisce che «il diritto di sposarsi e di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio». La distinzione tra “il diritto di sposarsi” e quello “di costituire una famiglia” è stata introdotta per legittimare il ricorso a modelli diversi per disciplinare i rapporti tra le persone che decidono di condividere la propria vita. E la novità dalla Carta diventa ancor più evidente se si fa un confronto con l’articolo 12 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950: «uomini e donne hanno diritto di sposarsi e di costituire una famiglia secondo le leggi nazionali che disciplinano l’esercizio di tale diritto».

Confrontando questo articolo con quello della Carta, si colgono differenze sostanziali. Nella Carta scompare il riferimento ad “uomini e donne”. Non si parla di un unico “diritto di sposarsi e di costituire una famiglia”, ma si riconoscono due diritti distinti, quello di sposarsi e quello di costituire una famiglia. Due categorie che hanno analoga rilevanza giuridica, e dunque medesima dignità: non è più possibile sostenere che esiste un principio riconosciuto – quello del tradizionale matrimonio tra eterosessuali – ed una eccezione (eventualmente) tollerata – quella delle unioni distinte dal matrimonio, riguardanti persone di sesso diverso o dello stesso sesso. Ma il punto essenziale è la cancellazione del requisito della diversità di sesso sia per il matrimonio, sia per gli altri modelli di famiglia.

Dall’Europa, dunque, arrivano indicazioni significative per quanto riguarda la dinamica dei diritti. Ma la politica rimane colpevolmente silenziosa. Se ne accorgono i giudici, con decisioni sempre più importanti.

Con la sentenza n.138 del 2010 la Corte costituzionale ha riconosciuto la rilevanza costituzionale delle unioni omosessuali, poiché siamo di fonte ad una delle “formazioni sociali” di cui parla l’articolo 2 della Costituzione. Con una conclusione importante: alle persone dello stesso sesso unite da una convivenza stabile “spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri”.

Sono parole impegnative: un “diritto fondamentale” attende il suo pieno riconoscimento. E nella sentenza si dice pure che “può accadere che, in relazione a ipotesi particolari, sia riscontrabile la necessità di un trattamento omogeneo tra la condizione della coppia coniugata e quella della coppia omosessuale”. Una barriera è caduta. Il Parlamento non potrà più usare l’argomento di un presunto obbligo di non creare “contiguità” tra disciplina del matrimonio e delle unioni di fatto. Certo, la Corte poteva andare oltre, tanto che la sua sentenza è stata definita “pilatesca”, perché ha lasciato sullo sfondo il principio di eguaglianza e ha trascurato l’indicazione proveniente dalla Carta dei diritti. Ma un passo importante è stato fatto, un diritto fondamentale è stato riconosciuto, sì che è ormai divenuta inaccettabile la disattenzione del Parlamento, che priva le persone di diritticostituzionalmente garantiti.

Lungo questo cammino, la Corte di Cassazione è stata più netta. Con la sentenza n. 4184 del 2012, riprendendo alcune conclusioni della Corte europea dei diritti dell’uomo, ha affermato che, essendo ormai venuto meno il requisito della diversità di sesso e poiché si è in presenza di un diritto fondamentale, le coppie formate da persone dello stesso sesso possono rivolgersi ai giudici «per far valere, in presenza di “specifiche” situazioni, il diritto ad un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata ».

Norme costituzionali, articoli della Carta dei diritti, sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo e delle nostre corti hanno chiarito quali siano i diritti delle persone omosessuali e stanno apprestando gli strumenti per garantirli. È disperante che i partiti si preoccupino più degli equilibri interni e delle alleanze possibili che del rispetto della dignità e dell’eguaglianza delle persone, rimanendo ancora sostanzialmente schiavi di quella che è stata chiamata la “politica del disgusto”, mentre è tempo di realizzare pienamente la “politica dell’umanità”