Il rifiuto dell’obbedienza o dell’onor ferito

Ileana Montini
www.womenews.net

Ecco, succede sempre così: un fatto o due di cronaca diventa motivo di bassa politica in mano alla spregiudicatezza e voluta ignoranza dei politici di mestiere.

L’on. pidiellina Isabella Bartolini, vicepresidente di gruppo alla camera, ha invocato una commissione sulla condizione delle donne straniere in Italia, dopo l’episodio del giovane egiziano che ha picchiato in pubblico la moglie perché si era tolta la velatura del capo, a causa dell’eccessiva temperatura siciliana di queste giornate agostane.

La condizione delle donne straniere è in assoluto peggiore della condizione delle donne autoctone? Chiara Saraceno, nel suo ultimo saggio (Cittadini a metà, ed. Rizzoli 2012) denuncia come le donne, “in Italia più ancora che in altri Paesi, hanno di fatto, ma per certi versi anche per legge (si pensi a talune norne invasive del corpo e della salute contenute dalla legge sulla fecondazione assistita), un diritto all ‘habeas corpus più ridotto di quello degli uomini. Più che in altri paesi occidentali sviluppati, infatti, sono esposte più degli uomini alla violenza in famiglia e fuori, e allo stesso tempo, sono esposte alla accusa di ‘essersela cercata’ a motivo della loro ‘incapacità’ a contenere il desiderio e l’aggressività maschile, o a difendersene. ”

In altri termini: l’autonomia dimostrata dalle suore statunitensi che hanno saputo prendere posizioni diverse su temi quali l’omosessualità, l’aborto, la contraccezione, non è pensabile per le suore italiane o per le superiori quando si riuniscono in assemblea nazionale. L’atteggiamento di ossequio e obbedienza al clero caratterizza da sempre le donne consacrate; confermandole in posizioni marginali all’interno della Chiesa istituzionale, ovvero della casta maschile sacerdotale.

Ma non è neppure pensabile che in Italia, o in Europa, nella status dell’emigrazione, le donne di cultura e religione musulmana, siano capaci di organizzarsi in qualche forma autonoma e critica verso interpretazioni normative a loro sfavorevoli.

Come è invece accaduto in Tunisia recentemente. La nuova Costituzione tunisina sopprime il principio di uguaglianza dei sessi per sancire il principio della complementarietà con l’uomo ’in seno alla famiglia e in quanto associata all’uomo nello sviluppo della patria”.

Un ritorno indietro in un Paese che ha visto, anche recentemente le donne attive e protagoniste delle varie proteste nazionali.

Il principio della complementarietà secondo natura, è una posizione intransigente delle tre religioni monoteiste. Gli scritti, articoli, saggi, libri, che circolano in Italia a opera dei gruppi dell’emigrazione islamica a cominciare dall’UCOII che governa la maggioranza dei centri di cultura islamica e le moschee, ribadiscano continuamente la “legge della Shari’a” .

“Certo – si legge in www. arabcomint. com -, da rigorosa praticante qul’e’, la donna musulmana si sottomette alla definizione islamica dei ruoli, ma, se è cosciente dei suoi doveri, lo è anche dei suoi diritti, che Dio le ha accordato, e che sono espressi, in forma sublime dal Corano, 1400 anni fa. Nonostante le apparenze, lo spirito delle muhajjabat (le velate) è impregnato delle nozioni d’uguaglianza e di libertà quanto quelle delle laiche: con la differenza che tali nozioni si esplicano attraverso una sottomissione intransigente alle norme islamiche. “

L’Islam, si legge in questo lungo documento, “si adatta perfettamente e con garbo, alle naturali inclinazioni dell’animo umano, maschile e femminile. (…)L’uomo non ha potere sulla donna, tranne che nello specifico contesto delle relazioni familiari. ”

Non è sostanzialmente diversa la teologia cattolica come si legge nel nuovo catechismo:” Spetta a ciascuno, uomo o donna, riconoscere ed accettare la propria identità sessuale. La differenza e la complementarità fisiche, morali e spirituali sono orientate ai beni del matrimonio e allo sviluppo della vita familiare. L’armonia della coppia e della società dipende in parte dal modo in cui si vivono tra i sessi la complementarità, il bisogno vicendevole e il reciproco aiuto. ”

Ora c’è un dato da interpretare: sono in aumento le denunce di giovani donne picchiate da padri e mariti e fartelli. Renzo Guolo, autorevole studioso del fenomeno migratorio, ha scritto un articolo sul quotidiano La Repubblica a proposito dell’episodio agrigentino (18 agosto , La prevalenza dell’onore).

La sua analisi merita la dovuta attenzione se si vuole comprendere la situazione delle donne musulmane nel nostro paese. Tra le comunità immigrate della Mezzaluna, scrive il sociologo, il “namus”, l’onore familiare, diventa in taluni gruppi e individui, “un principio che giustifica qualsiasi limitazione di libertà e soggettività femminile in nome del primato del primato della comunità sull’individuo.

Nel caso siciliano, oltre che lo svelamento in pubblico, ciò che può aver indotto la reazione è il rifiuto all’obbedienza, inconcepibile non solo in una concezione tradizionale e patriarcale dei rapporti di genere, ma soprattutto in uno spazio esterno come la strada in cui tutto è immediatamente visibile e narrabile. Dunque, anche ciò che disonora. ”

Guolo accusa però anche le politiche d’inclusione degli stranieri perché fanno mancare le possibilità di cittadinizzazione e interazione culturale. Comunque, le comunità delle varie etnie nazionali spesso continuano a confermare le originarie identità culturali, religiose e di genere. Le nostre istituzioni dalla scuola ai consultori, continuano, nel migliore dei casi, a darsi da fare con gli/le straniere in un atteggiamento generico di politically correct.

E’ assente, totalmente o quasi, una costante formazione degli /delle operatori/ci oltre che tecnica nei vari campi del sapere e delle competenze (sapere psicologico, medico,ecc. ) di contestualizzazione del fenomeno migratorio in termini sociologici, antropologici e politici. Questa assenza di aggiornamento culturale la si nota nella genericità e superficialità con la quale gli addetti alle straniere e agli stranieri, affrontano accadimenti come quello dell’egiziano e di sua moglie. Lo si ritiene un caso, uno dei tanti, insignificante rispetto al frame semantico, rispetto al sistema valoriale e normativo.

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Donne velate. Estate afosa

Ileana Montini
http://mareadriatico.blogspot.it

Occhiello: la donna ha deciso di non denunciarlo. Titolo: Picchiata per il velo. Fa pace con il marito. Firmato da Fabio Albanese su La Stampa (19 ag.) Una notizia di quelle che sono lontane mille miglia dal classico esempio, per studenti di giornalismo. Fa notizia quella che suona così: un uomo ha morsicato un cane. E non viceversa. In altri termini: tutto secondo copione nazionale perché la violenza contro le donne dilaga. In questo caso riguarda una giovane donna quasi “seconda generazione “ perchè il padre è un tunisino e la madre un’agrigentina.

La giovane si è innamorata di un ventunenne egiziano e si sono sposati, andando ad abitare a Torino dove lui lavora come operaio. Ma l’estate li richiama in Sicilia dove risiede ancora la famiglia di lei. Passeggiano sul lungomare quando lei, incinta, gli chiede il permesso di togliersi il velo che le copre il viso e il collo perché si sente soffocare a causa del caldo eccessivo di agosto. Lui rifiuta il permesso . Lei si strappa la velatura scatenando una violenta aggressione fisica. In ospedale, con 20 giorni di prognosi la dimettono ma la denuncia è scattata d’ufficio. Il perdono permette ilo ritiro. Intanto Papi Madoke Diop rappresentante della comunità senegalese di Agrigento, ha condannato la violenza sulla donna , precisando che non ha nulla a che fare con la religione e la cultura islamica.

Ma nulla pare abbia detto e dichiarato a proposito del permesso accordato alla moglie di non velarsi in pubblico fino al termine della gravidanza. Perché di permesso secondo il giornalista, si tratta. Si evince che ci sono stati due sbagli : lui non doveva reagire picchiando la moglie, lei non doveva provocarlo disubbidendogli in pubblico. Ora i diversi ruoli : moglie obbediente, marito nel suo ruolo di comando, sono stati ripristinati; cioè è stato riconosciuto, implicitamente, il danno all’onore di lui. Il “namus”,l’onore familiare, deve prevalere sempre e tanto più nella condizione dell’emigrazione.

La donna, il suo corpo, sono al servizio del namus. Agli uomini tocca il ruolo di far rispettare, sempre, l’onore familiare, soprattutto in pubblico. Inconcepibile è il rifiuto all’obbedienza in una concezione ancora patriarcale dei rapporti tra i sessi. La dinamica pubblico/privato nella cultura islamica diventa dentro/fuori e riguarda enormemente l’Islam in Europa. Cioè , il namus ,l’onore familiare, diventa centrale in tante comunità e si manifesta con un surplus di divieti, di limitazioni alla libertà e soggettività femminile.

Tanto più in presenza spesso di tendenze a vivere come comunità separate per preservare abitudini, valori, ritualità e simboli. Le donne allora sono investite del compito di manifestare in pubblico, con l’abbigliamento, l’appartenenza e l’isolamento comunitario. Nella pubblicistica islamica si giustifica come rifiuto all’omologazione ai valori Occidentali che avrebbero eliminato la dicotomia puro/impuro e dentro/fuori.

Si legge in un sito islamico: “La donna musulmana è, nell’immaginario collettivo, da sempre ,la ‘velata’. Il velo ,comunque, non è che il simbolo materiale di alcune caratteristiche morali che l’Islam incita a perseguire, e cioè l’onore, la dignità, la castità, la purezza e l’integrità.” In altri termini :” …la modestia nell’abbigliamento, obbligatoria anche per l’uomo, ha il compito di preservare l’integrità della donna ed il rispetto nei suoi confronti.”.

Come dimenticare un luglio soleggiato e afoso a Instambul dove donne coperte dalla velatura nera fino a terra passeggiavano nei pressi della moschea Blue, con accanto i partner in calzoni colorati e camice corte? Come dimenticare un altro luglio a Petra (Giordania) arabi con la tunica bianca e donne con l’abaya nero?