A proposito di legge 40 e della sentenza della Corte

Laura Piretti – gruppo nazionale UDI “Generare oggi”
www.womenews.net

Nel dibattito attualmente in corso, dopo la recente sentenza della Corte europea che boccia, come contraria ai diritti umani, la legge 40, ritroviamo gli argomenti che in questi anni hanno accompagnato prima l’approvazione della legge, poi il fallito referendum abrogativo, e ancora le battaglie legali intraprese da coppie e dai loro avvocati, le proteste dei medici, e, instancabile, la richiesta delle donne di avere giustizia e vedere cancellata una macchia sulla coscienza civile e legale di questo paese, paragonabile al “delitto d’onore”.

Una violenza di stato contro le donne e vero vulnus alla laicità, da rimuovere al più presto, a lungo interrogandosi, tutte e tutti, su come sia stato possibile arrivare a tanto.

Dunque sul divieto di indagine preimpianto, di accesso alla fecondazione medicalmente assistita da parte di coppie che non siano sterili, ma portatrici di malattie, sul divieto di congelare embrioni e l’obbligo di impiantarne tre, su questo o quell’aspetto, la Corte costituzionale e per ben 16 volte i Tribunali Amministrativi del nostro paese e ora la Corte Europea, si sono espressi, dando ragione a chi ha ricorso contro questa legge stupida e crudele. E pensare che il cardinale Bagnasco lamenta che i giudici italiani siano stati scavalcati dalla sentenza della Corte europea.

Inapplicabile e inapplicata, aggirata, quanto al divieto di fecondazione eterologa, dal turismo procreativo, elusa e in parte disinnescata dal buon senso della maggioranza dei medici, condannata dai tribunali…il mostro trova ancora i suoi sostenitori. I soliti noti verrebbe da dire: ex sottosegretarie che hanno trovato e trovano la propria ragion d’essere politica nel partito dell’embrione, cardinali, politici genuflessi.

L’UDI, che molto su questo tema ha lottato e argomentato e riflettuto in questi anni, al di là delle pur importanti disamine di questo o quell’aspetto della legge, ripropone alcuni problemi di fondo dai quali dibattiti e riflessioni non possono, secondo noi, prescindere.

Se è vero che il cuore malvagio di questa legge è il consapevole danno inflitto alla salute delle donne, manifestato in alcuni nodi eclatanti sui quali Tribunali e Corti si sono già pronunciati, ciò discende però dall’affermazione, posta in capo alla legge, che riconosce all’embrione diritti di persona.

Da questa tutela discendono i vari “non possumus”, come direbbero (e come dicono) alcune eminenze, ma anche non pochi politici, senza neppure scomodare il latino. E’ per questa tutela che non si congelano gli embrioni, dunque bisogna impiantarli tutti, ed è per non scartare gli embrioni “malati” che non si consente l’indagine preimpianto.

Le dichiarazioni dell’ex ministro Fioroni, riportate su La Repubblica del 30 agosto, secondo il quale è evidente il rischio di deriva eugenetica (ma anche nel governo, ministri continuano a paventare tale deriva, chiedendo equilibri fra i diritti in campo), se vere, sono gravissime, perché si basano sul raffronto fra nati e concepiti. Nessuna legge italiana, dicono, consente di eliminare un figlio ammalato, e continuano nella loro menzogna attribuendo anche alla legge 194 il divieto di indagine prenatale finalizzata all’individuazione di patologie. Secondo l’ex ministro Fioroni, infatti, l’aborto terapeutico previsto nella 194 è legato solo al rischio di vita e salute psichica della madre, mentre la legge parla chiaramente anche di gravi malformazioni del feto.

Allora va detto che il “*monstrum*”sta lì , che questa legge non è un pasticcio di incompetenti, e che l’assoluta inapplicabilità della maggior parte delle norme in essa contenute, pena gravi rischi per la salute delle donne, gravi rischi per la laicità dello stato, per la ricerca scientifica e per la libertà di scelta delle cittadine e dei cittadini, non deriva da ignoranza, ma da fredda determinazione.

Noi donne, che gli embrioni li portiamo in grembo, abbiamo sempre detto che “ci vuole il nostro consenso” e che solo se accettato dal corpo materno l’embrione diventerà persona. Chi tutela diritti di persona paritariamente contenuti in un’altra persona? Chi limita, chi controlla? Chi, infine, decide?

La dichiarazione dei diritti umani mette il diritto alla vita, all’educazione, alla salute ecc. fra i diritti di chi nasce e non a caso l’indimenticabile difensore dell’embrione, Giuliano Ferrara, chiedeva di cambiare proprio questo primo articolo, attribuendo tali diritti al concepito.

Sono questioni di principio che vanno costantemente ricordate, perché, insieme con l’insopportabile misoginia ed arretratezza culturale della nostra classe politica, è la ferita alla laicità dello stato che la zelante e devota legge 40 porta avanti. E’ in contraddizione con la legge 194, sì è vero, ma la più grande contraddizione è con i diritti inviolabili della persona. Dunque guardiamo bene gli articoli, le ricadute sulla salute delle donne, commi e pratiche, ma attenzione a che in premessa non vi sia nientemeno che una dichiarazione che il corpo delle donne è a disposizione e che esse sono persone la cui libertà ed integrità personale è di tanto in tanto sospesa.

E, a proposito di legge 194, è da imputare anche al braccio armato costituito dalla legge 40 il continuo scivolamento delle normative regionali verso la dichiarazione di diritti di persona all’embrione e la mutazione genetica dei Consultori da luoghi di salute e prevenzione, sostanzialmente femminile, a luoghi la cui efficienza è da misurarsi sul tasso di rinunce all’interruzione di gravidanza. Lazio, Veneto, ma anche altre Regioni conoscono bene tale problema e solo difficili battaglie, fatte e da fare, potranno difendere Consultori e autodeterminazione delle donne.

A Ministri e Governo chiediamo di non provare neppure a fare ricorso contro la sentenza della Corte europea, non ci interessano i cavilli giuridici: qui la questione è grossa, anzi grossolana. Molto alta è la nostra indignazione perché alla vergogna di averla promulgata, una tale legge, ora si aggiunga quella di difenderla; sulla legge 40 non c’è nulla da fare, va abrogata, cestinata eventualmente ricordata, a futura memoria, con orrore per l’insipienza, ignoranza e ferocia di cui è infarcita.

Sui temi eticamente sensibili, come vengono chiamati, è difficile poter imbastire leggi complesse ed esaustive. Molto meglio, e lo abbiamo sempre detto, una regolamentazione leggera, minimale, che lasci molto alla scelta informata delle cittadine e dei cittadini, alla loro coscienza, alla loro morale civile e religiosa.

Non meno, ma più Consultori, più prevenzione, più informazione rendono reale e fruibile, almeno su questioni quali quelle regolate dalla legge 40 o dalla legge 194, il governo del progresso scientifico, della tecnologia e consentono di muoversi sul terreno certamente complesso delle libertà e dei limiti.

Quanto alla legge 40 il vero grande problema, è che non avrebbe mai dovuto esserci, è un’offesa e una violenza alle donne del nostro paese, a quelle coppie che tentano, fra medioevali orpelli, la realizzazione di un sogno.

Anche sul sogno abbiamo ragionato, ci siamo interrogate sul progresso tecnologico, sul desiderio di maternità e sulla maternità stessa, quella che a volte sfugge quando la cerchi o ti si para davanti quando non la vuoi. Infine quella che comunque non verrà perché non hai lavoro e sei precaria a quarant’anni.

Non nascondiamo la difficoltà di trattare temi quale quello che la legge 40 pretenderebbe di regolare. Sulla fecondazione medicalmente assistita si aprono orizzonti anche per noi complessi e talvolta inquietanti. Utero in affitto, donazione di ovuli, dove finisce il mio diritto a volere, e dove incomincia eventualmente il mio sfruttamento di un altro corpo femminile.

Ma la legge 40 non ha niente a che fare con un serio tentativo di regolamentare questioni delicate e difficili, la legge 40 è una rozza creatura, impresentabile, inutile per ciò a cui dovrebbe servire, utilissima per altro: è stata infatti pensata per mantenere il controllo sulle scelte delle persone e sul corpo delle donne.

L’UDI, difendendo la sentenza della Corte europea, intende rimettere in campo tutta la battaglia per la difesa dell’integrità del corpo delle donne, per il diritto alla salute. Sappiamo che su questo terreno, sull’attacco strisciante e mai sopito alla legge 194, non passa solo l’asservimento della politica ai poteri forti che, sacrificando le donne, mantengono il loro potere sulle coscienze, e dunque il loro potere in assoluto, ma passa tutta una concezione della vita, delle persone, del rapporto uomo donna e della società.

Per noi donne, dunque, è ancora una volta una questione di esercizio reale del diritto di cittadinanza e come tale, con questa forza e questa ampiezza, lo abbiamo sempre affrontato e continueremo a farlo.

———————————————————————-

Ora liberi dalle ideologie

Stefano Rodotà
la Repubblica | 29.08.2012

Pezzo dopo pezzo la terribile legge sulla procreazione assistita, la più ideologica tra quelle approvate durante la sciagurata stagione politica che abbiamo alle spalle, viene demolita dai giudici italiani e europei.

Ieri è intervenuta la Corte europea dei diritti dell’uomo con una sentenza che ha ritenuto illegittimo il divieto di accesso alla diagnosi preimpianto da parte delle coppie fertili di portatori sani di malattie genetiche. Si tratta di una decisione di grandissimo rilievo per diverse ragioni, che saranno meglio chiarite quando ne sarà nota la motivazione. Viene eliminata una irragionevole discriminazione tra le coppie sterili o infertili, che già possono effettuare la diagnosi grazie ad un intervento della nostra Corte costituzionale, e quelle fertili. Viene rilevata una violazione dell’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che tutela la vita privata e familiare.

Viene constatata una contraddizione interna al sistema giuridico italiano, che permette l’aborto terapeutico proprio nei casi in cui una diagnosi preimpianto avrebbe potuto evitare quel concepimento. Viene messo in evidenza il rischio per la salute della madre, quando viene obbligata ad affrontare una gravidanza con il timore che alla persona che nascerà potrà essere trasmessa una malattia genetica (è questo il caso della coppia che si era rivolta alla Corte di Strasburgo perché, dopo aver avuto una bambina affetta da fibrosi cistica e dopo un aborto determinato dall’accertamento che nel feto era presente la stessa malattia, intendeva ricorrere alla diagnosi preimpianto per procreare in condizioni di tranquillità).

È bene sapere che tutte queste obiezioni erano state più volte avanzate nella discussione italiana già prima che la legge 40 venisse approvata, senza che la maggioranza di centrodestra sentisse il bisogno di una riflessione, condannando così la legge al destino che poi ha conosciuto, al suo progressivo smantellamento. La Corte costituzionale, già nel 2010, aveva dichiarato illegittime le norme che indicavano in tre il numero massimo degli embrioni da creare e accompagnavano questo divieto con l’obbligo del loro impianto. Vale la pena di ricordare quel che allora scrissero i nostri giudici: “la giurisprudenza costituzionale ha ripetutamente posto l’accento sui limiti che alla discrezionalità legislativa pongono le acquisizioni scientifiche e sperimentali, che sono in continua evoluzione e sulle quali si fonda l’arte medica; sicché, in materia di pratica terapeutica, la regola di fondo deve essere la autonomia e la responsabilità del medico che, con il consenso del paziente, opera le necessarie scelte professionali” (così la sentenza n. 151 del 2010). Le pretese del legislatore-scienziato, che vuol definire quali siano le tecniche ammissibili, e del legislatoremedico, che vuol stabilire se e come curare, vennero esplicitamente dichiarate illegittime.

La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo si colloca lungo questa linea. Quando si parla del rispetto della vita privata e familiare, si vuol dire che in materie come questa la competenza a decidere spetta alle persone interessate. Quando si sottolineano contraddizioni e forzature normative, si fa emergere la realtà di un contesto nel quale le persone sono obbligate a compiere scelte rischiose proprio là dove dovrebbe essere massima la certezza, come accade tutte le volte che si affrontano le questioni della vita. Vi sono due diritti da rispettare, quello all’autodeterminazione e quello alla salute, non a caso definiti “fondamentali”. Di questi diritti nessuno può essere espropriato. Questo ci dicono i giudici, che non compiono improprie invasioni di campo, ma adempiono al compito di riportare a ragione e Costituzione le normative che investono il governo dell’esistenza. Né si può parlare di una deriva verso una eugenetica “liberale”, proprio perché si è di fronte ad una specifica questione, che riguarda gravi patologie.

Ma la sentenza della Corte di Strasburgo è una mossa che apre una complessa partita politica e istituzionale. Saranno necessari passaggi tecnici per far sì che tutte le coppie a rischio di trasmissione di malattie genetiche possano effettivamente accedere alla diagnosi preimpianto.

Passaggi che potranno essere ritardati dal fatto che il governo ha tre mesi per impugnare ladecisione davanti alla “Grande Chambre” di Strasburgo. Questa impugnativa è invocata dai responsabili di questo disastro legislativo e umano. Il ministro Balduzzi, prudentemente, parla della necessità di attendere le motivazioni della sentenza. Ma può il Governo scegliere una sorta di
accanimento terapeutico per una legge di cui restano soltanto brandelli, di cui le giurisdizioni europea e italiana hanno ripetutamente messo in evidenza le innegabili violazioni della legalità costituzionale?
Questa sarebbe, invece, la buona occasione per uscire finalmente dalle forzature ideologiche. In primo luogo, allora, bisogna prendere atto, come buona politica e buon diritto vorrebbero, che bisogna riscrivere la legge davvero sotto la dettatura, non dei giudici, ma delle indicazioni costituzionali, obbedendo alla logica dei diritti fondamentali. Ma, in tempi di carte d’intenti e di programmi elettorali, sarebbe proprio il caso di abbandonare fondamentalismi e strumentalizzazioni. Il dissennato conflitto intorno ai “valori non negoziabili” dovrebbe lasciare il posto ad una attitudine capace di riconoscere che vi sono materie nelle quali l’intervento del legislatore deve essere in primo luogo rispettoso della libertà delle persone e della loro dignità, che non possono essere sacrificate a nessuna imposizione esterna