Procreazione assistita: una questione di buon senso

Paolo Bonetti
www.italialaica.it | 31.08.2012

Come i lettori certamente sanno, la Corte europea dei diritti umani ha dichiarato contraddittoria e violatrice della Carta europea dei diritti, la legge 40 che regola (o dovrebbe regolare) la procreazione assistita nel nostro paese. In realtà, questa legge è già stata in gran parte demolita da pronunce della Corte costituzionale e da sentenze dei tribunali italiani. Nel caso esaminato dai giudici di Strasburgo, i ricorrenti (una coppia di coniugi portatori sani di fibrosi cistica) contestavano il divieto della legge di procedere alla diagnosi pre-impianto dell’ovulo fecondato, per evitare che il nascituro possa sviluppare quella grave malattia genetica. Una semplice questione di buon senso, se il buon senso fosse stato la guida della maggioranza dei legislatori che, a suo tempo, approvarono la legge. Che cosa c’è di più naturale del desiderio di una coppia fertile, ma portatrice sana di un difetto genetico, di mettere al mondo un figlio che non sia costretto a pagare le conseguenze di una procreazione irresponsabile? Oggi la scienza ci permette di dare la vita a una nuova creatura senza che la sua esistenza sia gravata, fin dall’inizio, da un peso di sofferenza facilmente evitabile. Ma coloro che approvarono la legge, e soprattutto coloro che la ispirarono, non della concreta sofferenza dei nuovi nati si preoccuparono, ma della conformità a una ideologia religiosa che continua a identificare un embrione di poche cellule con un feto pienamente sviluppato o addirittura con un bambino. Rispettiamo questa credenza, anche se non la condividiamo, ma il punto sostanziale della questione, in uno Stato davvero laico, è un altro: non è ammissibile che i valori e i giudizi morali a cui ciascuno di noi deve essere libero di ispirare i propri comportamenti siano imposti, con la forza della legge civile, anche a coloro che non li condividono.

Giustamente il professor Umberto Veronesi, in una intervista a “Io Donna”, ha ricordato che il referendum abrogativo del 2005, col quale si cercava di porre rimedio a una legge assurda (che prevedeva, fra l’altro, oltre al divieto della diagnosi pre-impianto, anche quello della fecondazione eterologa e quello di congelare gli ovuli fecondati non impiantati, assieme all’obbligo di impiantare non più di tre embrioni) venne reso vano dall’astensionismo propagandato dalla Chiesa e dall’indifferenza di troppi italiani per un problema umano doloroso e grave da cui però, per loro fortuna, non erano direttamente toccati. Ma fu soprattutto l’astensionismo ideologico del mondo cattolico, secondato da partiti il cui unico scopo era quello di compiacere l’autorità ecclesiastica, a negare a migliaia di coppie il fondamentale diritto a una procreazione consapevole e responsabile. Fra l’altro, c’erano in quella legge sgangherata, delle incongruenze spinte fino al grottesco: che senso ha, a difesa di una concezione etico-religiosa che dichiara persona anche lo zigote, l’embrione di una sola cellula, consentire che potessero sacrificati, in caso di insuccesso, fino a tre embrioni, mentre, con un eventuale quarto, si commetteva un vero e proprio omicidio? L’unica spiegazione è che i legislatori, non volendo deludere del tutto le legittime aspettative di tante coppie, ma volendo parimenti compiacere le richieste del Vaticano, combinarono un vergognoso pasticcio, che non ha retto alla prova dei fatti e ha svelato tutta la sua inconsistenza al momento della concreta applicazione della legge. Tuttavia la legge, ridotta ormai a brandelli, è ancora lì, e il governo italiano, invece di abrogarla definitivamente, pare che abbia intenzione di presentare ricorso alla Corte di Strasburgo, con la scusa di chiedere ulteriori chiarimenti, come se la sentenza non avesse già messo in chiaro l’inconsistenza giuridica della legge 40, oltre che la sua inaccettabile pretesa morale di imporre a tutti i cittadini italiani le convinzioni di una minoranza. Ma si trattasse anche della stragrande maggioranza, non per questo ad essa dovrebbe essere consentito di violare quei fondamentali diritti di libertà che appartengono a ciascuno di noi indipendentemente dal nostro orientamento religioso, morale o ideologico.

C’è un altro punto sul quale Veronesi dice parole chiare e inequivocabili : “io credo – egli afferma – che il medico debba informare il paziente in modo che le sue scelte siano coscienti e autonome, e poi deve rispettarne la volontà e il diritto all’autodeterminazione, al di là delle proprie convinzioni personali”. Qui si tocca un punto delicatissimo riguardante il ruolo del medico nel suo rapporto con coloro che ricorrono alle sue prestazioni per problemi in cui possono essere in gioco visioni morali del tutto opposte. Si pensi, tanto per fare gli esempi più controversi, anche all’aborto e al testamento biologico. Si sostiene generalmente che il medico non può essere costretto a fare cose che contrastino con la sua coscienza e s’invoca, a questo proposito, il diritto all’obiezione di coscienza. Ma non si dovrebbe dimenticare che esiste anche la coscienza di colei che ritiene giusto, in determinate circostanze, il ricorso all’aborto, o la coscienza di colui che vuole porre fine a condizioni di vita ritenute non più dignitose. La legge deve tutelare la libertà di coscienza di tutti, anche se può essere difficile, in molte circostanze, garantire esigenze radicalmente contrastanti. Lo Stato laico non può, però, fare discriminazioni fra coscienze che sono legittimamente portatrici di valori diversi e deve assicurare, in ogni caso, quei servizi medici che rendono effettivamente operanti i diritti.