Carlo Maria Martini di B.Manni

Beppe Manni
Gazzetta di Modena, 17 settembre 2012

Carlo Maria Martini era venuto a Modena a parlare al San Carlo alla fine degli anni 70, quando era solo esperto biblista. Erano anni nei quali si sentivano ancora gli echi e si viveva l’entusiasmo del Concilio. Nella nostra città c’era stato un grande rinnovamento biblico attraverso figure molto importanti come don Diaco, don Dossetti, don Lombardini. Ma si sentiva già aria di restaurazione: il vescovo Foresti ad esempio, proibiva ai seminaristi di andar ad ascoltare le conferenze del San Carlo istituto in odore di eresia.

Martini non “contestava” gli insegnamenti ufficiali della gerarchia ma chiedeva con sobrietà e dolcezza di riflettere su questioni urgenti che intercettavano e interrogavano l’uomo moderno: bioetica, morte dolce, rapporto con le altri religioni e le altre confessioni; l’ordinazione di uomini sposati e delle donne; la riammissione dei divorziati ai sacramenti, le unioni civili ecc. Chiedeva di allentare la morsa dell’ortodossia e privilegiare il dialogo e la ‘misericordia’. Il suo è stato un grido d’amore per la sua chiesa ‘arretrata di 200 anni’, come diceva, che rischia di fallire la sua missione se non ritorna al vangelo. Anche i suoi ultimi giorni di sofferenza e di morte sono stati vissuti nel silenzio e nella preghiera senza esibizioni sfacciate e auto dichiarazioni profetiche.

L’eco straordinaria dei suoi insegnamenti è legata anche alla situazione ingessata della chiesa italiana. La gerarchia sembra rigida e inamovibile. Non ci sono luoghi ufficiali dove si possa liberamente discutere. “Il Popolo di Dio” sembra muto e obbediente. Si chiede al fedele un consenso totale e spesso non ragionato. Il concilio aveva parlato di ricerca teologica, di collegialità dei vescovi, di popolo di Dio ‘parlante’, di dialogo con il mondo. Ma nessun vescovo o cardinale ha il coraggio di fare affermazioni non in linea; discorsi ben preparati, che raccolgono il plauso acritico dei fedeli e dei giornali ma niente di nuovo che dia speranza, che morda la realtà. Nessuna buona novella. Forse i sacerdoti che diventano vescovi sono persone omologate e sicure, che non sognano più un’altra chiesa possibile.
Così ci appaiono anche molti preti che oggi escono dai seminari, che sembrano più irregimentati dei vecchi parroci.

O come diceva Martini, per garantirsi una carriera bisogna tacere. Sembra che si stia ritornando ad una spiritualità sganciata dalla quotidianità; belle ed elaborate liturgie spesso senza anima. Ritorno ai pellegrinaggi di massa e devozioni che portano consenso e denaro.

Le duecentomila persone che hanno visitato la bara del Cardinale ci vogliono pur dire qualcosa. C’è un popolo smarrito, che non ha voce né attraverso i suoi preti e vescovi, né sui Mass Media e che non si sente rappresentato da questa gerarchia. Una gerarchia irresponsabilmente intrappolata in questioni politiche e finanziarie; incapace di dare qualche segno di coraggio e di speranza; non disponibile ad un autentico dialogo con la società moderna. Sembra ignorare l’allontanamento di massa degli spiriti più pensanti e dei giovani.

Ci vengono in mente le desolate parole di Matteo quando racconta che Gesù ebbe compassione delle folli che erano come pecore senza pastore e si mise a parlare del regno di Dio.

I cristiani avranno un po’ di sana audacia e riprenderanno coralmente la parola a 50 anni dall’inizio del Concilio Vaticano II?