Non c’è pace. Costruiamola insieme!!!

Appello al popolo della PerugiAssisi. Contro questa situazione insostenibile vogliamo e dobbiamo reagire.
www.perlapace.it

Non c’è pace!!! Troppe persone precipitano ogni giorno nella povertà e nella disperazione. Succede in Italia, in Europa e nel resto del mondo. Troppe ingiustizie si sommano ad altre ingiustizie. Troppi problemi attendono inutilmente di essere risolti. Troppi soldi continuano a riempire il mondo di armi. Troppe armi alimentano nuove guerre. Troppi egoismi, complicità e indifferenza impediscono che le cose cambino. La crisi semina paure, angoscia, sfiducia, chiusura, insicurezza e moltiplica i conflitti. Quella che stiamo vivendo è sempre più una grave crisi di diritti. E senza diritti non c’è pace. Contro questa situazione insostenibile vogliamo e dobbiamo reagire.

La pace è un bene prezioso, un bene comune, irrinunciabile e indivisibile. O c’è per tutti o non c’è per nessuno. L’illusione di poter difendere la nostra “pace” negando o fregandosi di quella degli altri ci impedisce di agire insieme come dovremmo. Siamo ormai parte di una comunità europea, mediterranea, globale. Non ci sono più i “fatti nostri” e quelli “degli altri”. Per questo dobbiamo impedire che la crisi ci renda ciechi e sordi davanti alle grandi sfide comuni che incombono. Per rispondere positivamente ai problemi delle persone bisogna agire contemporaneamente a livello locale e a livello mondiale. Altrimenti non ce la faremo.

La pace richiede più responsabilità personale. Istituzioni deboli e governi irresponsabili ci lasciano sempre più soli davanti a problemi internazionali sempre più gravi e complessi. La crisi della politica e delle istituzioni, unita alla crisi dell’Europa e del modello economico neoliberista ci costringe ad accollarci una responsabilità maggiore. Se davvero vogliamo la pace dobbiamo essere disponibili a fare la nostra parte, con generosità e competenza. Partire da noi, da quello che possiamo fare in prima persona, nell’ambito delle nostre possibilità, ci consente di esigere con ancora più forza e autorevolezza il cambiamento che è sempre più urgente.

PerugiAssisi. Dalla Marcia di un giorno alla Marcia di tutti i giorni. Molte volte abbiamo camminato insieme da Perugia ad Assisi per la pace e i diritti umani. Oggi più che mai abbiamo bisogno di trasformare quel gesto in un impegno quotidiano. Camminare insieme, giorno dopo giorno, darà valore “politico” all’impegno personale e alla testimonianza di ciascuno. Il popolo della PerugiAssisi, una vasta rete di persone, gruppi, associazioni ed enti locali, deve farsi sentire con più continuità, competenza e profondità, agendo insieme con una strategia comune.

La pace comincia dalle nostre città-mondo. Il nostro impegno per la pace deve crescere innanzitutto nei luoghi in cui viviamo tutti i giorni, scuole, posti di lavoro, città. Deve essere aperto, costruttivo e inclusivo. E’ qui che il discorso sulla pace diventa più immediato e concreto. E’ qui dove comincia il rispetto dei diritti umani e la nostra responsabilità di costruttori della pace. E’ qui che dobbiamo agire per rinsaldare l’agenda interna con quella internazionale. Nel tempo della crisi ciascuna delle nostre città deve diventare un laboratorio di quel cambiamento che invochiamo per il mondo intero.

Se vogliamo la pace dobbiamo educarci alla pace. La cultura che respiriamo è ancora una cultura di guerra, intrisa di individualismo, egoismo e indifferenza. Per questo, prima di tutto, dobbiamo educarci ed educare alla giustizia e alla pace. Abbiamo bisogno di diffondere e consolidare un’altra cultura, un’altra scala di valori, un’altra idea della pace lontana da ogni atteggiamento di rinuncia, accomodamento e utilitarismo. Abbiamo bisogno di costruire un’informazione e una comunicazione pubblica di pace, libera da lacci economici e politici, attenta alla vita reale delle persone e dei popoli. Investire sui giovani, consentirgli di essere parte attiva della comunità “glo-cale” e del cambiamento epocale che stiamo vivendo, non è solo un’opportunità per tutti ma un dovere primario. E tutti si devono sentire corresponsabili.

Non c’è pace senza una politica di pace. Molti problemi sono fuori dalla nostra portata. Ma quello che non possiamo fare in prima persona lo può e lo deve fare il nostro paese, l’Italia e l’Europa. L’Italia e l’Europa devono essere pienamente consapevoli delle sfide che ci investono a partire dal Mediterraneo e dal vicino Oriente e devono assumere una politica di pace e fratellanza, di disarmo e cooperazione fondata sulla promozione dei diritti umani, coerente con il progetto iscritto nella nostra Costituzione e nelle carte fondamentali dell’Europa e delle Nazioni Unite. L’assenza di questa politica, il ripiegamento dell’Italia e dell’Europa ci stanno esponendo a seri pericoli e ci stanno facendo perdere grandi opportunità. Non ce lo possiamo permettere. Una fase della nostra storia deve essere chiusa per cominciarne un’altra. Costruirla dal basso è un dovere che ci dobbiamo e vogliamo assumere. Facciamolo insieme!

Perugia, 26 settembre 2012

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La Tavola della Pace: via le truppe da Kabul

Umberto De Giovannangeli
www.unita.it

Una sfida a tutto campo. Progettuale, non ideologica. Fatta di proposte, non di anatemi. Una sfida alla politica ma anche alla società civile. «Tagliare la spesa militare e investire sulla cooperazione a tutti i livelli». Ritirare le truppe italiane in Afghanistan «ora e non nel 2014 per risparmiare 1.500 milioni di euro da destinare in parte alla società civile afghana». Ed ancora, «impedire la prossima guerra in Medio Oriente attorno all’Iran» e «modificare la legge delega di riforma dello strumento militare». Sono alcuni capisaldi dell’Agenda per la pace, presentata ieri a Roma dalla Tavola della pace, e rivolta al mondo della politica. «Serve un cambiamento profondo – rimarca il coordinatore nazionale della Tavola, Flavio Lotti – che può avvenire solo attraverso un cambiamento politico. In vista delle prossime elezioni politiche chiediamo un confronto con tutti coloro che si candidano a cambiare il nostro Paese». L’agenda della Pace, sostiene Lotti, servirà per aprire un dibattito con «persone diverse, che vogliono seriamente» prenderla in considerazione: «Ci rivolgiamo a tutti i partiti e agli attori nuovi senza distinzioni, purchè ci tengano veramente a questi temi».

Tra gli altri punti in agenda anche l’intervento diplomatico in Siria. La Tavola della pace, ha poi aggiunto Lotti, «quest’anno non organizzerà la marcia Perugia Assisi, ma andrà in missione di pace in Israele e Palestina, per dire all’ Italia che quei fatti ci riguardano direttamente». Una politica di pace all’altezza dei tempi significa anche ripensare il modello di difesa, l’idea stessa di sicurezza. La legge delega di riforma dello strummento militare «va modificata», perchè «è una riforma falsa e rischia di essere fatta per salvaguardare i privilegi delle gerarchie militari», sottolinea ancora Lotti. La riforma, aggiunge, «preoccupa, però, al momento, di più il ministro della Difesa Giampaolo Di Paola. A quanto apprendiamo – spiega – ci sarà una spending review numero tre che conterrà tagli anche per la difesa, che speriamo siano più alti di quelli che colpiranno gli altri settori. Quello che rimane, comunque tantissimo, non può essere usato per una falsa riforma». Lotti ha quindi fatto presente che «la partita degli F35 è congelata, perchè non ci sono i soldi per portarla avanti. Oggi o i militari cambiano approcci o la guerra, come la intendono loro», proprio a causa della mancanza di fondi «non potranno più farla».

A «scrivere» l’Agenda è un arco amplissimo di associazioni, gruppi di base, sindacati, Ong: dall’Arci alle Acli, dalla Cgil alla Legambiente, dall’Assopace al Cipsi: la migliore espressione di un pacifismo consapevole, capace di coniugare idealità e concretezza. Alla base c’è la convinzione che «Non c’è pace senza una politica di pace. «Molti problemi – rimarca “l’appello al popolo della pace” – sono fuori dalla nostra portata. Ma quello che non possiamo fare in prima persona lo può e lo deve fare il nostro paese, l’Italia e l’Europa. L’Italia e l’Europa devono essere pienamente consapevoli delle sfide che ci investono a partire dal Mediterraneo e dal vicino Oriente e devono assumere una politica di pace e fratellanza, di disarmo e cooperazione fondata sulla promozione dei diritti umani, coerente con il progetto iscritto nella nostra Costituzione e nelle carte fondamentali dell’Europa e delle Nazioni Unite.

L’assenza di questa politica, il ripiegamento dell’Italia e dell’Europa ci stanno esponendo a seri pericoli e ci stanno facendo perdere grandi opportunità. Non ce lo possiamo permettere. Una fase della nostra storia deve essere chiusa per cominciarne un’altra. Costruirla dal basso è un dovere che ci dobbiamo e vogliamo assumere». Un impegno che chiama in causa la responsabilità personale. Nessuno può
chiamarsi fuori. «Istituzioni deboli e governi irresponsabili – rimarca ancora l’appello – lasciano sempre più soli davanti a problemi internazionali sempre più gravi e complessi. La crisi della politica e delle istituzioni, unita alla crisi dell’Europa e del modello economico neoliberista ci costringe ad accollarci una responsabilità maggiore. Se davvero vogliamo la pace dobbiamo essere disponibili a fare la nostra parte, con generosità e competenza. Partire da noi, da quello che possiamo fare in prima persona, nell’ambito delle nostre possibilità, ci consente di esigere con ancora più forza e autorevolezza il cambiamento che è sempre più urgente».

L’altra convinzione è che la pace è un bene prezioso, un bene comune, irrinunciabile e indivisibile. «O c’è per tutti o non c’è per nessuno. L’illusione di poter difendere la nostra “pace” negando o fregandosi di quella degli altri ci impedisce di agire insieme come dovremmo. Siamo ormai parte di una comunità europea, mediterranea, globale. Non ci sono più i “fatti nostri” e quelli “degli altri”. Per questo – ribadiscono le organizzazione che ogni anno danno vita al- la marcia Perugia-Assisi – dobbiamo impedire che la crisi ci renda ciechi e sordi davanti alle grandi sfide comuni che incombono. Per rispondere positivamente ai problemi delle persone bisogna agire contemporaneamente a livello locale e a livello mondiale. Altrimenti non ce la faremo». La sfida è lanciata. Sta ora ai partiti alle istituzioni, al Governo mostrare all’altezza.

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Difesa, dubbi etici e costi elevati

Flavio Lotti
www.famigliacristiana.it

«Un plotone di suore». Il generale Luigi Ramponi, ora senatore del Pdl, è il più esplicito: «Se in Irak avessimo voluto fare un intervento umanitario avremmo inviato un plotone di suore. Quello è stato un intervento bellico vero e proprio». Ci sono molte cose che le vecchie gerarchie militari italiane non sopportano: che in Italia (e solo in Italia) si debba chiamare la guerra con un altro nome (missioni di pace); che i politici dicano quali armi usare o non usare nel campo di battaglia (in Kosovo come in Afghanistan); che il Parlamento “pretenda” di decidere come ristrutturare e riorganizzare le Forze armate, quali armi comperare o rottamare; che il Paese non riconosca sino in fondo la loro importanza, la loro funzione, il loro valore.

Ma, anche per loro, il problema più grande oggi è un altro e si chiama crisi economico-finanziaria. I soldi non ci sono più. L’illusione di continuare ad aumentare la spesa militare è archiviata e ora tocca davvero fare i conti con la spending review. Ne è ormai convinto obtorto collo anche il ministro tecnico della Difesa, l’ammiraglio Giampaolo Di Paola, che il 25 settembre ha concluso il convegno sul ruolo dell’Italia nelle missioni internazionali organizzato presso la Camera dei Deputati dallo Iai (Istituto affari internazionali) e dall’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale).

Il problema resta “come fare” e “cosa fare”. e soprattutto: con quali obiettivi? Le tesi emerse nel corso del convegno – un convegno blindato, senza contraddittorio – ci debbono preoccupare non tanto per il contenuto quanto per la totale assenza di una riflessione critica sulle sfide internazionali che il nostro Paese è chiamato ad affrontare e sugli strumenti più appropriati per fronteggiarle. Un vuoto, che è innanzitutto politico, che ci deve allarmare perché lascia il nostro paese privo di una visione e di un progetto in grado di affrontare il tempo lungo e difficile della crisi e del cambiamento che stiamo vivendo.

Le idee del ministro sono tanto semplici quanto disarmanti. Tutte centrate nella difesa dei privilegi e delle ambizioni delle vecchie alte gerarchie. Sono passati trent’anni da quando abbiamo fatto la prima missione di pace in Libano. Da allora siamo cresciuti (leggasi le Forze armate), ci siamo liberati della sindrome degli sconfitti (ultima guerra mondiale), abbiamo imparato sul campo a fare la guerra e anche a costruirci delle buone armi (leggasi Finmeccanica), abbiamo inventato i soldati di pace e la via italiana alle missioni militari e oggi molti ci vogliono copiare, non abbiamo nulla da invidiare agli altri, abbiamo tenuto alta la bandiera dell’Italia nel mondo. Ora dobbiamo salvaguardare la nostra “capacità operativa” (leggasi fare la capacità di andare in guerra a 300, 6000 o 10.000 chilometri da casa nostra).

Per questo, prosegue una certa scuola di pensiero, il Parlamento deve lasciar fare senza troppe discussioni che fanno solo perdere tempo, deve approvare entro la fine dell’anno il disegno di legge delega (in bianco) oggi in discussione al Senato e deve garantire
1) che non ci saranno altri tagli di bilancio,
2) che per i prossimi 12 anni ci saranno almeno le stesse risorse previste ora,
3) che appena possibile ci dovranno essere nuovi finanziamenti soprattutto per l’industria bellica e le nuove armi come gli F35 che vanno assolutamente comprati per restare nel primo gruppo degli interventisti.

La politica, termina questo indirizzo geostrategico-economico, deve sostenere e si deve impegnare di più per far passare queste idee nell’opinione pubblica. Di fronte a questa situazione – non meno grave delle tante altre che stiamo sopportando – è necessaria una più ampia assunzione di responsabilità. Di tutti quelli che vogliono salvare e cambiare questo Paese. Il primo obiettivo concreto e immediato è impedire l’approvazione nelle prossime settimane di una riforma delle forze armate finta, costosa e pericolosa.