Storia delle religioni a scuola: il fumo di Profumo e l’arrosto degli integralisti

Marcello Vigli
30 settembre 2012

La scarna dichiarazione del ministro Profumo Non cambieremo norme o patti pubblicata sul sito del Corriere della Sera del 26 settembre 2012 alle 16.09 fa giustizia del clamore suscitato dalla diffusione della notizia sulla sua proposta di sostituire l’Irc (Insegnamento della religione cattolica) nelle scuole pubbliche con un’ora di storia delle religioni. È un’autorevole smentita delle intenzioni o peggio delle proposte che gli erano state attribuite, che ha confermato la scelta di chi ha atteso gli sviluppi della situazione prima di intervenire.

Quelle parole in libertà potevano infatti essere interpretate in modi diversi, ma mai potevano essere prese sul serio.

Potevano essere una ulteriore testimonianza che nel governo Monti molti sono i ministri incompetenti. Nessuna persona minimamente informata ignora che l’Irc ha uno statuto concordatario e che, come tale, può essere modificato solo d’intesa con la Santa Sede. Profumo non l’aveva neppure informata, come hanno rivelato la sostanziale indifferenza della gerarchia a diversi livelli e le reazioni scomposte dei clericali e degli atei devoti.

Un’altra ipotesi potrebbe essere quella, non meno avventurista, di volere deviare, con un ballon d’essai – che in questo caso si dovrebbe tradurre in balla – fuori dell’ordinario, l’attenzione della pubblica opinione dallo stato pietoso in cui si trova la scuola italiana in uno dei pochi momenti in cui le luci della ribalta si aprono su di essa. Si è pensato che neppure il ricevimento al Quirinale nel giorno d’inizio delle lezioni potesse raggiungere lo scopo.

Più dietrologica, ma non del tutto infondata è la interpretazione che farebbe giustizia dell’acume politico del ministro pur se indirizzato ad uno scopo perverso: favorire una vittoria da tempo perseguita dagli integralisti cattolici e non. Grande è stata infatti la soddisfazione, talvolta entusiasta, di molti commentatori di diverso orientamento culturale e religioso senza interrogarsi sul senso reale della sua proposta alternativa. Finalmente un ministro della Repubblica sembrava mettere in discussione l’ora di religione cattolica, anzi si sarebbe materializzata la speranza che uno dei baluardi della ingerenza cattolica nelle istituzioni pubbliche possa essere abbattuto.

Nessuna preoccupazione, anzi spesso altrettanto entusiasmo, per la sua proposta di introdurre l’insegnamento della Storia delle religioni come necessario completamento della cultura scolastica in presenza di un aumento di alunni di diversa etnia e di diversa religione.

Se c’è grande accordo su questa necessità e nell’impossibilità di eliminare l’attuale ora di religione, perché non introdurre tale insegnamento come alternativa ad essa eliminandone il carattere facoltativo e introducendo un’opzionalità obbligatoria fra i due in nome della vecchia proposta del doppio binario? Sconfitta dalla inequivocabile sentenza della Corte costituzionale, che ha confermato il non obbligo di scegliere insegnamenti o attività diverse dall’Irc, tornerebbe dalla finestra aperta dal “fumo” del ministro Profumo.

Nel fumo della confusione culturale ci si muove, infatti, se non si riflette sulla funzione della scuola pubblica che, senza essere “neutrale”, deve evitare di sposare una tesi non condivisa, restando in sostanza all’interno della logica concordataria.

Facendo della religione un insegnamento, una ”materia” scolastica, fra le altre, funzionali alla formazione delle nuove generazioni, le si riconosce una specificità nella vita sociale e fra gli orientamenti culturali, sulla quale convergono solo quanti sostengono il carattere “naturale” della religione.

Le religioni – le varie forme che essa avrebbe assunto nelle diverse società – si sono costruite e trasformate nel tempo come una rappresentazione della realtà a partire dalle condizioni ambientali e dai rapporti sociali, talvolta accogliendo la voce di un profeta capace di interpretare istanze diffuse. Nel loro darsi forme organizzate più o meno rigide si sono proposte, pur se in misura ineguale, depositarie della verità assumendo rigorose forme di inclusione.

In questa prospettiva si deve certo presentare l’evolversi delle religioni, ma è compito dei docenti di storia nei diversi ordini e gradi di scuola darne conto nel quadro dell’evolvesi della vita dei popoli e dei gruppi che le hanno “ credute”. Delle manifestazioni artistiche e letterarie che hanno ispirato c’è ampio margine per darne conto nelle discipline esistenti.

Se finora così non è stato e ancora non è così, è per un malinteso senso della laicità e per il prevalere nella cultura scolastica della scuola statale di pregiudizi propri degli orientamenti culturali prevalenti negli anni in cui si è venuta formando e per la pretesa del cattolicesimo di non avere concorrenti.

Si può aggiungere che la Storia delle religioni ha uno statuto autonomo come disciplina specialistica in sede accademica e sarebbe difficile tradurla in disciplina scolastica nei diversi ordini e gradi della scuola. Ogni tentativo di costruirla incontrerebbe difficoltà insormontabili per non scadere in apologetica di parte perdendo, cioè, l’ineliminabile fondamento scientifico che ogni divulgazione deve mantenere per non essere mistificante. Che dire poi del divario fra licei e istituti tecnici? Nei primi può trovare un confronto con la storia della filosofia, negli altri sarebbe l’unica sede per i giovani di misurarsi con le “visioni del mondo” prodotte nella storia, con buona pace, e non solo, dei sistemi filosofici, ma anche delle moderne ideologie.

La scuola è una cosa seria, non si deve usare come palestra di confronto/scontro fra opposte visioni del mondo, ha il compito istituzionale di mettere i giovani in condizione di orientarsi fornendo loro strumenti critici adeguati e non schemi interpretativi precostituiti.

Se la presenza del’Irc è, pur nell’attuale forma aggiornata, un’aperta violazione di tale funzione, anche una disciplina fondata sul presupposto, non scientificamente suffragato, della “specificità” del fenomeno religioso non ne elimina l’anomalia. Non c’è alternativa alla sua abrogazione.