Per un’ipotesi di un Concilio Popolare cristiano nel 2015 di E.Peyretti

Enrico Peyretti

Una quantità di varie iniziative si stanno realizzando, in diverse forme, in Europa e nel mondo, nel 50° dell’apertura del Concilio Vaticano II (1962): convegni, riviste, libri, memorie, soprattutto riflessioni personali e comunitarie.

Nel ricordare il concilio, nel nuovo ascolto della Parola che lo animò, il popolo di Dio oggi sta prendendo la parola con franchezza e con attenzione obbediente allo Spirito. Di questo siamo grati, in questo siamo impegnati.

Lo spirito di quel concilio fu una ri-forma della chiesa di Cristo, che si riavvicini alla sua genuina origine evangelica: questa è l’ unica via, nell’oggi e nell’avvenire, per la diffusione del buon messaggio, e per la cura dei mali dell’umanità e del mondo (secondo il mandato di Gesù ai discepoli: Matteo 10,1.7-8; Luca 10,9), partecipando ad ogni umana ricerca di giustizia.

È già stato proposto che il lavoro di questo triennio – che include anche l’anniversario della Pacem in terris, e prevede il 5° centenario del 1517 – culmini nel dicembre 2015 in un’assemblea ecclesiale mondiale a Roma a cinquant’anni dalla conclusione del Concilio, 8 dicembre 1965.

Vorrei ora suggerire che nei prossimi tre anni, da ora alla fine del 2015, in tutte le comunità ecclesiali attive si rifletta e si lavori – con impegno di studio e di spiritualità, senza paura di dibattiti e confronti, né di differenti interpretazioni sulla via evangelica – in un intenso percorso preparatorio, tale che quel momento mondiale del dicembre 2015:

< possa essere una riunione planetaria, correttamente, senza improvvisazioni e senza esclusioni, rappresentativa di tutti i cristiani, cioè un reale concilio del popolo dei battezzati in Cristo; < possa esprimere una conclusione interlocutoria, sempre aperta al cammino, di tanti dibattiti e ricerche, in tutti i luoghi di chiesa, su ciò che i cristiani hanno da dire, in solidarietà e servizio, all'umanità intera; < possa dichiarare l'impegno e l'offerta dei cristiani ad agire, nella vita personale e comunitaria, sociale e politica, per la giustizia che è base della pace, e per la pace che è la via alla giustizia e dunque alla libertà; < possa mostrare che la chiesa universale è quella parte di umanità che ha ricevuto notizia dell'amore di Dio per tutta l'umanità e tutto il cosmo, che crede intimamente a questo vangelo, che sa, nella speranza, che Dio non abbandona ma accompagna l'umanità per uscire dai rischi totali che sta correndo, creati dalla volontà di potenza, dal dominio degli uni sugli altri, dalla violenza sulla natura; < possa dunque assicurare che la chiesa, nelle forme, immagini, messaggi che può offrire, non ha poteri, interessi, progetti diversi dal bene comune planetario; < possa promettere sinceramente al mondo il proprio amore e servizio, per la vita, per la pace, nella costruzione della fraternità universale e plurale. In questo percorso preparatorio triennale – ma impegno di sempre – la chiesa parli e lavori come comunità fraterna che riconosce ruoli, carismi, forme e strutture, sia tradizionali sia nuove, utili alla comunicazione e al servizio, ma tutto sottopone al criterio dato da Gesù: «Tra voi non così» (Luca 22,26 nel corso della Cena; Matteo 20,26; Marco 10,43), cioè all'esclusione delle posizioni di dominio e della ricerca di primato prevalenti sull'intesa fraterna, per quanto faticosa. L'agenda di questo lavoro triennale viene dai dibattiti già in corso, che registrano sia le luci profetiche, sia le questioni aperte nel mondo come nella chiesa. Ma potrà imparare dal dialogo dei credenti coi non credenti, o di diversa fede, con tutte le religioni, col pensiero non religioso. Possiamo immaginare, e preparare, un grande atto di responsabilità e impegno permanente dei cristiani per il mondo, poiché essi sanno che il regno di Dio atteso è anche “un altro mondo possibile”, di più grande fraternità, uguaglianza, libertà e pace per tutti.