Femminicidio. Giustizia per Fiorinda, massacrata a colpi d’ascia

Giuliana Covella
www.articolo21.org

Di solito è la prima cosa che salta agli occhi in un’aula di tribunale. Quel cartello con la scritta “La legge è uguale per tutti” campeggia sopra la testa del giudice che deve esprimersi sul caso in questione.Eppure la giustizia (quella terrena, beninteso) non sempre compie il suo corso. Allora succede che un uomo che ha fatto letteralmente a pezzi l’ex fidanzata, lasciandone brandelli sul pavimento di casa, che ai genitori della vittima è stato a giusta ragione evitato di mostrare, ebbene succede che quell’uomo potrebbe essere rimesso in libertà come se nulla fosse accaduto. Eccola l’Italia giusta. Napoli, 16 ottobre 2012. Palazzo di giustizia. Siamo nel corso di un’interminabile udienza che vede come protagonisti i familiari di Fiorinda Di Marino, 35 anni, uccisa a colpi d’ascia nel luglio 2009 dal suo ex compagno Renato Valboa, oggi 47enne.

L’uomo, condannato in primo grado a sedici anni di reclusione, è seduto in aula a guardare negli occhi genitori, sorelle, cognato e amici di “Fiore”, come la chiamavano tutti. Le parole del perito venuto da Roma non lasciano spazio ad interpretazioni: Valboa avrebbe agito, la mattina del 23 luglio 2009, in un momento di “impeto”. Ed è per questo considerato dunque, “incapace di intendere e di volere”. Terminologia giuridica che, tradotta in parole povere, significa possibilità che un assassino venga rimesso in libertà. E allora ci chiediamo perché? Perché la legge italiana consenta ad un omicida già recidivo (Valboa aveva già ferito in passato Fiorinda e, prima ancora di lei, la sua ex moglie) di godere di diritti e benefici che non gli dovrebbero spettare per un così efferato delitto? In Italia il femminicidio è un fenomeno in continuo aumento.

Dall’inizio dell’anno sono almeno un centinaio le donne uccise dai loro compagni, mariti o fidanzati. Solo per dire di quelle denunciate ufficialmente. Eppure si continua a tacere. Si continua – nel nostro paese – a non comminare pene adeguate a chi compie questo tipo di reato. L’assassino di Fiorinda, che attualmente sta scontando la pena nel carcere di Secondigliano a Napoli, era stato già sottoposto a tre perizie psichiatriche, dalle quali era risultato perfettamente capace di intendere e di volere al momento dell’omicidio dell’ex fidanzata. Uno stillicidio per la famiglia Di Marino già avvenuto un anno fa, quando la causa fu rinviata perché i giudici nominati erano andati in pensione.

Ma la giustizia “giusta” – si sa – nel Belpaese è un eufemismo. Giustizia dovrebbe essere quella che tutela i diritti di una società che non giustifica il femminicidio e lo considera crimine di maggiore pericolosità per la convivenza. L’uomo che ha ucciso “Fiore” lo ha fatto probabilmente perché le istituzioni in Italia continuano a dimostrare che la vita delle donne – in fondo – non vale poi molto. Ma ci aspettiamo che almeno stavolta – venerdì 19 ottobre – giustizia sia fatta. In nome di tutte le Fiorinda del mondo.

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Due processi e la strada per l’eliminazione della violenza sulle donne – L’Aquila e Napoli

Stefania Cantatore – Udi Napoli
www.womenews.net

Il 18 e 19 ottobre, a pochi giorni dalla giornata internazionale “per l’eliminazione della violenza degli uomini sulle donne”, il punto di partenza, quì in Italia, sono Napoli e L’Aquila.

Stamane si tiene l’udienza del processo contro Valboa l’assassino di Fiorinda Di Marino presso il Tribunale di Napoli: la sentenza è attesa per il 19 Ottobre.

Il 18 sarà in aula del Tribunale de L’Aquila Tuccia, lo stupratore, intenzionalmente quasi omicida, di una giovane donna che usciva da una una discoteca di Pizzoli.
Valboa è un recidivo, ha tentato di uccidere la precedente moglie.

Tuccia è un militare di cui sappiamo poco e tanto: è stato protetto come di norma negli ambienti militari, contesti impenetrabili come “le famiglie”.

Come finiranno questi due processi, ce lo diranno le cronache che ci diranno anche se la mobilitazione delle donne, attenta e forte, avrà spinto i giudici alle loro responsabilità ed alla conferma del motto “La legge è uguale per tutti”

Non si tratta di ottenere sentenze esemplari perchè la soppressione di un universo umano e la menomazione permanente sono i delitti più gravi contemplati dai codici dei paesi “evoluti”.

Serve giustizia, non sentenze esemplari.
Serve il risarcimento, non la vendetta.

A tutte le donne e gli uomini che hanno parlato della loro indignazione partendo dall’enormità delle cifre conosciute (oltre 200 stupri denunciati, 99 donne uccise nel 2012) e che hanno dichiarato la loro distanza dalla cultura del femminicidio, non dovrebbe sfuggire che la cultura, prima di approdare alle coscienze, viene elaborata nelle aule di tribunale, aule dalle quali spesso parte un messaggio di impunità e clemenza verso chi commette i crimini peggiori, previsti dal codice, inquanto commessi su donne “perchè donne”.

Lo slogan “ci riguarda tutte” è uno slogan femminista. Sono parole che incarnano quella sfida alla cultura ed alla politica a partire dal principio che il personale è politico. Fiorinda e la studentessa de l’Aquila sono l’ncarnazione della distanza da coprire tra l’oggi e la convivenza pacifica tra generi.

Accostarsi alla mafia, all’illegalità e alla degenarione delle relazioni pubbliche e personali continuando a considerare “periferia” la vita delle donne è la via sbagliata sulla quale perseverano le istituzioni e troppa parte del contesto umano. La strada per cambiare ha sempre un punto di partenza. Il 18 e 19 ottobre, a pochi giorni dalla giornata internazionale “per l’eliminazione della violenza degli uomini sulle donne”, il punto di partenza, quì in Italia, sono Napoli e L’Aquila.