Il terrorismo finanziario che devasta l’Euro(pa)

Tonino Perna
www.confronti.net

Siamo martellati ogni giorno da televisione, radio, giornali, internet: tutti sanno bene che «c’è la crisi», ma pochi hanno capito il perché. Da dove nasce? Quali sono i fattori che l’hanno scatenata e quali le responsabilità principali? Come uscirne?

Monti ha dichiarato recentemente che «siamo in guerra», ma non ha spiegato contro chi e, soprattutto, chi ha scatenato questa guerra. Per la maggior parte degli italiani la guerra che questo governo conduce è allo stato sociale, ai diritti dei lavoratori, alle conquiste di trent’anni di lotte. Poi, gli stessi italiani si dividono sulla necessità o meno di portare avanti questa guerra in nome della salvezza dell’Italia e della sua permanenza nell’eurozona. Ma pochissimi hanno capito da dove sia partita questa guerra finanziaria e come siamo stati coinvolti e travolti. La verità è che non riusciamo più a vedere un film, ma solo una carrellata di trailer, su quello che sta accadendo a partire dalla crisi dei mutui subprime dell’estate del 2007 ed il crollo di Wall Street nel 2008. E non ci rendiamo conto della trama reale dello scontro in atto.

Mario Margiocco sul «Sole 24 ore» ha recentemente denunciato «il favore di Moody’s a Wall Street e Obama» e ricordato che nel 2008 gli Usa hanno rischiato la catastrofe finanziaria, e solo gli oltre 3000 miliardi di dollari messi a disposizione dal Tesoro hanno salvato il sistema. E la storia si è ripetuta in tempi recenti, ma con una strategia diversa.

Poco più di un anno fa, infatti, nella seconda metà di luglio 2011, il dollaro perdeva ogni giorno terreno rispetto all’euro. Eravamo arrivati ad un rapporto di 1,45 dollari per un euro e molti scommettevano che si sarebbe superata la fatidica soglia di un dollaro e mezzo per un euro. Il mondo finanziario Usa, dove è localizzato il «cervello» dei principali hedge fund (fondi speculativi) su scala globale, era entrato in fibrillazione. Da Warren Buffett, il plurimiliardario che controlla Moody’s, a George Soros, il filantropo progressista e cinico speculatore finanziario, a Paulson e tanti altri paperoni, che dirigono questa orchestra che viene chiamata «i mercati», avevano tutti paura di vedere la svalorizzazione crescente ed inarrestabile dei loro asset in dollari. Non è un caso che proprio nel mese di luglio del 2011, in contemporanea con la caduta del dollaro sull’euro, è partita la campagna di rating negativi sui Paesi del Sud Europa, a cominciare dalla Grecia. Le tre oligopolistiche agenzie di rating – Moody’s, Standard & Poor’s, Fitch – hanno fatto a gara a colpire i Paesi europei più deboli ottenendo un duplice effetto positivo per i loro padroni sopracitati: far guadagnare i fondi speculativi che scommettevano al ribasso sui titoli di Stato – di Grecia, Spagna, Portogallo e Italia – e far riprendere quota al dollaro e quindi al valore complessivo del patrimonio posseduto dai grandi gestori della finanza, derivati finanziari in testa, «made in Usa».

Il gioco delle parti ha funzionato: il dollaro si è rivalutato sull’euro e nessuno più parla di una nuova moneta di scambio internazionale, come insistentemente avevano posto nell’agenda politica del G 20 i leader dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) dopo il crollo finanziario del 2008. Le tre agenzie di rating, a comando, hanno continuato il loro lavoro «sporco», decidendo di colpire ora uno ora l’altro Paese europeo, e i gestori dei fondi speculativi hanno aumentato il valore dei loro asset in dollari. Il Paese più indebitato al mondo, il Paese che ha inventato il «debito infinito», non poteva permettersi di vedere crollare il dollaro, moneta fiduciaria per eccellenza, bene rifugio nei momenti di crisi. La caduta del dollaro, qualche volta auspicata dai governi nordamericani per rendere più competitive le loro merci, ha scarsi effetti sulla bilancia commerciale a stelle e strisce, perché il processo di deindustrializzazione negli Stati Uniti è partito negli anni Settanta del secolo scorso ed ha fatto registrare una forte accelerazione dalla Reaganomics in poi. Per chiunque governi gli States la tenuta del dollaro, come principale moneta di riserva internazionale, è sacra: in God Dollar we trust!

È da quarant’anni che il mondo finanzia il disavanzo crescente della bilancia commerciale nordamericana, che quest’anno viaggia verso un saldo negativo di 800 miliardi di dollari, un debito pubblico che ha superato il Pil, un debito globale – famiglie, imprese, Stati federali e Stato centrale – superiore di quattro volte al Prodotto nazionale lordo. Un’agenzia di rating che avesse un minimo di deontologia professionale assegnerebbe agli Usa una valutazione peggiore della Grecia.

Dunque siamo in guerra, ma non è la guerra di cui parla Monti. Siamo in guerra contro il popolo afghano, siamo in guerra contro i migranti che attraversano il Mediterraneo per salvarsi spesso da guerre locali a cui abbiamo dato un bel contributo, e siamo in guerra contro i fondi speculativi «made in Usa». Sono tutte guerre non dichiarate, clandestine, che si conducono spietatamente senza renderle visibili. È quasi penoso vedere Mario Monti spingersi fino a Sun Valley, nell’Idaho, nel tempio della tecnologia avanzata e della new economy, per chiedere a lorsignori di venire ad investire in Italia, nel Paese che sta facendo le grandi riforme strutturali, cioè organizzando una moderna macelleria sociale «d.o.p.». Il nostro presidente del Consiglio sembrava uno di quei capi di Stato del Sud del mondo che nel passato facevano il giro delle grandi capitali occidentali per chiedere di investire nel loro Paese che offriva bassi salari, grandi risorse naturali, niente tasse e possibilità di inquinare ad libitum.

Viceversa, la guerra ad alta intensità che gli hedge fund stanno conducendo contro l’euro è l’unica guerra che andava combattuta dall’insieme della Ue, cominciando con il tassare le transazioni speculative a breve ed allo scoperto, ricomprando i titoli di Stato europei che sono nelle mani dei fondi speculativi, ritrovando una forte spinta all’unità reale dell’Europa, proprio come risposta a questi attacchi dall’esterno. Ma questa guerra Monti non vuole e non può combatterla. Lui è espressione, alta e seria, di quello stesso mondo della finanza che ci sta portando alla rovina. Lui è l’ascaro della grande finanza internazionale e come tale è arrivato ad occupare la poltrona di primo ministro. E come tale rischia di continuare a governare finché reggerà il clima di paura con cui i mass media che l’appoggiano hanno terrorizzato gli italiani: l’alternativa al governo Monti è la Grecia, ovvero la catastrofe nazionale!