Miniere di platino, salari da fame

Febe Cavazzutti Rossi
www.riforma.it

Stampa e televisione ci hanno informato sui violenti scontri avvenuti nell’agosto scorso nei pressi di una delle miniere, la Marikana, non lontano dalla città di Rustenburg nel Nord-Ovest del Sud Africa, di proprietà della Compagnia Lomin. Circa tremila minatori si erano asserragliati sulla sommità di una collinetta in protesta non solo contro la proprietà ma anche in opposizione a due sindacati, la Association of Mineworkers and Construction Union (Amcu) e la National Union of Mineworkers (Num). Al rifiuto di un gruppo di minatori armati di disperdersi, la polizia ha aperto il fuoco, lasciando 35 morti sul terreno. Di questi, uno era un poliziotto, un altro era una guardia per la sicurezza e un terzo faceva parte del sindacato ed era addetto a uno spaccio.

Questo tragico fatto ha avuto una immediata e vasta eco di sdegno e di rabbia in tutto il Paese e non pochi, come il partito Azanian People’s Organization, lo ha rapportato ai famigerati massacri di Sharpeville del 1960 e di Soweto del 1976. Nel frattempo disordini sono scoppiati in altri punti della catena di miniere Lomin e ora il numero dei morti è salito a 45.

Non entriamo nel dettaglio dei fatti, ma per una corretta comprensione è utile andare alle ragioni che hanno portato i minatori alla esasperazione, a cominciare dal loro alloggiamento. La stragrande maggioranza è raccolta nella baraccopoli di Marikana dove le condizioni di vita sono orrende, al limite dell’umanamente vivibile: non c’è accesso all’acqua né alla elettricità e non ci sono vie fognarie. La retribuzione era rimasta fissa a 400 Rand (al cambio odierno pari a € 35) dopo il decimo anno di servizio ininterrotto del lavoratore, o dopo il quindicesimo anno se di qualifica inferiore. La paga era intesa non solo a retribuzione del lavoro ma anche quale indennità alloggio. I minatori in rivolta pretendevano 1.200 Rand (€ 105) in modo da raggiungere una indennità congrua all’affitto o alla costruzione in proprio di un’abitazione.

Intorno alle miniere vive una larga comunità che già soffre, come in tutto il Sud Africa, di alti tassi di disoccupazione e dipende interamente dal guadagno dei minatori: i quali erano inferociti anche perché la Compagnia porta avanti una politica di assunzioni da altre aree a paghe addirittura inferiori. Il danno alla comunità locale è evidente, ma altrettanto grave è quello subito dai disperati attirati nel degrado e nella miseria con il miraggio di un possibile futuro per il quale sono disposti a tutto. Il recente calo del prezzo del platino sul mercato mondiale ha peggiorato la situazione producendo 9.000 esuberi che vanno ad alimentare nuove baraccopoli e nuova disperata disoccupazione.

Nella cintura delle miniere di platino l’Hiv/Aids la fa da padrone. Il punto debole della diffusione sta nelle donne che lavorano in miniera (sono molte) che non sono protette dalla vessazione sessuale comunemente praticata. Gli addetti alla sicurezza della Compagnia perquisiscono le lavoratrici, o le sottopongono a visite mediche, denudandole davanti agli uomini dei quali sono poi facile preda. Altre donne si vendono per sesso pur di sfamare la famiglia. Non esistono né prevenzione né previdenze mediche. I giovani lavoratori, dai 16 anni in su, non hanno nessun accesso all’istruzione o a corsi di qualificazione e vendono i loro anni giovani per pura disperazione.

Il pastore metodista Dr. Sol Jacob (che le nostre chiese conoscono come il fondatore della Scuola per l’infanzia di Pietermaritzburg e del Progetto di cura e lotta all’Hiv/Aids) ha visitato i minatori di Marikana e ha speso una diecina di giorni con loro, raccogliendo molte utili testimonianze e constatando di persona le reali condizioni di vita. La Lomin afferma di provvedere alloggiamenti per i lavoratori che denomina shack farms, vale a dire baracche agricole: si tratta in realtà di stanze singole di pochi metri quadrati, agglomerate in spazi liberi, prive di acqua e di servizi igienici, affittate per 500/600 Rand mensili.

Lo sciopero si è ormai concluso con la conquista di 1.150 Rand mensili (compresa l’indennità alloggio), ma con il licenziamento di altri 1.500 minatori che vanno a ingrossare le fila dei sei milioni di disoccupati, in maggioranza neri.

Non meno importante è sapere che è Cyril Matamela Ramaphosa che detiene il 51% delle azioni Lomin. Ramaphosa è un avvocato, formidabile stratega nei negoziati che posero fine al regine di apartheid, padre fondatore della Carta Costituzionale democratica del 1994 e persino leader fondatore della National Union of Mineworkers; attualmente ricopre numerose cariche di dirigenza in grandi compagnie commerciali, compresa la presidenza delle miniere di oro South African Gold Mines; lo scorso anno ha preso McDonald’s in franchising per tutto il Sud Africa.

Serpeggia e va rafforzandosi ora l’idea che sia maturo il tempo per una battaglia di liberazione all’interno dello Stato del Sud Africa e che le chiese sono chiamate a gran voce a esserne protagoniste.