È l’amore che crea una famiglia

Dario De Gregorio, associazione Famiglie Arcobaleno
www.adistaonline.it

Il desiderio di diventare genitore attraversa la vita di ciascun essere. Nel mondo animale questo desiderio diventa imperativo e non costituisce argomento di scelta ma di naturale progressione della vita. Gli esseri umani, invece, danno a questo desiderio una risposta personale e metabolizzata, che può essere, quindi, di vedere nella genitorialità un naturale completamento del proprio progetto esistenziale, oppure di ritenere che non lo sia, per motivi disparati (non si trova il partner giusto, non si vuole avere bambini, ecc.). A questo si affianca il tema della sterilità che, però oggi non può essere considerato un ostacolo al naturale desiderio di genitorialità. Le persone omosessuali non sono avulse da questo desiderio; anzi, ne sono pervase a tal punto da prevedere spesso percorsi molto difficili e dolorosi per poter coronare il loro sogno di genitorialità. Perché, ricordiamolo, le persone omosessuali sono e possono essere feconde come qualunque altro essere umano.

La nostra storia

Diventare genitori è sempre stato il nostro più grande desiderio. Per anni (condividiamo le nostre vite da quasi 27 anni) abbiamo sepolto questo desiderio sotto una coltre di «non si può», convinti che non fosse neanche possibile immaginarlo, figuriamoci pianificarlo. Anni di educazione eterosessuale – di un’idea di famiglia tradizionale basata su due figure, quella maschile e quella femminile (papà e mamma) – ci rendevano impossibile dare sostanza ad un pensiero che era forte dentro di noi: che cioè ci fosse già, nella mente di Dio, scritta nel grande libro del mondo, una creatura pronta a nascere che rappresentava la vera fecondità della nostra coppia. Per noi, che siamo credenti, lei c’era già. Ma non avevano alcuno strumento conoscitivo, psicologico ed ovviamente scientifico per consentirle di venire al mondo.

Ma due avvenimenti vicini hanno cambiato la nostra vita: la conoscenza delle esperienze di fecondazione assistita e di Gpa (Gestazione per altri) ed il contatto con Famiglie Arcobaleno, associazione di famiglie omogenitoriali attiva in Italia dal 2005 (www.famigliearcobaleno.org), e che recentemente (11-14 ottobre) ha avuto il suo meeting nazionale a Giulianova (Teramo). Vedendo con i nostri occhi la vita di famiglie omogenitoriali, il rapporto con i bambini e la quotidianità di una vita fatta, come quella di qualunque altra famiglia, di pannolini, pappette, scuola, compiti, risate, rimproveri, amore, pianto, abbiamo lentamente dato spazio nei nostri cuori alla voce del nostro desiderio che era rimasto sepolto. Abbiamo capito che era possibile diventare genitori; soprattutto, che due omosessuali potevano essere ottimi genitori; e che i figli di genitori omosessuali potevano crescere felici e “normali” come tutti gli altri.

In Italia e nel mondo

In Italia purtroppo questi ultimi due concetti subiscono molto la presenza di stereotipi e di una propaganda priva di fondamento scientifico. Basti dire che non ci sono ancora in Italia studi seri sull’omogenitorialità e che quindi le posizioni che via via vengono pubblicamente espresse sono prive di prova.

Diversa è la situazione all’estero. A partire dagli anni ’80, negli Stati Uniti è cominciato il cosiddetto gay baby boom: molte donne lesbiche e uomini gay hanno iniziato a concretizzare il loro desiderio di genitorialità. Quasi in contemporanea, è iniziato un percorso di ricerca scientifica che non ha praticamente mai avuto sosta. Le tre importanti domande a cui questi studi hanno cercato di dare risposta erano: può una persona omosessuale essere un buon genitore? Può un bambino crescere bene senza due figure genitoriali di sesso diverso? Può un bambino crescere bene con due genitori dello stesso sesso? Gli studi hanno indagato tanto le dimensioni dell’identità sessuale dei figli di persone omosessuali quanto il loro aggiustamento psico-sociale. Nessuno studio scientifico, da 40 anni a questa parte, ha individuato alcuna differenza tra i figli di gay e lesbiche e quelli di coppie eterosessuali. Unica differenza riscontrata è una maggiore apertura mentale e predisposizione all’esplorazione, con una conseguente minore adesione agli stereotipi di genere.

L’abbondanza di informazioni raccolte dalle moltissime indagini hanno generato delle importanti prese di posizione da parte del mondo scientifico. Infatti, negli Usa, dove sono ormai milioni i figli di genitori omosessuali, l’American Psychological Association (nel 2004), l’American Academy of Pediatrics (nel 2002 e nel 2004, «i bambini che crescono con uno o due genitori omosessuali si svilupperanno emotivamente, cognitivamente, socialmente e sessualmente al pari di bambini con genitori eterosessuali. L’orientamento sessuale dei genitori è molto meno importante di avere genitori capaci di amarli e di educarli»), l’American Academy of Child and Adolescent Psychiatry (nel 2011) e altri hanno invitato i legislatori ad offrire a queste famiglie lo stesso sostegno che garantisce a tutte le altre, tramite il riconoscimento istituzionale (matrimonio ed adozione), fattore protettivo per i figli e per il nucleo familiare di fronte ai fattori di stress cui ogni famiglia può andare incontro.

E in Italia? Pur stimandosi circa 100mila bambini figli di almeno un genitore omosessuale e diverse centinaia nati proprio da un progetto di coppia omogenitoriale, molto poco è stato fatto. Unica eccezione, una dichiarazione di Giuseppe Luigi Palma (presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi italiani) che – in occasione della giornata mondiale contro l’omofobia (17 maggio 2012) – ha confermato la necessità di riconoscere come irrinunciabile la possibilità di vivere desideri, affetti, progetti di vita e genitorialità senza bisogno di nascondersi, o temere, o subire discriminazioni e aggressioni.

Come ho ricordato in precedenza, non è stato solo lo studio di testi scientifici a farci capire che c’era una possibilità per noi ma, piuttosto, la conoscenza di coppie omogenitoriali, vederle nella loro quotidianità, sentirne i racconti delle loro esperienze, osservare i loro bambini e la naturalità con cui vivevano il fatto di avere due mamme o due papà. Per questo abbiamo deciso di intraprendere un lungo viaggio – cominciato molti anni fa e terminato con la nascita della nostra meravigliosa bambina – che ha avuto la sua tappa più importante nell’incontro con Carrie, la ragazza che ha deciso di portare avanti la gravidanza per noi.

Gestazione per altri

A questo punto è necessario aprire una parentesi sul significato di “gestazione per altri” e cosa prevedono le leggi che ne regolano l’attuazione, ad esempio in Canada. Gestazione per altri – un tecnica di fecondazione assistita utilizzata per lo più da coppie eterosessuali e, solo marginalmente, da coppie omosessuali – significa che, nel caso di una coppia omosessuale, gli aspiranti papà incontrano una donna che, su base volontaria e non retribuita, decide di aiutarli nel loro sogno di diventare genitori e si offre di portare avanti la gravidanza per conto loro, non essendo in alcun caso madre biologica del bambino che porta in grembo. Per legge, infatti, il bambino deve essere concepito attraverso la donazione di un ovulo di una seconda donna che, nel nostro caso, è stata anonima.

La legge canadese prevede inoltre che la coppia e la donna che si offre di portare avanti la gravidanza si sottopongano ad un assestment psicologico effettuato da uno specialista, per comprendere le reali motivazione e la loro idoneità. Sempre secondo la legge, poi, la donna deve essere già mamma di suoi bambini, perché deve sapere cosa significa una gravidanza ed essere mamma.

La “gestazione per altri” è possibile in alcuni Paesi del mondo: Usa e Canada, ma anche India ed alcuni Stati dell’ex Unione Sovietica.

Per quanto ci riguarda, aver guardato al Canada significava avere la certezza delle reali motivazioni della donna che ci avrebbe aiutato, di non sfruttare in alcun modo suoi eventuali stati di necessità o di costrizioni ma di avere un’adesione spontanea e consapevole a questo progetto. Era questo un punto fermo del nostro cammino. Altri Paesi non ci avrebbero rassicurato allo stesso modo.

Carrie

Quando abbiamo conosciuto Carrie, canadese di 26 anni con già due figli propri, abbiamo capito di aver incontrato la persona giusta. Lei ci ha scelti, lei non ha mai confuso il proprio ruolo, non si è mai considerata madre di una bambina che biologicamente non aveva nulla a che fare con lei, ha sempre partecipato con noi a tutte le scelte relative alla gravidanza, ed ha accolto questa bambina con gioia, partecipando alla nostra felicità.

Carrie si è sempre definita “complice” di questa bambina perché, senza di lei, non sarebbe mai venuta al mondo, complice perché semplicemente, diceva, «sento per lei qualcosa di ovviamente molto diverso da quello che sento per i miei figli. Perché ho sentito che me l’avete data in custodia, l’ho accompagnata e, alla fine, venuta al mondo, ve l’ho riaffidata».
Carrie ci ha aiutato a realizzare il nostro sogno più grande e vogliamo che nostra figlia cresca conoscendola e sapendo che, benché a noi genitori deve la vita biologica, è grazie a lei che è potuta nascere.

Conclusioni

Oggi siamo i genitori felici di una splendida bambina e stiamo vivendo quello che probabilmente vivono tutti i genitori di questo mondo. La società civile è per fortuna anni luce più avanti delle istituzioni e della legge e le centinaia di famiglie omogenitoriali d’Italia dipanano le loro vite nella quotidianità di crescita psico-fisica, scuola, educazione, istruzione dei loro figli, con l’unica lacerante ferita (al momento insanabile a meno di interventi legislativi) di sapere che uno dei due genitori, per la legge italiana, non rappresenta nulla per quel bambino che ha tanto desiderato e di cui si sta prendendo amorevolmente cura dal primo minuto in cui ha visto la luce. Questa è la vera differenza con le altre coppie di genitori. Per il resto, e per abbattere i pregiudizi, bisogna incontrare, confrontarsi, conoscere.