Cristiani ed ebrei contro l’alleanza militare Usa-Israele: è un ostacolo alla pace

Ingrid Colanicchia
Adista n. 40/23012

Il sostegno militare incondizionato a Israele è l’ostacolo principale a una pace giusta e duratura nella regione e quindi anche alla tanto sbandierata sicurezza di cui il governo di Netanyahu ammanta ogni sua decisione. Ha spiegato così l’organizzazione pacifista ebraica Jewish voice for peace, la decisione di sostenere l’iniziativa dei 15 leader cristiani statunitensi che, in una lettera del 5 ottobre scorso, avevano invitato i membri del Congresso a riconsiderare gli aiuti militari forniti a Israele che, scrivevano, hanno alimentato il conflitto e minato le speranze di sicurezza a lungo termine dell’una come dell’altra parte (v. Adista Notizie n. 39/12).

Un’iniziativa che non era piaciuta a una consistente fetta del mondo ebraico statunitense, al punto da indurre il Jewish Council for Public Affairs e altre sei organizzazioni ebraiche (tra cui l’American Jewish Committee e il Central Conference of American Rabbis) a cancellare l’incontro della tavola rotonda ebraico-cristiana sul dialogo interreligioso – che si tiene dal 2004 – che di lì a poco avrebbe dovuto avere luogo.

«Come i nostri colleghi cristiani – si legge nel documento firmato dal Consiglio rabbinico del Jewish for peace – siamo turbati dalle violazioni dei diritti umani commesse da Israele ai danni dei civili palestinesi, molte delle quali attraverso l’uso improprio di armi statunitensi». «In questa fase di recessione economica, il Congresso ha messo sotto la lente d’ingradimento tutti i programmi di assistenza nazionale, compresi quelli riguardanti la sicurezza sociale, per assicurarsi che siano a norma di legge. Perché il sostegno militare a Israele deve essere esentato da questo controllo?». «Mentre qualcuno potrebbe pensare che pretendere che l’assistenza a Israele rispetti determinati criteri possa comprometterne la sicurezza, noi crediamo l’esatto opposto. Come primo alleato di Israele, gli Stati Uniti sono in grado di creare la leva che potrebbe indurre Israele a mettere fine a quelle politiche che impediscono una pace giusta tra israeliani e palestinesi».

«Siamo sconvolti dal fatto – prosegue il Jewish voice for peace, invitando a firmare una petizione di solidarietà ai 15 leader cristiani – che diverse organizzazioni ebraiche hanno cinicamente attaccato questo appello» e «siamo profondamente costernati dalla cancellazione dell’incontro ebraico-cristiano. Crediamo che azioni come queste siano contrarie allo spirito e alla missione del dialogo interreligioso. Un vero dialogo deve esserci non solo su questioni sulle cui entrambe le parti sono d’accordo ma proprio là dove c’è disaccordo e divergenza d’opinione».

Ma evidentemente, come ha rilevato il rabbi Brant Rosen (Jewish Telegraphic Agency, 23/10), che figura tra i firmatari del documento, «c’è stato per lungo tempo un patto non scritto tra l’establishment ebraico e i leader cristiani in materia di dialogo interreligioso: “Possiamo parlare di qualsiasi questione religiosa, ma le critiche sulle violazioni dei diritti umani da parte di Israele sono off limits”». «Perché l’establishment ebraico ha reagito così violentemente a un appello relativamente equilibrato? Perché, parlando a partire dalla propria coscienza, questi leader cristiani hanno avuto l’audacia di rompere questo patto non scritto». «Non è compito delle organizzazioni ebraiche stabilire come i loro partner cristiani debbano vivere la propria coscienza o i propri valori, non importa quanto possano essere in disaccordo. Realtà spiacevoli non possono essere scartate solo perché queste organizzazioni considerano tali questioni off limits. Possiamo solo sperare – conclude il Jewish for peace – che questi leader cristiani restino sulle loro posizioni e che questo triste episodio ci conduca verso un nuovo patto interreligioso, basato sulla fiducia e il rispetto». «L’establishment ebraico statunitense sarà all’altezza di questo compito?».

Jewish voice for peace non è l’unica organizzazione statunitense di stampo religioso ad aver preso parola in questi giorni per difendere l’iniziativa dei 15 leader cristiani. Anche il movimento di cristiani Kairos Usa (nato nel solco tracciato dal documento Kairos Palestina, v. Adista Documenti n. 6/10) ha espresso la propria solidarietà ai 15 invitando a sottoscrivere e inviare al proprio rappresentante al Congresso una lettera che sollecita a prendere seriamente in considerazione la proposta di rivedere gli aiuti militari a Israele (www.kairosusa.org).