Da Gelmini a Profumo, la politica contro l’università e la ricerca

Francesco Sylos Labini
www.micromega.net

La scuola, l’università e la ricerca sono state oggetto delle uniche riforme strutturali varate dal governo Berlusconi ovvero dal governo del “con la cultura non si mangia” e del “perché dobbiamo pagare uno scienziato quando facciamo le scarpe migliori del mondo”.

Questo apparente paradosso si spiega semplicemente considerando che in questi settori sono stati operati dei tagli di spesa profondi in quantità e spietati in qualità, per la ferocia con cui sono stati effettuati e per il disinteresse se non il disprezzo verso le nuove generazioni di ricercatori e verso coloro che, non avendo ancora raggiunto una posizione permanente nella scuola o nell’accademia, si sono trovati di fatto espulsi dal sistema e privati di possibilità di entrarvi nel prossimo futuro. Questi tagli di spesa sono stati dunque utilizzati per fare cassa: questo è stato l’interesse primario considerando che le scelte politiche sono state date in “subappalto”.

Vincitori della gara di subappalto sono stati diversi soggetti: in particolare vi è stata un’azione coordinata tra gli “ideologi” della riforma Gelmini e coloro che l’hanno scritta con obiettivi molto “pratici”. Gli ideologi, che altri non sono se non un nutrito gruppo di economisti di credo (mai parola più appropriata) liberista, sfruttando il fatto di scrivere editoriali sui maggiori quotidiani italiani, da Repubblica al Corriere della Sera, da La Stampa al Sole 24 Ore, hanno orchestrato un fuoco di sbarramento ideologico condito da dati manipolati se non palesemente falsi ed hanno propugnato l’idea che la riforma Gelmini, per dirla con Luigi Zingales, sia stata “di gran lunga la migliore riforma fatta dal governo Berlusconi”.

Tuttavia quelli che la riforma Gelmini l’hanno scritta, oltre ad aver permesso che tale campagna di stampa prendesse piede, hanno interessi molto terra-terra. Come ha riassunto in maniera fulminante il matematico Giorgio Israel, che è stato egli stesso consulente del ministro Gelmini e che dunque conosce la materia con cognizione di causa, non c’è stato un complotto ordito da chissà chi: “non c’è né Spectre né Protocolli, ma un’agenzia molto trasparente che ha lanciato da tempo un’Opa sul sistema dell’istruzione italiano (tutto, scuola e università). È Confindustria, con gli organi preposti (Treelle, Fondazione Agnelli, ecc.), i suoi uomini piazzati nelle posizioni giuste (Gianfelice Rocca, appunto), gli utili alleati (cfr. la lista del comitato di Treelle) e con il suo Manifesto di cui Massarenti è il portavoce. Il bello è che è un’Opa a costo zero, un caso unico al mondo, nel solco della tradizione italica del capitalismo assistito. Un modo per formare quadri aziendali gratis e avere un ufficio studi a costo zero”.

D’altronde per capire che “La ricerca applicata è una banalità. Come diceva Einstein esistono soltanto le applicazioni della ricerca. Prima, però, bisogna investire nella scienza fondamentale” bisogna avere almeno la licenza liceale: purtroppo, come nota il fisico Carlo Bernardini, “gli imprenditori italiani hanno un livello culturale molto basso; competenti in problemi di amministrazione e gestione di personale, sono polarizzati sugli aspetti finanziari ordinari e lontanissimi dalla mentalità di chi ricorre a venture capitals (capitali a rischio), indispensabili per avviare l’innovazione.” Non è un caso che la ricerca nei settori industriali sia ridotta al lumicino e che i pochi laboratori di ricerca industriali siano stati smantellati negli ultimi vent’anni.

Il Ministro Profumo ha portato avanti in maniera del tutto maldestra la stessa politica ispirata dalle stesse persone e con gli stessi fini che possono essere riassunti in: riduzione della dimensione dell’università italiana, e in particolare riduzione del numero di docenti dai quasi 60,000 di due anni fa ai circa 40,000 tra pochi anni, e l’assoggettamento della ricerca al potere politico. Il sottodimensionamento dell’università, con tutto quel che ne consegue visto che già ora l’Italia si trova nelle ultime posizioni tra i paesi OCSE per numero di ricercatori in rapporto agli occupati, rapporto studenti/professori, spesa in istruzione superiore rispetto al PIL, ecc., sta avvenendo grazie al combinato effetto di una riduzione drastica del fondo di finanziamento ordinario delle università (diminuito del 20% negli ultimi anni) e di una serie decreti che definiscono la “virtuosità” di un ateneo, e dunque la possibilità di assumere personale, sulla base di astruse ed insensate norme contabili. In questo modo un paio di generazioni di giovani ricercatori sono sostanzialmente mandate al macero.

L’assoggettamento della ricerca al potere politico sta avvenendo in diverse maniere, che sono “parallele” ma “convergenti” e che hanno un obiettivo comune. Da una parte c’è la leva dei finanziamenti come ad esempio quelli erogati dai progetti di ricerca di interesse nazionale. Il Ministro Profumo ha a questo riguardo idee semplici ma chiare: poiché l’Italia riceve dall’Europa finanziamenti per la ricerca che sono circa la metà di quello che versa è necessario “allenarsi a fare gioco di squadra” in vista del futuro programma Europeo Horizon2000. In pratica l’idea è che i ricercatori italiani siano individualisti e che ognuno vada per la sua strada. Invece bisogna che facciano “gioco di squadra” concentrandosi su pochi obiettivi scientifici in modo da poter fare massa critica e portare a casa qualche fondo europeo in più.

Questo ragionamento non è solo completamente sbagliato ma rappresenta anche un attacco senza precedenti alla libertà di ricerca e all’autonomia dei ricercatori fondato su dati falsati. Infatti come ha spiegato Andrea Bellelli, quello di Profumo “E’ un ragionamento semplicistico e basato sul mascheramento dei dati reali. Tra le varie cose che si potrebbero dire in merito ne cito una sola: l’Italia ha la metà degli addetti alla ricerca della Francia e un terzo di quelli della Germania in rapporto alla popolazione … Se si tiene conto di questo punto, il dato del Ministro Profumo assume un preciso significato: l’Italia finanzia la ricerca Europea in proporzione al PIL e riceve indietro finanziamenti dall’Europa in proporzione al numero di ricercatori che ha. Per riottenere il 100% di quanto l’Italia versa all’Europa, ciascun ricercatore italiano dovrebbe ottenere in media il doppio dei finanziamenti che ricevono i suoi colleghi francesi o tedeschi.”

Tuttavia l’idea di aggregare gruppi di ricerca facendo pressione sulla leva del finanziamento sta di fatto tagliando le poche ma vitali risorse che servono per il finanziamento della ricerca di base a vantaggio dei grandi gruppi che fanno ricerche più applicative. Non bisogna essere uno storico della scienza per capire che non c’è approccio più miope che togliere le risorse necessarie alla ricerca curiosity driven. Inoltre, non c’è bisogno di essere un economista di Chicago per capire che avere 100 dipendenti e metterne meno di 10 in condizioni di lavorare è una scelta economica semplicemente suicida. Ma abbiamo visto che in questo ambito è il buon senso che manca innanzitutto.

Un altro incredibile e, fortunatamente per il momento, fallimentare tentativo di “aggregazione” a-la Profumo è stato tentato qualche settimana fa con la proposta di creare un super ente di ricerca che includesse tutti quelli attualmente operativi, dal Consiglio Nazionale delle Ricerche, all’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, all’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, ecc. Non proprio una “maxi semplificazione molto utile per le imprese”, come celebra il Sole24Ore, quanto piuttosto l’ennesimo tentativo di condizionare la libertà di ricerca con un gravissimo attacco all’autonomia, sancita dalla Costituzione, degli enti di ricerca.

Questa maxi-semplificazione, cui tutta la comunità scientifica si è opposta con vigore, è naufragata nel nulla piuttosto che essere inserita in un articolo nella spending review, cosa che sarebbe stata un’ulteriore prepotenza insensata. Cosa c’entra una riforma di tale complessità con la spending review? Inoltre questo governo non si doveva occupare dello stretto indispensabile per “salvare l’Italia dalla bancarotta”? In realtà si è probabilmente trattato di un ultimo (?) maldestro tentativo animato dalla consapevolezza che dopo le prossime imminenti elezioni, la situazione politica cambierà e non sarà più così semplice effettuare questi colpi di mano.

Infine, per completare il desolante quadro della situazione della ricerca, è necessario citare l’opera dell’Agenzia Nazionale per la Valutazione del sistema Universitario e della Ricerca (Anvur), che al grido “valutiamo quei parassiti dei professori universitari, dipendenti pubblici che prosciugano risorse per mettere in cattedra figli e amanti” è di fatto diventata un’anomalia internazionale che riguarda, appunto, l’indipendenza e l’autonomia della ricerca dal potere politico. L’ Anvur non è un’Autorità indipendente ma la sua indipendenza viene esercitata nel quadro della politica del ministero e dunque della politica. L’Anvur è stata organizzata nei dettagli, compresi i criteri di valutazione che dovrebbero invece essere scelti in autonomia dalla comunità scientifica, sotto il Ministero Gelmini e si occupa di tantissimi compiti che vanno dalla valutazione dell’intero sistema universitario e della ricerca a quello dei singoli docenti: “in nessuna parte del mondo a una stessa Agenzia di valutazione vengono affidati congiuntamente tanti compiti….(che) appaiono del tutto incompatibili con le risorse disponibili e con l’autonomia degli Atenei.”

L’Anvur ha un consiglio direttivo di nomina politica che si è insediato, appunto, sotto il ministero Gelmini. Dunque tutta la procedura di disegno dell’architettura dell’agenzia non è stato affatto trasparente ed è strutturalmente intrecciato alla politica (e quale politica!) che lo ha organizzato. Inoltre l’Anvur, utilizzando dunque un metodo che non si ritrova in nessun’altra agenzia di valutazione al mondo, ha il potere di stabilire i criteri secondo i quali è possibile stabilire quale sia la ricerca “migliore” e quale la “peggiore”. I risultati sono esilaranti ma tutto sommato c’è da piangere per lo stato in cui è stata ridotta l’accademia italiana.

Questo è, in breve, il quadro che si presenta alla vigilia delle prossime elezioni politiche. Nelle prossime “puntate” ci occuperemo di come i candidati alle primarie e poi le varie forze politiche si pongono rispetto a questa situazione.