La comunione ai divorziati di B.Manni

Beppe Manni
Gazzetta di Modena, 1 novembre 2012

I divorziati possono ricevere la comunione? Parole nuove sembravano emerse dai vescovi che hanno appena terminato il Sinodo a Roma sulla ‘Nuova evangelizzazione”. Ma la dura lex rimane inflessibile: “I divorziati risposati civilmente non possono accedere alla comunione eucaristica…non possono esercitare certe responsabilità ecclesiali…non può essere loro accordata l’assoluzione se non si sono pentiti e impegnati a vivere in una completa astinenza” così il Catechismo al n.2384. A nulla valgono altre parole che cercano di stemperare questa dura proposizione: “Ai divorziati risposati – aveva detto il papa al meeting sulla famiglia di Milano – dobbiamo dire che la Chiesa li ama, devono vederlo e sentire che realmente facciamo il possibile per aiutarli’. Martini aveva ricordato l’anno scorso il pericolo di spezzare attraverso questa ‘proibizione’ il tenue filo che lega ancora i figli di genitori cattolici alla chiesa. L’impressione che abbiamo è che la gerarchia, non riesce a recepire i cambiamenti moderni.

Ma la rigidità delle regole permette situazioni di questo tipo: in un paese della collina modenese ogni domenica il parroco aggredisce i parrocchiani: “Per fare la comunione dovete confessarvi, se no fate sacrilegio. Chi non va a Messa fa peccato mortale e merita l’inferno…” Un altro minaccia, catechismo di Pio X alla mano: “I divorziati non sono ammessi alla comunione e chi interrompe una gravidanza è un assassino ecc…Ma poi nonostante questi inqualificabili interventi terroristici, la domenica tutti tranquillamente fanno la comunione e…non si sono confessati. Sembra dunque che i cristiani ormai, scelgono i loro comportamenti indipendentemente dalle parole dei preti e dei vescovi. Non sono dei disobbedienti, ma dei cristiani adulti.

Oggi ci sono giovani che vanno a convivere, coppie di omosessuali, donne e uomini divisi e risposati, famiglie allargate: molte coppie di fatto insomma. Solo pochi credenti più sensibili, cercano di seguire con angoscia le parole della gerarchia. Dagli interventi dei vescovi in verità si avverte la difficoltà di sposare la ‘legge’ ai sentimenti evangelici di misericordia e accoglienza. Anche nella nostra città se sei divorziato, e vuoi un’assoluzione e il “permesso” di fare la comunione ci sono preti intelligenti e sensibili che ti ascoltano e assolvano, magari ti consigliano di fare la comunione in un’altra chiesa. Infatti nelle parrocchie la gente si conosce. Il berlusconi di turno diviso, ma non divorziato ufficialmente non convivente, può fare la comunione. Il rossi qualsiasi che ha sposato una donna abbandonata dal marito e ne ha allevato il figlio con amore e dedizione, no. E poi evasori eclatanti, strozzini conosciuti, ladri, mafiosi occulti, inquinatori universali, bugiardi, mentitori, donne non più virtuose…che ne facciamo di tutti questi? Solo ai divorziati neghiamo la comunione?

So che chi si divide dal proprio coniuge fa una cosa non buona per se e specialmente per i figli. Ma alle volte il progetto del matrimonio è fallito. A stare insieme ci si fa solo del male. So che le persone soffrono e sanguinano nel fare certe scelte. E lo fanno responsabilmente. Cercherei umanamente di aiutarli a ricostruire il vincolo spezzato. Ma poi se non c’è più niente da fare, se hai trovato un compagno o una compagna e vuoi essere credente, dopo un congruo tempo di riflessione, ti riammetterei alla comunione chiedendoti come sola (!) condizione di perdonarvi l’un l’altro e di non mantenere sentimenti di astio. Senza sottostare all’umiliante richiesta di ‘annullamento’ da parte del tribunale ecclesiastico. Poi spenderei una parola per invitare i credenti risposati a mantenere fede alla loro seconda unione: la nuova promessa è valida anche davanti a Dio.

Oppure. Ricevere il pane consacrato non è un premio per i perfetti ma una partecipazione completa all’eucarestia e agli amici che ti sono intorno. Poi ci sono ben altri peccati che meriterebbero un tipo di scomunica e implicherebbero l’auto allontanamento dalla comunità.

Ma in fondo, non sta a me vescovo o parroco o ai parrocchiani moralisti giudicare chi è buono o peccatore.