Problemi di inizio e di fine vita

Paolo Bonetti
www.italialaica.it | 10.11.2012

L’ultimo numero della rivista “Bioetica”, organo ufficiale della Consulta di Bioetica, una organizzazione laica da non confondere con il Comitato Nazionale di Bioetica di nomina governativa e fin dall’inizio fortemente condizionato da una maggioranza di membri cattolici, pubblica nel suo ultimo numero, a vent’anni dalla nascita, un editoriale del suo direttore Maurizio Mori, che s’intitola significativamente: L’impegno per il pluralismo etico continua. Di questo impegno abbiamo grandemente bisogno, perché, come sottolinea Mori, esso sembra essersi fortemente attenuato dopo le grandi battaglie per un’etica pubblica laica, garante indispensabile di questo pluralismo, che vennero combattute e vinte negli anni settanta e nei primi anni ottanta. Fu allora che vennero varate le grandi leggi sul divorzio e sull’aborto, oltre alla fondamentale riforma del diritto di famiglia che riconosceva il nuovo ruolo assunto dalle donne nella società italiana. Ma poi ci siamo come addormentati e oggi, sulle fondamentali questioni dell’inizio e del fine vita, le posizioni culturalmente più retrive sono di nuovo all’attacco e minacciano di svuotare le leggi già approvate e poi confermate a larghissima maggioranza popolare da due referendum, quello sul divorzio del 1974 e quello sull’aborto del 1981. Successivamente i laici hanno invece perduto il referendum sulla procreazione assistita per abolire la pessima legge 40/2004 , e lo hanno perduto per l’astensionismo promosso dalla chiesa cattolica e dai partiti politici che la fiancheggiano. Ma dobbiamo riconoscere che quel referendum è stato perduto anche per l’incapacità delle forze laiche di mobilitare l’opinione pubblica contro una legge iniqua, facendo capire che ad essere violati non erano soltanto i diritti delle coppie che aspirano ad avere un figlio con le nuove tecnologie, ma anche quelli di ogni cittadino che rivendica, in tutti i settori della sua vita, il diritto di scegliere autonomamente la propria strada verso quel tanto di felicità e di benessere che ad ognuno di noi è dato conseguire.

Che quella legge fosse non solo moralmente ingiusta, ma anche in più punti incostituzionale ( in particolare il divieto della diagnosi pre-impianto, ma anche altre proibizioni), è stato poi ampiamente dimostrato dalle molte sentenze della Corte Costituzionale che l’hanno sostanzialmente demolita e, infine, dalla pronuncia negativa della Corte di Strasburgo dei diritti dell’uomo che ha mostrato la sua incompatibilità con tutti quei documenti che sono stati elaborati, negli ultimi decenni, per la migliore tutela dei diritti universali. Contro questa sentenza il governo italiano ha dichiarato, su pressione degli ambienti politici e culturali più vicini alla Chiesa cattolica, di voler presentare ricorso ed è grave che esso abbia intenzione di difendere un documento che è lesivo tanto dei principi della nostra Costituzione quanto di quelli fatti valere da un autorevole organismo sovranazionale. Anche la legge del 1978 sull’interruzione di gravidanza sta subendo ripetuti assalti da parte dei movimenti clerical-conservatori, che sono le truppe d’assalto del Vaticano all’interno della nostra società civile. Da una parte, con l’alibi di volerne migliorare il funzionamento, si cerca di introdurre in misura massiccia le associazioni del volontariato cattolico nei consultori pubblici, dall’altra cresce fino al parossismo la percentuale dei medici obiettori di coscienza contro l’aborto (pare che nella regione Lazio abbia ormai raggiunto il 90%). Qui il discorso si fa delicatissimo, perché noi laici abbiamo sempre rivendicato il diritto all’obiezione di coscienza, anche se non in modo indiscriminato. Ma nel caso dell’aborto il problema è complesso e merita una ulteriore riflessione: la legge 194 ammette l’interruzione di gravidanza in casi ben determinati e non è per nulla una legge che consenta l’arbitrio e favorisca facili abusi, anche perché l’aborto non è mai per una donna un metodo sbrigativo di controllo delle nascite, ma un evento doloroso a cui si ricorre per motivi oggettivamente gravi e tassativamente fissati dalla legge. Se c’è il diritto del medico ad obiettare (e questo non sempre avviene per autentici motivi di coscienza, ma spesso per opportunismo e conformismo), c’è anche quello delle donne di poter usufruire delle strutture pubbliche dopo che in coscienza e con sofferenza hanno deciso di ricorrere all’aborto. Lo Stato non può permettere che un diritto chiaramente sancito da una sua legge venga reso vano da una obiezione di coscienza così generalizzata da destare i più gravi sospetti, anche perché molto frequentemente si scoprono medici anti-abortisti che praticano lucrosi aborti clandestini. La libertà di coscienza di alcuni non può essere oppressiva della libertà di coscienza di altri: occorre, quindi, che chi intraprende la professione medica sia consapevole del fatto che esistono leggi che lo obbligano a compiere determinate funzioni; se alcune di queste funzioni sono per lui moralmente ripugnanti ( lo sono davvero e non per convenienza professionale), non c’è altra scelta che quella della rinuncia alla professione di medico, almeno in quei settori della medicina che sono più a contatto con i problemi della gravidanza. Non parliamo poi del tentativo cattolico di rivendicare l’obiezione di coscienza anche per i farmacisti; a parte ogni considerazione di principio, si arriverebbe a situazioni grottesche, con i farmacisti obiettori autorizzati non solo a rifiutare la vendita della cosiddetta pillola abortiva, ma perfino dei contraccettivi maschili, con le conseguenze catastrofiche che possiamo ben immaginare e che in altri paesi del mondo sono già largamente all’opera. Quando la morale si separa dal buon senso diventa più dannosa della stessa immoralità.

Se sulla procreazione assistita e sull’aborto si addensano i pericoli che provengono da chi non si rassegna all’abolizione di una legge iniqua (quella sulla procreazione) o cerca di svuotare progressivamente una legge sostanzialmente giusta (quella sull’aborto), per quel che riguarda i problemi del fine vita (e nonostante le battaglie, condotte con il consenso della stragrande maggioranza dell’opinione pubblica, sui casi di Piergiorgio Welby e di Eluana Englaro), continua ad incombere il rischio che il disegno di legge Calabrò, già approvato dal Senato, ottenga ora, proprio alla fine della legislatura, anche l’approvazione della Camera e divenga legge dello Stato. Sarebbe una iattura forse peggiore della stessa legge sulla procreazione assistita, perché, come i nostri lettori sicuramente sanno, il progetto Calabrò, voluto dal governo Berlusconi per accontentare la Chiesa cattolica dopo la morte di Eluana Englaro, finge di concedere, con un finto testamento biologico, quello che in realtà nega alla radice, dal momento che la nostra libera decisione circa il modo di essere o non essere curati (un diritto sancito anch’esso dalla Costituzione) può essere annullata, quando noi non siamo più in grado di reagire, dall’arbitrio di persone che non sono obbligate a tenerne conto. E’ come se, dopo aver deciso di lasciare le nostre sostanze a Tizio piuttosto che a Caio, il notaio incaricato di rendere esecutivo il testamento stabilisse che per lui questo non va bene e che perciò, a suo insindacabile giudizio, i nostri beni andranno a Caio invece di andare a Tizio. Il disegno di legge Calabrò è una mostruosità morale e giuridica che rischia di essere approvata da una Camera ormai politicamente ed eticamente del tutto delegittimata. Anche su questa questione è necessario che i laici, credenti o non credenti che siano, ma desiderosi comunque di costruire una società fondata sui valori dell’autonomia personale e del pluralismo morale, riprendano la loro battaglia civile e culturale con quel coraggio e quella energia di cui hanno saputo dare prova in passato e che si sono purtroppo venuti attenuando in questi ultimi anni.