Corno d’Africa: è ora di dire basta al traffico di esseri umani e di organi

Maria Paola Fiorensoli
www.womenews.net

Del Corno d’Africa, della tratta di esseri umani e della loro particolare valenza al femminile, come del traffico di organi con le innumerevoli morti, anche infantili, come esito di torture, infezioni, espianti, si è parlato nella Casa internazionale delle donne il 25 novembre, in due ore pomeridiane promosse dalla costituenda associazione SOS Sinai e da un gruppo f.b. di attivisti/e.

Il racconto dell’orrore, con foto e collegamento in diretta con la dott.ra A., che sta dedicando la vita alla denuncia dei crimini e al soccorso delle vittime, dimostra che gli interventi degli Enti umanitari (es. Asinitas), presso gli organismi internazionali e i molti servizi giornalistici (es. Cnn, Bbc, Al Jazeera), Agenzia Habeshia per la cooperazione allo sviluppo), non hanno sinora sortito effetti rilevanti, non hanno dato visibili esiti diplomatici né diffuso adeguatamente la conoscenza del dramma fuori dagli ambienti più sensibili alle questioni umanitarie o direttamente coinvolti.

Perché il Sinai? Perché i canali del traffico di esseri umani e di organi che prima passava per zone adesso impraticabili, come la Libia, ha trovato nuove strade del dolore in Egitto, specie nella penisola sinaica.

Il Corno d’Africa significa Paesi con Governi che non reclamano come proprie le persone in fuga per vari motivi e rinchiuse, in altri, in campi di detenzione o nelle carceri ordinarie, e che difficilmente ottengono lo status di rifugiato/a politico/a dopo essere sfuggiti (o essere stati riscattati), ai predoni, ai pirati, alle parti corrotte delle polizie locali, al prigionia, nel deserto, in condizioni disumane, con torture e stupri.
Passando di mano in mano, con richieste di riscatto sempre più alte (dai 20.000 ai 50.000 dollari), le vittime, se merce inutile all’arricchimento o alla prostituzione, passano ai trafficanti d’organi.

Alla grande tomba marina del Mediterraneo, corrisponde quella del deserto egiziano, sudanese, somalo, etiopico, eritreo, dove il viaggio della speranza e della disperazione comincia e può in fretta finire sotto le dune. Solo una piccola parte raggiunge le nostre coste per scontrarsi con le nostre leggi ed entrare nei Cie (Centro di identificazione ed espulsione), da cui si esce per un viaggio spesso senza ritorno.
Gli interessi geopolitici ed economici degli Stati d’uscita e degli Stati d’ingresso, le loro spinose relazioni diplomatiche, le inadempienze delle Convenzioni internazionali (es. Ginevra), la diffusa corruttela e la sostanziale non volontà/impossibilità di reprimere, all’origine, un fenomeno atroce quanto diffuso, stanno togliendo il futuro alle popolazioni del Corno d’Africa, già duramente provate.

La questione religiosa innesca ulteriori complicanze anche se cristiani e islamici e animisti condividono il barbaro trattamento, e in alcuni casi ostacola la già scarsa azione delle Ong nella continuità d’assistenza e d’istruzione e sanitaria.
SOS Sinai ha evidenziato che in Eritrea la situazione si differenzia dalla Somalia solo per la presenza della dittatura e che la tragedia del rapimento e della vendita ai pirati e ai predoni può iniziare in patria, a causa di una rete criminale (es. Rashaida), in contatto con i movimenti del terrore (Al Quaeda e i gruppi fondamentalisti armati, le mafie internazionali), che si passano le vittime di mano in mano nei lunghi tragitti di fame, torture reiterate, terrore, per portarle alle porte di Israele, nella zona rovente del Sinai.

Le volte che la polizia egizia cattura pirati e predoni, le vittime non sono liberate ma entrano nei “campi di detenzione” con l’accusa d’immigrazione clandestina. Altre sofferenze le aspettano prima di essere, in qualche caso, “reclamate” dal Paese d’origine od obbligate a un’espulsione che significa la morte.

Dell’atroce fenomeno si occupano alcune ong ed enti (Agenzia Habeshia, Gruppo EveryOne, New Generation Foundation for Human Rights, Ong Gandhi, Eritrean Refugees Protection Group, America Team for Displaced Eritreans, Eritrean Youth Solidarity for Change), molti dei quali costituiti da comunità del Corno d’Africa all’estero, in Europa o in America, poiché sono loro a ricevere le drammatiche richieste di riscatto e a subire la tortura psicologica di non poter salvare sempre parenti e/o connazionali.
Nel possibile, raccolgono le somme, forniscono documenti, premono sui governi per ottenere il rientro o lo status di rifugiato/a.
In ultimo, è da ricordare che Amnesty International preme per introdurre, anche in Italia, il reato di tortura: un vuoto legislativo che va colmato avendo il nostro paese già ratificato, nel gennaio del 1989, la Convenzione contro la tortura delle Nazioni Unite.