Crisi economica e diritti civili

Paolo Bonetti
www.italialaica.it, 29.11.2012

Mi è capitato più di una volta, parlando con amici e amiche che hanno combattuto in passato tutte le battaglie per la laicità delle istituzioni e del costume, di sentirmi dire che oggi urgono ben altri problemi, che la crisi economica e la disoccupazione crescenti,

l’angoscia per il futuro di milioni di famiglie italiane, ci debbono indurre a mettere da parte le lotte per i diritti civili. Questi sarebbero un lusso al quale si può pensare nei momenti facili, quando il reddito cresce, c’è la sicurezza di non perdere il posto di lavoro e l’avvenire delle nuove generazioni è in qualche modo garantito. Ma oggi, in un tempo in cui la recessione morde sempre più pesantemente il tenore di vita dei ceti medi e della classe operaia, non possiamo perdere troppo tempo con questioni come la procreazione assistita, il testamento biologico, il riconoscimento giuridico delle coppie di fatto, la tutela della legge 194/78 sull’aborto.

Francamente non capisco il perché di simili affermazioni, che stabiliscono un rapporto del tutto assurdo fra le difficoltà economiche e quei diritti che certamente non distolgono risorse dagli impieghi produttivi, ma allargano gli ambiti di libertà e di autonomia a favore di tutti, occupati, disoccupati e precari. In realtà, l’argomento della insignificanza dei diritti civili e delle libertà personali per i ceti economicamente più svantaggiati, è un argomento che conservatori e reazionari hanno sempre adoperato per dividere il fronte riformatore e proclamarsi i veri rappresentanti dei ceti popolari, di cui comprenderebbero aspirazioni ed interessi molto meglio degli intellettuali progressisti o presunti tali.

Non è così ed è facile dimostrare quanto siano ingannevoli simili affermazioni. Quando si nega alle coppie sterili il diritto di ricorrere alle tecniche della procreazione assistita, si compie una vera e propria discriminazione classista: chi è ricco potrà andare all’estero per soddisfare il suo legittimo desiderio di paternità e maternità e chi è povero dovrà rinunciarvi.

Se ci viene negato il diritto di decidere autonomamente come e fino a che punto curarci oppure concludere dignitosamente la nostra vita, non mancheranno cliniche private o centri medici stranieri che provvederanno, al riparo da sguardi indiscreti e intromissioni di poliziotti e di giudici, a soddisfare le richieste di coloro che hanno la possibilità di comperare con il denaro quello che le leggi italiane non concedono ai cittadini comuni.

Lo stesso si può dire per l’interruzione di gravidanza; se i medici del servizio sanitario pubblico si rifiutano di compiere aborti in tutti quei casi in cui l’aborto è ritenuto lecito dalla legge 194, tornerà ad accadere quello che abitualmente accadeva prima dell’approvazione della legge: le donne povere ricorreranno nuovamente ai ferri delle mammane con gravissimi pericoli per la loro vita e la loro salute, mentre le ricche potranno rivolgersi, in Italia o all’estero, a quei centri medici dove l’aborto si pratica come una specie di privilegio di classe.

Se il parlamento si rifiuta di approvare una legge contro la violenza omofobica, le conseguenze negative di nuove discriminazioni e di nuove violenze ricadranno non sugli omosessuali socialmente privilegiati, ma su quelli che vivono e lavorano in ambienti dove il pregiudizio è più forte per la minore maturità culturale. Non promuovere e non proteggere le libertà degli individui nella sfera intima, significa rendere più difficile e incerta la vita di coloro che già vivono nella incertezza e nella precarietà per una condizione economica difficile che espone a molteplici condizionamenti e ricatti.

Le lotte per una società più equa, in cui ci siano maggiori opportunità di lavoro e di reddito per tutti, non deve farci trascurare la lotta per non lasciar disperdere quel patrimonio di diritti di libertà che i laici italiani hanno saputo accumulare nel periodo compreso fra gli anni settanta e quelli ottanta del secolo passato.

La dignità delle persone non si difende con le semplici dichiarazioni di principio o con le parole altisonanti della Chiesa cattolica che proclama, in teoria,  il rispetto dovuto a ogni persona, ma, nel concreto delle posizioni che assume, incoraggia e promuove pesanti discriminazioni nei confronti di quelle stesse persone che afferma di voler rispettare, negando i loro diritti a causa di un orientamento sessuale che essa non approva o perché hanno sulla vita e sulla morte idee che non sono in sintonia con il suo codice morale.

Fra le tante cose che la nostra classe politica dovrebbe cominciare a capire e che continua invece ad ignorare, c’è il bisogno sempre più diffuso, anche fra le persone culturalmente più modeste, di costruire autonomamente la propria vita, di trovare la propria strade verso una qualche forma di felicità (diversa per ognuno di noi) senza dover subire le imposizioni di una casta religiosa  che usa il braccio secolare della politica per imporre i suoi valori morali ritenuti gli unici conformi ai dettami di quella che viene chiamata la retta ragione.

Ma per un laico, anche credente, la retta ragione non è quella che viene imposta autoritariamente da un qualsivoglia potere politico o religioso, bensì quella che la coscienza individuale di ciascuno, confrontandosi liberamente con ogni altra coscienza nel rispetto reciproco, ritiene di dover adottare come guida della propria vita.