Irlanda: i medici impedisco l’aborto e Savita muore

Alessandro Oppes
Il Fatto Quotidiano, 15 novembre 2012

Savita voleva abortire. L’aveva chiesto più volte ai medici dell’ospedale universitario di Galway, a ovest dell’Irlanda, angosciata dai fortissimi dolori alla schiena che soffriva da giorni, terrorizzata dal sospetto che potesse accadere l’irreparabile. Niente da fare, le hanno detto: “Questo è un Paese cattolico”. E poi, dalle analisi risultava che il feto era ancora in vita. Purtroppo, aveva ragione lei.

Quando l’hanno ricoverata era troppo tardi. Prima le hanno estratto il feto, ormai cadavere. Dopo cinque giorni è morta di setticemia, quando era giunta alla diciassettesima settimana di gravidanza. Il caso di Savita Halappanavar, dentista di 31 anni, irlandese di origine indiana, di religione hindu, ha sconvolto il Paese e si è trasformato in uno scandalo estremamente imbarazzante per il governo del premier Enda Kenny, che ha dovuto subito ordinare due indagini per accertare tutte le responsabilità. L’Irlanda ha ancora oggi una delle legislazioni sull’aborto più restrittive di tutta l’Unione Europea.

Già due anni fa, il Tribunale per i diritti umani di Strasburgo aveva condannato il governo di Dublino a indennizzare con 15 mila euro una donna che non era stata autorizzata a interrompere la gravidanza nonostante la sua vita fosse in pericolo. In teoria, solo in casi del genere l’aborto sarebbe consentito anche in Irlanda. Ma l’applicazione della norma è lasciata alla libera interpretazione dei medici. Non sono mancati i tentativi di porre riparo a una stortura storica: due referendum celebrati negli ultimi vent’anni, e anche un progetto di legge di riforma dell’aborto, che però è stato bocciato dal Parlamento di Dublino nello scorso mese di aprile.

Praveen, il marito di Savita, ha raccontato all’Irish Times: “Il consulente dell’ospedale le ha spiegato che finché si sente un battito cardiaco del feto i medici non avrebbero potuto fare niente”. E adesso, per Savita, non c’è proprio più niente da fare.

Sulla vicenda si ritiene utile riportare una precisazione tratta dall’articolo di Cagliostro su Cronache Laiche di mercoledì 14 novembre:

“Dal 18 ottobre nella cattolicissima Irlanda è possibile ricorrere all’aborto. Si può farlo nella clinica Maria Stopes nel centro di Belfast – quindi nella parte di paese appartenente al Regno Unito – dove pur non essendo valido il divieto di effettuare interruzioni di gravidanza, vigente dal 1967 nella Repubblica d’Irlanda, si è sempre evitato di praticarle per non alimentare le tensioni con la componente cattolica della popolazione. Il giorno in cui è stata aperta la clinica Maria Stopes gli antiabortisti sono scesi in piazza a protestare e la polizia ha dovuto presidiare la struttura per tutelare l’incolumità dei pazienti e del personale. Come riporta il Time l’apertura della clinica ha inevitabilmente acceso il dibattito in tutta l’Irlanda, dove la Chiesa cattolica può contare nell’adesione dell’84 per cento della popolazione e ha sempre svolto un ruolo importante nelle decisioni politiche, anche se i recenti scandali di preti coinvolti in casi di pedofilia ne hanno scalfito il prestigio. Un paese, però, che sta cambiando e che vede il 54 per cento degli elettori a favore della legalizzazione dell’aborto contro il 37 di qualche anno fa”.