Quel ragazzo ucciso dal pregiudizio degli altri

Michela Marzano
La repubblica, 23 novembre 2012

Pare che Andrea, il ragazzino romano suicida a 15 anni, amasse il rosa e lo smalto per le unghie. E allora? Dove sta scritto che un bambino debba per forza amare l’ azzurro ed essere virile? Da quando in qua i colori hanno un sesso? In realtà, non è scritto da nessuna parte che un ragazzo non possa vestirsi come una ragazza.
Né è scritto che l’ omosessualità sia qualcosa di cui ci si debba vergognare. Il rosa e l’ azzurro non hanno sesso. E “uomo” e “donna” si diventa, non si nasce. Il rapporto tra sesso, genere e orientamento sessuale è estremamente complesso e non esistono regole universali. Eppure, nonostante lo si sappia ormai da tanto tempo, ci si continua a comportare come se tutto fosse semplice e indiscutibile. Siamo ancora prigionieri di una società in cui i ruoli di genere sono codificati in maniera rigida, e in cui l’ apparenza sembra dover determinare sempre e comunque il modo di comportarsi.

Come se esistesse veramente un’ essenza ontologica della femminilità e della virilità. Come se, per definizione, un uomo dovesse essere sempre aggressivo, violento e insensibile, lasciando alla donna caratteristiche come la gentilezza, l’ empatia o la compassione. La differenza fa paura. Rimette in discussione quello che si conosce, o che si pensa di sapere, spingendoci a rifiutare tutto ciò che è “altro” rispetto a noi, ai nostri codici, alle nostre abitudini.

Ecco perché tutti coloro che non si conformano alle aspettative diventano poi dei veri e propri capri espiatori, oggetto di insulti e di linciaggio, di una violenza spesso inaudita. Proprio come Andrea, esasperato dagli insulti e dalle derisioni. Le prime ricostruzioni della vicenda sono impietose. Lo additavano. Lo chiamavano “frocio”. Era diventato un fenomeno di baraccone solo perché diverso dagli altri. Solo perché non corrispondeva ai canoni della virilità. Era omosessuale? Molto probabilmente sì.
Ma il punto, forse, non è questo. Perché avrebbe potuto anche essere un ragazzo a disagio nel proprio corpo maschile e convinto di essere una donna. Oppure anche solo un ragazzo originale ed eccentrico. La vera questione è che era trattato come un “frocio”. Quello che resta ancora, in Italia più che altrove, l’ insulto per eccellenza. Perché un uomo, un uomo vero, certe cose non le fa. Un uomo, un uomo vero, certe cose non le pensa.

Un uomo, un uomo vero, non si comporta come una “femminuccia”. I bambini e gli adolescenti possono essere crudeli, ormai lo sappiamo bene. Anche quando tutto comincia un po’ per gioco. Quando il bulletto di turno vuol sentirsi più forte degli altri e cerca di attirare l’ attenzione generale prendendo in giro un compagno o una compagna. Quando gli amici lo seguono per divertirsi anche loro. Anche se poi le vittime delle angherie non si divertono affatto. Anzi. Pian piano si allontano dal gruppo, si isolano, si disperano.

Perché nessuno li protegge. Nessuno interviene. Come se nonostante tutti i discorsi sulla tolleranza, gli adulti fossero ancora incapaci di capire che la tolleranza è sempre e solo accettazione dell’ alterità. La vera responsabilità di questo tipo di tragedie è loro. Di tutti coloro che o non sono capaci di intervenire o non si rendono conto della situazione o, peggio ancora, legittimano con il loro comportamento quello che accade. Quando si è piccoli, non ci si può ancora proteggere da soli. Non si hanno gli strumenti. Non se ne ha la capacità. Soprattutto se nessuno ci insegna che non c’ è niente di male a non essere come gli altri. Che l’orientamento sessuale non è una colpa. Che l’ omosessualità non è una malattia.

Ma questo, appunto, è il compito degli adulti. Sono loro che dovrebbero decostruire gli stereotipi di genere, insegnare che ci sono tanti modi diversi per diventare uomini o donne e spiegare che l’ orientamento sessuale non dipende dal sesso. Magari aiutati anche da una legge contro l’ omofobia e la transfobia che permetta di dire in modo chiaro da che parte deve stare la vergogna: non ci deve vergognare di quello che si è, quando non si corrisponde alle norme sociali, ma di quello che si dice o che si fa nel momento in cui ci si permette di stigmatizzare una persona solo perché diversa da noi.

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(CS) – Quindicenne suicida, vittima di omofobia? – Le Istituzioni calendarizzino ed approvino la Legge contro l’Omo-Transfobia

Il Coordinamento Torino Pride

Al presidente della Camera
Onorevole Gianfranco Fini

Al Presidente del Senato
Senatore Renato Schifani

Al Ministro dell’Istruzione
Francesco Profumo

L’Italia piange un altro figlio, vittima del disagio e del bullismo.

Restiamo sgomenti davanti all’ennesimo adolescente che si toglie la vita in quanto vittima di vessazioni e derisione, semplicemente perché ritenuto omosessuale, proprio il giorno in cui in tutto il mondo si ricordano le vittime della Transfobia. Un ragazzo la cui unica colpa era di vestirsi di rosa e laccarsi le unghie

Siamo stanchi di una classe politica che non sa tutelare i propri cittadini e tanto meno i propri figli e figlie, stufi delle inconsistenti motivazioni con cui da anni la classe politica blocca e rinvia la legge contro l’omo-transfobia, arrabbiati davanti all’ennesimo funerale di un adolescente che non ha saputo trovare risposte al proprio disagio, qualunque esso fosse.

E allora chiediamo: quanti morti volete immolare ancora all’idea di negare un problema, che è emergenza sociale?

ORA BASTA, ora PRETENDIAMO RISPOSTE e GIUSTIZIA

Il Coordinamento Torino Pride chiede al Presidente della Camera di calendarizzare al più presto le proposte di legge contro l’omo-transfobia con l’estensione della Legge Mancino giacenti da tempo.
Chiediamo altresì al Presidente del Senato di farsi garante dell’iter nel proprio ramo del Parlamento Italiano.

L’Italia prenda esempio dal Cile che, davanti all’orribile morte di un suo figlio per mano di omofobi, ha trovato la forza ed il coraggio di approvare un’apposita legge nel giro di qualche settimana.

Siamo però altresì consapevoli che una legge da sola non basta, ma serve rifondare la cultura del rispetto, il rispetto di qualunque diversità, e forte dei risultati del Gruppo Formazione nelle scuole, il Coordinamento Torino Pride chiede al Governo Italiano ed al Ministro dell’Istruzione Francesco Profumo, di inserire nel Bilancio dello Stato – ora e subito nella prossima manovra finanziaria 2013 – un fondo apposito a garantire, in ogni ordine della scuola dell’obbligo, corsi contro qualsiasi tipo di discriminazione e a garantire adeguata formazione in merito ai docenti.

Il Coordinamento Torino Pride invita tutte le associazioni LGBT e della società civile, ad aderire al presente appello nei confronti delle Istituzioni e a dare un forte segnale di discontinuità con l’emergenza sociale in corso, attivandosi con le iniziative più opportune sul territorio.

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Sul caso del ragazzo suicida: non tutto quadra

Giovanni Dall’Orto
www.giovannidallorto.com

Ho letto i comunicati stampa d’insegnanti e compagni, che allego perché mi pare giusto che sia sentita anche la loro voce: non mi piacciono i processi, figuriamoci i linciaggi.

Rispetto il dolore di tutti, come vorrei che fosse rispettato il mio se fossi io in quel frangente, ma non tutto quadra.

Dopo trent’anni di movimento so infatti che non sarebbe questa la prima volta che genitori e amici “non sapevano” (com’è noto, i genitori sono spesso gli ultimi a cui lo si va a dire, non i primi, quando si scopre di essere gay o trans), o che i presidi dichiarano “non c’è omofobia in questa scuola. Anzi, pensi, non ci sono neppure gay…”.

Sul profilo del ragazzo ci sono cose strane, come la pompa-idrante accanto alla scritta “questo è quello che vuole fare da grande”: le pompe, appunto. Né va sottovalutato come certi “scherzi” siano tali solo per chi li fa.

La scusa “Anche lui rideva con noi quando lo prendevamo in giro, erano solo scherzi” è un classico dopo OGNI suicidio. E del resto che volete che dicano: “è vero, lo abbiamo spinto noi al suicidio con il nostro bullismo e i nostri scherzi da ragazzini totalmente decerebrati?”.

Quanti di noi ricordano di quando erano COSTRETTI a ridere delle prese per il culo perché ribellarsi avrebbe comportato ritorsioni e prediche sui gay che frignano sempre anche se nessuno li tocca?

E gli insegnanti? Sembra un disco rotto: non è successo nulla, non c’era nessun problema. Ah sì? Ed è quando non c’è nessun problema e non è successo nulla che i ragazzini si ammazzano? La pedagogia ogni giorno fa scoperte nuove… sorprendenti. No, ci sono molte cose che non quadrano.

Una delle quali, tuttavia, è il motivo per cui il Gay Center di Roma abbia fatto sapere Urbi et Orbi che il ragazzo suicida era gay.

Delle due l’una: o lo avevano saputo in via riservata dal ragazzo stesso, ed allora hanno tradito un preciso impegno a non mettere in piazza ciò di cui vengono a conoscenza nel corso del loro mestiere, oppure lo hanno detto senza averlo saputo, giusto per fare parlare della loro struttura elefantiaca che ha bisogno di un alto e costante livello di allarme sociale per giustificare la richiesta di alti e costanti contributi pubblici:
http://www.enciclopegaya.com/index.php?title=Finanziamenti_pubblici_al_mondo_lgbt_italiano

E’ palese che noi come movimento lgbt abbiamo molto, molto, molto da imparare su come gestire il disagio degli adolescenti. Diciamo pure che l’accaduto dimostra che non ne capiamo una mazza, e facciamo prima.

Io non so cosa sperare: qualsiasi sia la conclusione finale, ragazzi, qui siamo di fronte ad un ragazzino che è morto a 15 anni. Non stiamo discutendo di questioni astratte, ma di un poco più che bambino che ha deciso che vivere era un peso insopportabile per lui, e ad una famiglia che lo ha perso senza neppure sapere perché.

Anche se venisse fuori una ragione, lo strazio non sarebbe minore, dato che si darebbero la colpa di non avere capito… Ma capito cosa? A quanto emerge dalle testimonianze, neppure il ragazzino aveva ancora “capito”. Cosa che peraltro, a quell’età, era suo diritto fare.

Non so cosa sperare, ma so cosa non voglio più: la gestione del disagio della generazione lgbt più giovane affidata ai professionisti della sfiga altrui. Colmare di denaro alcuni di noi perché pensino loro a tutto è solo un modo per garantirci che questi alcuni abbiano bisogno fisiologico del fatto che la sfiga altrui continui: ci campano.

Il sostegno peer-based dov’è finito? Cos’è rimasto del volontariato dopo venti anni di corruzione a furia di “progetti” e finanziamenti pubblici, che sono serviti a tapparci la bocca su quanto NON viene fatto in termini di prevenzione del disagio e di sostegno? Ma perché un adolescente gay, per avere una buona parola, deve avere un centro gay, e non può contare su altre strutture e luoghi? Non sarebbe suo diritto averne ovunque, anche se vive ad Aosta?  Ma in che razza di logica ci siamo fatti blindare?

Credo che questo evento luttuoso, al di là della spiegazione che potrebbe emergere nei prossimi giorni o non emergere affatto (a volte i quindicenni si uccidono solo perché sono quindicenni: l’adolescenza è un’età fragile… per questo ha bisogno di tutto l’aiuto che possiamo darle) abbia posto anche a tutti noi la domanda di: cosa stiamo combinando?

E perché siamo ormai nella posizione da apparire ai nostri connazionali più come avvoltoi in attesa di cadaveri su cui piombare, che come esseri umani che vogliono eliminare dal mondo per quanto possono tutto il dolore degli altri (incluso quello dei genitori, e degli amici del ragazzo che s’è ucciso) perché lo sentono come proprio?