Gesu’ bambino di G.Codrignani

Giancarla Codrignani

Strano testo questa “Infanzia di Gesù secondo il Papa” che l’editore Rizzoli ha stampato con due distinti nominativi dell’autore: Joseph Ratzinger, Benedetto XVI. Il quale apre con un incipit quasi patetico (“Finalmente posso consegnare nelle mani del lettore il piccolo libro da lungo tempo promesso sui racconti dell’infanzia di Gesù”) e con precisazioni non perspicue: i “due passi” necessari al “giusto esegeta” sono 1) chiedersi quale fosse l’intendimento di Matteo e Luca, i due evangelisti che trattano storicamente la nascita, e 2) quale sia il criterio circa la veridicità e il senso per il lettore di oggi; nella consapevolezza che “questo colloquio nell’intreccio tra passato, presente e futuro non potrà mai essere compiuto e che ogni interpretazione resta indietro rispetto alla grandezza del testo biblico”.

Abbiamo letto la recensione di Vito Mancuso (Repubblica, 21 novembre), seguita poi da altre dello stesso carattere, con le perplessità che erano già comuni a chi avesse avuto conoscenza degli altri due volumi sulla storia di quel “Gesù di Nazaret”, che forse a Nazaret non era nato. Credo che sia tempo, nel terzo millennio – soprattutto perché tutto possiamo dire tranne che la proposta evangelica sia mai stata realmente adottata o sia in via di adozione non solo in alcuna delle società contemporanee, ma neppure nelle chiese cristiane – di eliminare le contraddizioni tra verità storica e verità religiosa. Il fascino della stella cometa è diventata perfino metafora e suggestiona non solo i bambini che costruiscono il presepio: ma nessun Vangelo ne parla.

Il Papa afferma che gli autori dei Vangeli erano consapevoli di attestare verità storiche: il Papa – che è sempre stato conosciuto come uomo di cultura e, ovviamente, di teologia – non può ignorare che non la secolarizzazione, ma queste commistioni ambigue tra fede e ragione danneggiano le chiese. L’insegnamento della religione cattolica secondo il privilegio concordatario assegna maggior responsabilità anche all’autorità che, per chiamarsi non solo Joseph Ratzinger, ma anche Benedetto XVI, potrebbe determinare, qualora fosse seguita, adeguamenti didattici non propriamente corretti.

Fortunatamente ormai questa disciplina è affidata soprattutto a laici preparati e non a sacerdoti condizionati dal loro status. Un buon numero di ragazzi oggi impara che la Bibbia è un libro unico di un solo autore divino pervenutoci in un Canone di libri riconosciuti come autenticamente ispirati, e sa distinguere (quando questo insegnamento funziona) il valore del “sacro” dalla verità che resta ricerca aperta; altrimenti non potrebbe accettare la doppia redazione, subito all’inizio di Genesi, della creazione dell’uomo e della donna. I Vangeli sono stati scritti da autori, anch’essi riconosciuti canonici, di cui si sa pochissimo, con la sola certezza che il confronto comparato registra discrepanze e che gli esegeti successivi li hanno collocati secondo gerarchie di importanza diverse (Marco nel nostro tempo è diventato particolarmente importante, dopo secoli di irrilevanza).

Non per questo va perduta la bellezza delle narrazioni e delle stesse tradizioni leggendarie che storicamente (la storia ha anche questa funzione) testimoniano il senso del fare memoria proprio delle religioni. In questo senso sarebbe giusto rendere “storico” il valore dei Vangeli apocrifi, proprio per capire che cosa intendiamo per “narrazioni”. Se oggi i veterocattolici lamentano la vittoria dell’albero di Natale sul Presepio, si danno volgarmente la zappa sui piedi: chi non ha trasmesso il valore della festa cristiana e il senso di fede implicito nelle mediazioni dell’immaginario?

Benedetto resta bloccato, se, sostenendo la veridicità del concepimento ad opera dello Spirito Santo, afferma che la duplice origine (umana e divina) di Gesù è “determinabile e, tuttavia, è un mistero”, come se lo storico potesse registrare la categoria del “mistero”. Quando aggiunge che Maria è “colei in cui avviene un nuovo inizio, ricomincia in modo nuovo l’essere persona umana”, e si ferma alla grandezza di una donna che ha acconsentito, omette di dire che la lettura di un credente contemporaneo non si ferma a Bernardo di Chiaravalle, ma chiede almeno oggi il riconoscimento di “quella” libertà solo femminile nel valore di ogni donna. E la stessa “storicità” del concepimento “senza peccato” risulta poco sostenibile, quando ai tempi di Gesù doveva apparire un fenomeno così stupefacente da farne un teme forte di ogni testimonianza non solo cristiana.

Ripeterlo oggi equivale a censurare ogni riflessione critica sul “peccato originale” (cosa che, infatti, la Congregazione della Fede ha già messo in pratica), ma anche a ribadire un giudizio sulla sessualità umana limitativo dei doni della creazione. Forse l’uomo in origine era predatorio (alcuni, troppi lo sono ancora senza che la Chiesa pensi mai a evangelizzare i maschi), ma oggi non può più restare tra i fini del matrimonio cristiano il “remedium concupiscentiae”, da dirsi in latino per la vergogna che suscita l’uso del termine per un sacramento. Una delle donne invitate al Concilio da Paolo VI ebbe a dire a questo proposito che i padri conciliari avrebbero dovuto riformare la formula pensando che le loro madri li avevano concepiti nell’amore, non nel peccato.

Questa esegesi dell’infanzia di Gesù sembra che abbia ricevuto apprezzamenti solo da chi ritiene poco educato contestare un libro del Papa. I giudizi di questo tipo sono tutti di maniera. La recensione del card. Ravasi sul Sole24ore del 25 novembre sembra troppo elegante: sull’interpretazione congiunta tra teologia e storia usa espressioni perspicue sulle “parole in sé germinali” che rendono la storia di Gesù sostenuta e tessuta dalla Parola di Dio e sul movimento centripeto che deve accompagnarne uno centrifugo in questi testi performativi. E aggiunge che “si può anche allargare questo sguardo retrospettivo oltre le profezie bibliche e applicarlo, come fa Benedetto XVI, analogicamente alla famosa IV ecloga di Virgilio”. Vuole dire che il messaggio di Gesù era, come oggi, in consonanza con un sentire comune, laico o riferibile a qualunque simbologia? Ravasi sa benissimo che nella Commedia Virgilio non ha accesso al Paradiso. E sa che con i versi di un poeta nemmeno un Papa fa storia….

Intanto il libro è già in vendita a prezzi scontati.