I cattolici democratici accusano: Montezemolo, Riccardi e Olivero a braccetto coi poteri forti

Luca Kocci
Adista n. 45/2012

Dopo Monti non c’è di nuovo Monti, come vorrebbero i neo-centristi cattolici di Todi (Riccardi, Olivero e Bonanni) finiti tra le braccia di Luca Di Montezemolo, il cui unico programma di governo consiste nel riproporre pedissequamente la cosidetta “agenda Monti” (v. Adista Notizie n. 43/12). E non c’è nemmemo il «moderatismo contrassegnato dal mito del centro» e dalla strategia «dei due forni» di andreottiana memoria. Bensì un’azione politica innovatrice ispirata «dalla laicità, dalla libertà, dalla giustizia e dall’uguaglianza», capace anche di riconciliare i cittadini con la politica. Sono questi gli auspici e le proposte di “Costituzione, Concilio e cittadinanza” (www.c3dem.it), la rete di associazioni della galassia cattolico-democratica (fra le altre Agire politicamente, Argomenti2000, Città dell’Uomo, Cristiano sociali, Rosa Bianca) – da sempre distante dal movimento dei “cattolici di Todi” – che si è riunita in assemblea lo scorso 24 novembre.

«La crisi economica nata dalle gravi instabilità del sistema finanziario occidentale, segnato da enormi dinamiche speculative, è tutt’ora drammatica», scrivono le associazioni nel loro documento finale. «Non si tratta di una crisi passeggera, ma della messa in discussione radicale di un modello di sviluppo», per cui occorre «un pensiero all’altezza della radicalità della crisi» e di profonda discontinuità – in particolare con i governi di centro destra che hanno avuto la responsabilità di «aggravare» la crisi – che non si illuda «che la crisi semplicemente finirà, permettendo al sistema di riprendere il suo alveo precedente. Dalla crisi si uscirà solo in avanti: il modello finanziarizzato del turbocapitalismo si è definitivamente rivelato inaffidabile». Per quanto riguarda l’Italia, poi, si sovrappongono molteplici elementi: «Un sistema produttivo e un capitalismo asfittico nelle sue prevalenti dimensioni medio-piccole, una produttività del lavoro bassissima, una dimensione ingestibile dell’economia informale e dell’evasione fiscale, annosi problemi di infrastrutture e di inefficienze amministrative, un invecchiamento crescente della popolazione e un trattamento di sfiducia totale per i giovani».

Il governo Monti, «nato sull’onda di una lettera della Bce che dettava all’Italia una ricetta di rigore e austerità per arginare lo smottamento del debito pubblico italiano», «ha calmierato l’emergenza, sostituendo il fallimentare lungo ciclo di Berlusconi». È stato capace di restituire «credibilità interna e internazionale alle istituzioni», ma «non ha esplorato i margini di innovazione possibili per affrontare la crisi» e «non sempre è riuscito a coniugare rigore ed equità». Quindi, scrivono i cattolici democratici, «non crediamo sia possibile nascondersi dietro la proposta di continuare la cosiddetta agenda Monti», perché «la democrazia chiede che si presentino al Paese, nel prossimo turno elettorale, progetti credibili, responsabili, ma anche ben distinti e competitivi»: «La politica deve tornare a giocare un ruolo decisivo, consentendo al cittadino di scegliere tra opzioni diverse». Anche perché, dalle dichiarazioni di volersi affidare ai «tecnici anche oltre l’emergenza» – come hanno fatto i promotori del manifesto “Verso la Terza Repubblica”, appunto Montezemolo, Riccardi, Olivero e Bonanni –, «nasce il legittimo sospetto che si voglia semplicemente coprire una precisa opzione politica e programmatica presentata come ineluttabile», «affidata agli esperti e gradita ai poteri forti dell’economia e della società».

«Da cattolici democratici – si legge nel documento di “Costituzione, Concilio e cittadinanza” – ci sta a cuore la ripresa della capacità della politica di guidare i processi civili, pur senza alcun malinteso senso di onnipotenza». E «non crediamo che la ripresa di investimento della coscienza credente in politica possa realizzarsi in un orizzonte di moderatismo contrassegnato dal mito del “centro”. I significativi progetti che si affastellano attorno a questo campo semantico ci sembrano del resto piuttosto contraddittori (con contenuti che oscillano dal liberismo al solidarismo) e ancora abbastanza vaghi. Non è che non cogliamo l’utilità sistemica di un investimento per creare una destra moderata finalmente degna di questo nome al posto del forza-leghismo, ma non comprendiamo come il cattolicesimo sociale possa farsene carico. E se invece il problema è creare una potenziale alleanza con l’area progressista, sarebbe meglio evitare retoriche liberiste. Nelle democrazie contemporanee, il centro è infatti prevalentemente luogo sociale in cui si cerca il consenso, piuttosto che luogo politico distinto», da frequentare ispirandosi alla vecchia «politica dei due forni». Sul fronte ecclesiale, poi, «non vorremmo che ancora una volta si creassero condizioni equivoche con una convergenza del sostegno ecclesiastico su una sola posizione politica: ne andrebbero contemporaneamente di mezzo la libertà della Chiesa e la creatività dei credenti impegnati in politica».

Quello che occorre è piuttosto «costruire una mediazione culturale e una sintesi politica che rilancino un fronte democratico e incisivamente riformatore», sulla base di alcuni obiettivi «imprescindibili» e «irrinunciabili»: «La dignità condivisa del lavoro, il miglioramento della rete di sostegno per l’esclusione e la marginalità, il rilancio e il rinnovamento dell’impegno pubblico per scuola e sanità, la tutela della legalità come difesa dei deboli, una forte integrazione europea democraticamente strutturata, l’esercizio responsabile dei diritti di libertà delle persone, l’integrazione civile dei nuovi cittadini di origine straniera, una crescita economica sostenibile ed equa in termini sociali e ambientali, il controllo dello strapotere della finanza, la valorizzazione della cultura materiale e dell’agroalimentare di qualità, l’investimento sulla formazione e la ricerca». Insomma, un progetto politico ispirato da quattro parole chiave: laicità, libertà, giustizia ed uguaglianza.