L’agenda Monti e la scomparsa dei diritti civili

Paolo Bonetti
www.italialaica.it

Voglio prendere lo spunto da un bell’articolo di Stefano Rodotà pubblicato il 3 gennaio su “Repubblica” (Il grande deserto dei diritti) per fare alcune considerazioni su un fenomeno politico

a mio parere quanto mai preoccupante per l’avvenire della nostra democrazia: la rapida trasformazione del prof. Monti da tecnico dell’economia e della finanza in consumato uomo politico che usa spregiudicatamente gli strumenti di comunicazione di massa che gli vengono abbondantemente messi a disposizione in barba a ogni par condicio, e si avvale, per di più, del sostegno entusiasta della grande stampa moderata che vede ormai in lui l’uomo più adatto per contrastare o almeno limitare una probabile vittoria del centro-sinistra.

In questa strategia neoconservatrice vengono convenientemente demonizzati gli uomini della sinistra del partito democratico assieme, naturalmente, a Vendola, presentato come un pericoloso eversore del riequilibrio economico imposto dalla Germania e dalle autorità monetarie europee. Il rischio che corriamo è quello di non renderci conto che, dopo la fallimentare esperienza di governo berlusconiana, si sta facendo sempre più invadente e pericolosa per i nostri diritti civili e sociali la presenza di una nuova classe politica di impronta sostanzialmente autoritaria e tecnocratica, pur nel rispetto formale delle procedure democratiche.

Dietro questa nuova classe falsamente neutrale e solo apparentemente al di sopra delle parti, si affacciano con protervia i poteri tradizionali del nostro paese: il Vaticano la grande finanza, alcuni gruppi industriali, i media strettamente legati a questi gruppi o da essi fortemente condizionati. Tutto questo avviene, inoltre, con un continuo richiamo all’Europa e ai vincoli che essa pone alle scelte politiche ed economiche dell’Italia. Ma di quale Europa si tratta? E’ quello che giustamente si chiede Rodotà, ricordando che c’è anche una Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che costituisce parte essenziale della costruzione comunitaria e ha valore giuridico pari a quello dei trattati.

Su questo punto l’agenda Monti tace, quasi che, nella sua visione economicistica dei problemi, i diritti dei cittadini, anche quelli sociali e sindacali, possano essere considerati qualcosa di secondario e trascurabile o addirittura un ostacolo al risanamento economico. In realtà, dietro l’abili delle necessarie compatibilità tecniche ed economiche, si nascondono precise scelte di politica fiscale e sindacale: il costo del risanamento viene fatto pagare ai ceti sociali più deboli e svantaggiati.

Non parliamo, poi, dei diritti civili sui quali, in caso di vittoria della coalizione centrista guidata da Monti, cadrà una saracinesca ancora più pesante e inamovibile di quella imposta dai governi Berlusconi. Gli interrogativi di Rodotà in materia sono del tutto legittimi e condivisibili: “Colpisce il silenzio sui diritti civili. Si insiste sulla famiglia, ma non v’è parola sul divorzio breve e sulle unioni di fatto. Non si fa alcun accenno alle questioni della procreazione e del fine vita: una manifestazione di sobrietà, che annuncia un legislatore rispettoso dell’autodeterminazione delle persone, o piuttosto un’astuzia per non misurarsi con le cosiddette questioni eticamente sensibili, per le quali il ressemblement montiano rischia la subalternità alle linee della gerarchia vaticana, ribadite con sospetta durezza proprio in questi giorni?”.

L’operazione Monti esplicitamente e fortemente sostenuta dalla segreteria di Stato vaticana, dalla conferenza episcopale e dalla stampa cattolica è rivolta a costituire, su basi nuove e con una cultura politico-economica adeguata alle attuali esigenze del fronte conservatore italiano e europeo, un partito che in Italia prenda il posto del pericoloso e distruttivo populismo berlusconiano.

Dopo averlo sostenuto anche nei suoi momenti peggiori e più offensivi della dignità umana e cristiana, ricevendone in cambio molteplici e oggettivi favori, la gerarchia vaticana si accorge ora, non per motivi religiosi e morali ma per semplice convenienza politica, che i vantaggi che può ancora ricavare dal berlusconismo sono di gran lunga minori del danno che deriva alla sua immagine da un ulteriore coinvolgimento con una formazione politica, il Pdl, che ha ben poco a che vedere con la tradizione e il costume del popolarismo europeo, anche se ad esso afferma di volersi ispirare.

Non ci sono dubbi che la sobrietà montiana è, per certi aspetti, ben più accettabile dell’esibizionismo berlusconiano e della sua politica tutta rivolta alla esclusiva tutela degli interessi personali; ma noi laici, credenti e non credenti, non possiamo, in nome dell’antiberlusconismo, dare il nostro appoggio a chi ha della società una concezione sostanzialmente tecnocratica, con l’aggravamento della tutela morale di una chiesa che vuole a tutti i costi impedire all’Italia di diventare davvero europea. Perché l’europeismo di Monti – questo dovrebbe essere ben chiaro a ogni persona di buon senso – non è quello delle progressive conquiste sociali e delle più ampie libertà civili, non è l’europeismo di Altiero Spinelli, di Ernesto Rossi e di Gaetano Salvemini, ma quello élitario e paternalista di una casta di tecnocrati che pretende di guidare dall’alto una costruzione federale che può essere vitale soltanto se sorge dal basso, dalla coscienza del popolo europeo.