UE: cresce l’export di armi, ma il governo Monti confonde le cifre

Giorgio Beretta
www.unimondo.org

Riprendono gli affari per l’industria armiera europea: dopo il calo del 2010, sono aumentati del 18,3% gli ordinativi ai paesi dell’Unione Europea per esportazioni di sistemi militari che nel 2011 (ultimo dato disponibile) hanno superato i 37,5 miliardi di euro. Crescono soprattutto le autorizzazioni verso le zone di maggior tensione del pianeta (Medio Oriente e Asia), diminuiscono verso gli Usa. Aumentano anche le consegne effettive di materiali militari: ma su queste il Rapporto dell’UE non presenta i dati perché diversi paesi (tra cui Germania e Regno Unito) non li hanno resi noti. Forse per adeguarsi allo standard tedesco, il governo tecnico italiano ha pensato di manipolare un po’ le cifre: a fronte degli oltre 2,6 miliardi di consegne riportate nella Relazione governativa nazionale, i funzionari governativi hanno riferito all’UE solo poco più di 1 miliardo. Un “errore” che solleva più di qualche interrogativo sulla trasparenza del Governo Monti in questioni militari. Ma andiamo con ordine.

Nessuna comunicazione e diverse omissioni
Come l’anno scorso anno, anche questa “XIV Relazione annuale sul controllo delle esportazioni di tecnologia e attrezzature militari” è stata pubblicata in chiusura d’anno (il 14 dicembre scorso) in assoluto silenzio: nessun comunicato stampa né del Consiglio dell’UE, nè sul sito del Parlamento europeo, nessun annuncio, nessuna conferenza stampa (e ovviamente nessun articolo di giornale). Insomma, un atto burocratico da ottemperare, ma sul quale i governi preferiscono non attirare troppa attenzione forse per non dover commentare diverse anomalie e rispondere alle varie questioni che le esportazioni militari sollevano. I dati sono per diversi aspetti già obsoleti: la Relazione UE riporta infatti le cifre delle autorizzazioni (licences) e delle consegne (exports) di armamenti dei paesi membri per l’anno precedente, cioè il 2011. Pare infatti ci voglia un anno intero ai funzionari dell’UE per ricevere e assemblare i dati dei rapporti nazionali: quelli sull’export di zucchine, rape e patate sono solitamente più veloci.
Nonostante il lungo lasso di tempo per la preparazione, le informazioni della Relazione sono incomplete e ampiamente carenti. Anche quest’anno, infatti, una minuscola nota (p. 8) avverte riguardo alle effettive esportazioni (exports) che “diversi stati non hanno potuto fornire i dati”. Non si tratta di paesi marginali nella produzione di armi: oltre a Belgio, Danimarca, Polonia, Grecia e Irlanda, non hanno infatti fornito all’UE le cifre sulle consegne effettive di armi anche Germania e Regno Unito, cioè due tra i maggiori esportatori mondiali di armamenti. A quattordici anni dall’entrata in vigore della normativa UE, è difficile credere che questi paesi stiano ancora cercando di risolvere i “problemi tecnici” di catalogazione delle armi: tra l’altro gran parte di queste informazioni sono disponibili nelle relazioni nazionali che i governi hanno consegnato ai rispettivi parlamenti. Ma riportarli correttamente (per tipologia e paesi destinatari) nel Rapporto UE significa – e qui sta la questione spinosa che evidentemente si preferisce aggirare – esporsi alla comparazione con altri stati membri e soprattutto, trattandosi di consegne effettive di materiali militari, dover rispondere ai numerosi interrogativi che queste esportazioni sollevano. Vediamone alcuni.

Più armi al Medio Oriente e all’Africa, meno agli Usa
La Relazione europea riporta i dati ufficiali delle esportazioni di sistemi militari di ogni singolo paese dell’UE sia singolarmente verso ogni altro stato sia aggregati per zone geopolitiche e per somme totali (Worldwide). La Relazione, però, oltre a mancare dei dati aggregati delle effettive consegne di sistemi militari (exports), non presenta alcuna tabella di confronto con i dati delle autorizzazioni all’esportazione (licences) degli anni precedenti: per comprendere, quindi, le variazioni annuali e le tendenze occorre consultare i rapporti precedenti (per un esame degli ultimi due rapporti pubblicati si vedano questi due miei articoli: anno 2011 e anno 2010). I rilievi che seguono sono frutto della mia elaborazione delle cifre fornite dalle ultime Relazioni europee.
Innanzitutto, come già detto, nel 2011 le autorizzazioni all’esportazione di armamenti (licences) nel loro insieme sono cresciute del 18,3% raggiungendo la cifra totale di oltre 37,5 miliardi di euro (erano 31,7 miliardi nel 2010). Oltre ai trasferimenti di armamenti tra i paesi dell’UE (14,5 miliardi di euro) che comprendono anche le coproduzioni intergovernative, mostrano una forte ripresa le esportazioni verso i paesi asiatici (dai 4,7 miliardi del 2010 agli oltre 5,5 miliardi di euro del 2011) e, in particolar modo verso il Medio Oriente (da 6,6 miliardi a quasi 8 miliardi di euro). In crescita anche le esportazioni verso l’Africa sub-sahariana che superano i 493 milioni di euro. In calo sono invece soprattutto le autorizzazioni all’esportazione verso l’America settentrionale (erano 4,6 miliardi nel 2009, sono 3,6 miliardi di euro nel 2011), l’America centro-meridionale, oltre che verso i paesi del Nord Africa verso i quali però, nonostante il 2011 sia stato l’anno delle rivolte popolari della cosiddetta “primavera araba”, i paesi europei hanno autorizzato esportazioni di armamenti per oltre 1,2 miliardi di euro.
Nel 2011, il principale cliente delle industrie militari europee non sono gli Stati Uniti (solo 3,2 miliardi di euro a fronte dei 3,5 miliardi del 2010 e dei 4,3 miliardi nel 2009), ma l’Arabia Saudita: alla monarchia saudita i paesi europei hanno autorizzato esportazioni di sistemi militari per oltre 4,2 miliardi di euro, di cui soprattutto dal Regno Unito (oltre 2 miliardi) per i caccia Eurofighter Typhoon, una commessa dai contorni alquanto torbidi e che riguarda anche le aziende italiane. Restando nell’area, spiccano le commesse degli Emirati Arabi Uniti (1,9 miliardi di euro): in una parola, le monarchie assolute mediorientali sono i principali clienti dell’industria armiera europea e le armi continuano ad essere la merce di scambio privilegiata dei paesi europei per pagare la propria bolletta energetica.
Non è un caso, quindi che nonostante le rivolte popolari del 2011, siano state autorizzate esportazioni di armamenti anche ad paesi con ampie riserve energetiche e di risorse minerarie come l’Algeria (815 milioni di euro di cui oltre la metà dall’Italia) e il Marocco (335 milioni di euro, soprattutto dalla Francia). Ma stupiscono – vista la violenza della repressione e del conflitto – le autorizzazioni all’esportazione di armi europee verso l’Egitto (303 milioni di euro), la Tunisia (16,5 milioni) e addirittura la Libia che era sotto embargo nel 2011 (34 milioni di euro di cui 17 milioni di euro tra missili, razzi e bombe dalla Francia).
Le armi continuano ad essere merce esportata dai paesi dell’UE anche in altre zone di forte tensione come India (1,5 miliardi di euro) e Pakistan (410 milioni di euro) e finanche l’Afghanistan – un paese tuttora sotto embargo parziale di armi – che nel 2011 ha visto un record di importazioni militari dai paesi UE: oltre 465 milioni di euro di cui 346 milioni di euro dall’Estonia per generici “energetic materials”.

Le cifre dell’Italia: i tecnici del Governo, incompetenti o furbetti?
E veniamo all’Italia. Le autorizzazioni all’esportazione (licences) comunicate all’UE sono ovviamente identiche (comprese le coproduzioni) a quelle riportate nell’ultima Relazione della Presidenza del Consiglio del maggio scorso. Come il governo Berlusconi, anche il governo Monti ha però scelto di segnalare all’UE solo i totali delle consegne (exports) di materiali militari ai singoli paesi senza riportarne la specifica tipologia: una scelta che non favorisce certo la trasparenza. Ma soprattutto, come lo scorso anno, anche quest’anno le cifre tra il Rapporto nazionale al Parlamento italiano e quelle della Relazione all’UE non corrispondono. Mentre, infatti, il Rapporto ufficiale della Presidenza del Consiglio sulle esportazioni di armamenti italiani riporta come “operazioni di esportazione effettuate” (cioè le consegne) un valore di oltre 2.664 milioni di euro (si veda p. 32 e Tabella 9 del rapporto in.pdf), il governo italiano ha segnalato all’UE esportazioni effettuate (exports) per soli 1.022 milioni di euro (si veda p. 386 della Relazione UE: Italia, riga C), cioè meno della metà. In precedenza – cioè fino a due anni fa – le cifre erano perfettamente identiche anche perché, trattandosi di materiali già consegnati e registrati dall’Agenzia delle Dogane, non dovrebbero esserci disparità nei dati delle due Relazioni. Che invece ci sono. Un mistero? Non proprio.
La cifra segnalata dall’Italia all’UE non è casuale. Corrisponde infatti quasi perfettamente alle esportazioni di “armi e munizioni” (a prevalente uso civile e sportivo e quindi non militare) che si possono ritrovare nel database dell’Istat sul commercio estero: alla categoria SH 93, infatti, l’Istat riporta per il 2011 un’esportazione mondiale di armi (comprese le civili) dall’Italia per 1.026.518.518 euro, e la Relazione all’UE ne segnala (di militari) per 1.022.662.340 euro.
La corrispondenza delle cifre tra Istat (armi civili) e relazione all’UE (armi militari) è quasi perfetta per quanto riguarda alcuni paesi destinatari ai quali – secondo la voluminosa Relazione governativa consegnata al Parlamento lo scorso maggio – l’Italia non avrebbe esportato armi nel 2011: a cominciare da alcuni paesi sotto embargo (si veda Rapporto UE da p. 386) come l’Afghanistan (94.000 euro), la Bielorussia (1.183.387 euro), la Cina (1.933.442 euro) e il Libano (2.125.962 euro). Anche in altri casi, le cifre sulle consegne corrispondono quasi perfettamente tra Istat (armi soprattutto civili) e Relazione UE (armi militari) ma divergono ampiamente dalla Relazione ufficiale consegnata al Parlamento: è il caso dell’Algeria (solo 8,6 milioni di euro segnalati all’UE a fronte degli oltre 82 milioni di euro di consegne riportati nella Relazione al parlamento), Arabia Saudita (solo 9,9 milioni di euro mentre la Relazione governativa ne riporta per oltre 142 milioni), Emirati Arabi Uniti (16 milioni di euro, la Relazione governativa riporta invece oltre 56 milioni), Marocco (solo 6,1 milioni di euro, ma per la Relazione governativa sono oltre 55 milioni), India (solo 30 milioni di euro, nella Relazione govenativa sono quasi 217 milioni di euro), Pakistan (122 milioni mentre la Relazione ne riporta solo 116 milioni), Russia (ben 20,6 milioni di euro a fronte dei soli 2,8 milioni riportati nella Relazione governativa) fino al Turkmenistan (solo 5,2 milioni a fronte degli oltre 82,7 milioni di euro scritti nella Relazione governativa italiana). Figurano nella Relazione all’UE esportazioni italiane di armi anche alla Repubblica di Moldavia (319.668 euro) e alla Santa Sede (1.840 euro, probabilmente un po’ di cartucce per le mitragliette della guardia vaticana) di cui ovviamente non c’è traccia nella Relazione governativa.

Riassumendo, delle due l’una: 1) le esportazioni di armi riportate dall’Istat per “armi ad uso civile, per la difesa personale, per lo sport e la caccia” riguardano di fatto anche le “armi ad uso militare” e allora come tali andrebbero debitamente tutte riportate dal governo anche nella Relazione ufficiale al Parlamento italiano (nella quale invece non c’è traccia di queste armi); 2) i funzionari del governo sono degli assoluti incompetenti e hanno fatto confusione tra “armi civili” e “armi militari”. C’è ovviamente anche una terza ipotesi ma è alquanto sgradevole: quella, cioè, che qualche funzionario governativo abbia volutamente truccato le cifre.
In qualsiasi caso, gli ultimi due governi italiani (Berlusconi e Monti) appaiono molto simili riguardo alla comunicazione sull’export di armi: non segnalando all’UE le specifiche tipologie nelle consegne di armamenti hanno entrambi mantenuto un prudente riserbo sui sistemi d’arma effettivamente esportati dall’Italia. Inoltre, comunicando solo le cifre totali – che somigliano ai dati Istat – hanno offerto al pubblico un dato plausibile (ma qualche maligno direbbe “ingannevole”) che può avere un qualche riscontro documentale. Così facendo hanno comunque entrambi evitato di esporsi a interrogativi imbarazzanti: se, infatti, si fossero comunicati all’UE gli effettivi 2.664 milioni di euro di consegne di materiali militari e la loro tipologia, l’Italia sarebbe balzata all’occhio per essere (come di fatto è) il secondo paese europeo per esportazioni effettive di armi, dopo la Francia (3.647 milioni di euro) ma prima della Spagna (2.431 milioni di euro) e soprattutto della Germania (secondo il rapporto del Bundesministerium für Wirtschaft und Tecnologie sarebbero circa 1.285 milioni di euro le armi tedesche esportate nel 2011). Come detto, mancano anche i dati del Regno Unito, ma i governi di Downing Street non fanno certo dell’europeismo il proprio vessillo.

Nel frattempo, il governo Monti ha rassegnato le dimissioni: è però tuttora in carica per gli affari correnti. Ci auguriamo perciò che non voglia mancare di darci qualche spiegazione sulle stranezze delle cifre italiane riportate nella Relazione ufficiale all’Unione Europea sulle esportazioni di materiali militari. Ne va, per quel che conta, della sua credibilità di “governo dei tecnici”.