Casa Bianca nel mirino della lobby

Michele Paris
www.altrenotizie.org

A poco più di un mese di distanza dalla sparatoria alla scuola elementare Sandy Hook di Newtown, in Connecticut, che ha causato la morte di 28 persone, di cui la maggior parte bambini tra i 6 e i 7 anni, il dibattito politico negli Stati Uniti sul ripetuto verificarsi di massacri di questo genere continua a concentrarsi esclusivamente sulla necessità di adottare misure legislative più severe per la vendita di armi da fuoco.

Questa settimana il presidente Obama ha così ribadito pubblicamente la sua intenzione di adottare un piano di ampio respiro per cercare di far diminuire i livelli di violenza causati dalla diffusione pressoché incontrollata di armi nel paese. Il progetto pensato dall’inquilino della Casa Bianca dovrebbe includere, in linea teorica, maggiori controlli sui precedenti penali e sulla salute mentale di coloro che vogliono acquistare un’arma, ma anche il ripristino del divieto di vendita delle cosiddette armi d’assalto, istituito durante la presidenza Clinton nel 1994 e lasciato scadere dieci anni più tardi grazie all’intensa attività di lobby delle organizzazioni a difesa dei diritti dei possessori di armi.

In realtà, qualsiasi proposta di legge che dovesse approdare al Congresso per regolare la vendita di armi ha ben poche chances di essere approvata. Il Partito Democratico e quello Repubblicano stanno infatti già preparando le complicate trattative sull’innalzamento del tetto del debito pubblico americano che si renderà necessario tra poco più di un mese e, alla luce del duro confronto che si prospetta, difficilmente il presidente Obama vorrà aggiungere un nuovo motivo di scontro politico.

Soprattutto, poi, la potente lobby americana delle armi ha già annunciato battaglia per far naufragare ogni ipotesi di legge. La principale associazione in questo ambito, la famigerata NRA (National Rifle Association), stila periodicamente una valutazione dei politici di Washington, assegnando loro un voto dalla A alla F a seconda del loro impegno nel difendere il dettato del Secondo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, il quale stabilisce appunto il diritto di portare armi, sia pure all’interno di una “milizia ben regolata”. Chiunque non dovesse prestare attenzione alle indicazioni della NRA, votando per norme più restrittive, andrebbe perciò incontro ad una probabile sconfitta nel prossimo appuntamento con le urne.

Vista dunque la difficoltà di vedere approvate nuove leggi sul controllo delle armi al Congresso, la Casa Bianca ha fatto sapere lunedì che il presidente intende utilizzare quanto in suo potere per fare qualche progresso in questo senso, ricorrendo in particolare all’emissione di “ordini esecutivi” che non sono sottoposti al voto di Camera e Senato. Tra le altre, le limitate e inefficaci misure che Obama potrebbe decidere unilateralmente ci sarebbero l’obbligo per le varie agenzie federali di condividere i dati sui cittadini con disturbi mentali, limiti sull’importazione di armi dall’estero ed uno stimolo agli studi sulla violenza causata dalle armi da fuoco.

Per formulare una politica che faccia fronte a tutte le problematiche derivanti dal sistema di vendita di armi negli USA, lo stesso Obama aveva dato vita ad un’iniziativa in larga misura di facciata lo scorso 19 dicembre, cinque giorni dopo i fatti di Newton, nominando una speciale task force guidata dal vice-presidente, Joe Biden, la quale ha presentato le proprie raccomandazioni alla Casa Bianca un paio di giorni fa. Le proposte di Biden, che ha incontrato in un clima di assoluta freddezza anche i rappresentanti della NRA, non si discostano in maniera sensibile dalle misure che auspica il presidente e, come queste ultime, sono anch’esse destinate a rimanere lettera morta.

Per dare un’idea del clima che regna al Congresso, il deputato repubblicano del Texas, Steve Stockman, lunedì scorso ha addirittura minacciato di avviare una procedura di impeachment nei confronti di Obama nel caso dovesse emanare ordini esecutivi volti a regolamentare la vendita o il possesso di armi. L’impeachment, va sottolineato, viene agitato a tale riguardo e non ad esempio, per gli assassini mirati senza alcuna giustificazione legale ordinati dal presidente ovunque nel pianeta, anche contro cittadini americani.

Inoltre, Alan Gottlieb, fondatore di Second Amendment Foundation, un’altra organizzazione a difesa dei possessori di armi, in un’intervista al Wall Street Journal ha ricordato che i membri del Congresso che voteranno per leggi anti-armi andranno incontro a ritorsioni nella prossima tornata elettorale, cioè non riceveranno contributi dalle lobby delle armi oppure dovranno vedersela con campagne di discredito nei loro confronti. Per questo, ha aggiunto Gottlieb, “non si vedrà nessun repubblicano sostenere l’agenda anti-armi di Obama, mentre anche un considerevole numero di democratici finirà per prendere le distanze” dall’iniziativa del presidente.

A livello locale, però, qualche risultato sembra essere già stato raggiunto. Nello stato di New York, tra lunedì e martedì l’Assemblea statale ha approvato un pacchetto nato dalle negoziazioni tra il governatore, Andrew Cuomo, e i leader dei due partiti. La nuova legge, tra l’altro, amplia il numero di armi di cui è vietata la vendita nello Stato – anche se gli attuali possessori potranno conservarle – e richiede agli operatori nel settore della salute mentale di segnalare alle autorità qualunque paziente che mostri tendenze a danneggiare se stesso o gli altri. Una misura, quest’ultima, che ha ricevuto molte critiche, dal momento che le segnalazioni dovrebbero essere effettuate anche per quei pazienti che non posseggono armi o che non intendono acquistarne.

L’intera discussione in corso negli Stati Uniti attorno alla questione delle armi, in ogni caso, ha come obiettivo principale l’occultamento delle vere origini del ripetersi di episodi di efferata violenza come quello di Newtown. Tanto per cominciare, le analisi delle stragi non prendono mai in considerazione né le violenze e gli assassini quasi quotidiani commessi dalle forze di polizia, spesso ai danni di cittadini che raramente rappresentano una minaccia, né tantomeno la promozione del militarismo e della violenza su scala globale da parte del governo americano o i crescenti livelli di ineguaglianza nel paese e il soffocamento di qualsiasi alternativa all’attuale sistema politico ed economico.

Le sia pure timide accuse mosse da alcuni politici e commentatori americani ai metodi della NRA, inoltre, contrastano con il silenzio sul continuo impulso dato alla vendita di armi nel mondo, e quindi all’aumento dei livelli di violenza, da parte del governo stesso.

Su questo punto ha dedicato questa settimana un interessante post Tom Engelhardt sul popolare blog TomDispatch, sottolineando come il Pentagono possa essere considerato “l’equivalente della NRA e, allo stesso modo di questa organizzazione, si sia adoperato incessantemente negli ultimi anni assieme ai principali produttori di armi per fare in modo che ci siano sempre meno controlli su armi sempre più potenti che si desidera vendere all’estero”. Perciò, “la Casa Bianca e il Pentagono, con l’aiuto del Dipartimento di Stato, assicurano agli Stati Uniti il ruolo incontrastato di diffondere il diritto di possedere armi in tutto il mondo”.

Le forniture di armi, che i produttori americani controllano quasi per i quattro quinti del totale mondiale, sono naturalmente dirette ai paesi alleati, spesso dittature come Arabia Saudita o Emirati Arabi Uniti, garantendo loro la possibilità di reprimere nel sangue il dissenso interno o di scatenare guerre rovinose contro i propri nemici.

I maggiori controlli e le restrizioni alle vendite proposte in questi giorni, in ogni caso, anche se attuate non andrebbero ad intaccare il numero enorme di armi già in circolazione negli Stati Uniti e farebbero comunque ben poco, ad esempio, per evitare massacri come quello di Newtown, il cui responsabile, il 20enne Adam Lanza, ha avuto accesso a pistole e fucili detenuti del tutto legalmente dalla madre.

L’insistenza sulle verifiche dei precedenti penali degli acquirenti e, soprattutto, le misure accessorie che spesso vengono implementate per regolamentare la circolazione di armi hanno infine anche l’obiettivo non dichiarato di aumentare i poteri delle forze di polizia e di quello stesso apparato di governo responsabile di quotidiane atrocità in ogni angolo del pianeta.

Questa tendenza era apparsa in tutta la sua evidenza già nell’ultimo significativo sforzo legislativo compiuto a Washington per limitare la diffusione delle armi, avvenuto appunto nel 1994. In quell’occasione, infatti, oltre a proibire la vendita di armi d’assalto per un decennio, il Violent Crime and Law Enforcement Act includeva, tra l’altro, un aumento delle forze di polizia pari a 100 mila unità, la costruzione di nuove prigioni, l’aggiunta di decine di nuovi crimini al codice penale e l’espansione del numero dei reati per cui è prevista la pena capitale.