Cattolici in politica: fine di una anomalia di M.Vigli

Marcello Vigli
www.italialaica.it

Il rapido passaggio dal berlusconismo al montismo da parte delle gerarchie ecclesiastiche, vaticana e italiana, che sembrava ormai realizzato, si è inceppato.

Monti non è sembrato più affidabile alla Segreteria di Stato e alla Conferenza episcopale italiana che l’avevano “battezzato” come arrendevole interlocutore nella gestione della duplice sovranità concordataria. Non è rilevante sviscerare se nel determinare questo repentino cambio di rotta sia prevalsa la tradizionale conflittualità, ormai endemica al loro interno, o la scarsa disponibilità di Monti ad adeguarsi al ruolo riservatogli, o, più semplicemente, l’incompetenza dello stesso che non ha inserito almeno una battuta sui “valori non negoziabili” nella sua Agenda: E interpellato in proposito il 28 dicembre, l’aspirante premier disse che si sarebbe rimesso al parlamento, “nel rispetto della libertà di coscienza”.

Dichiarazione inopportuna fondata evidentemente sulle parole di Andrea Riccardi, che aveva declassato le questioni etiche a “non urgenti”.

Ben più interessanti sono le immediate conseguenze sulle dinamiche politiche di questa fase preelettorale e ancor più significative sono quelle che si avranno, a lungo termine, sia sullo scenario politico dei prossimi anni, sia sul rapporto fra Stato e Chiesa.

Di questo è difficile prevedere le sorti perché sarà determinato dall’assetto istituzionale che emergerà dalle urne italiane e da quale papa sarà eletto dal prossimo conclave.

La formazione di un governo, forte di una maggioranza parlamentare autosufficiente e sorretto da un Presidente della Repubblica, garante della laicità dello Stato, magari in coincidenza con l’elezione di un papa più attento alla missione universale della Chiesa che alle beghe italiane e curiali, potrebbero avviare una stagione radicalmente nuova per la Repubblica.

Molto più prevedibili e significative sono invece le conseguenze a breve e a lungo termine sulla presenza dei “cattolici” come soggetto autonomo nella vita politica italiana.

La fine della sponsorizzazione ecclesiastica del montismo ha segnato non solo il fallimento del progetto di alleanza fra Monti e i cattolici, ma anche la definitiva irrilevanza della categoria “cattolico” in politica.

Già da tempo la diaspora dei cattolici nelle diverse formazioni politiche ed ancor più il loro coinvolgersi anonimamente nei movimenti, protagonisti negli ultimi anni nella scesa/salita in politica della società civile, ne aveva notevolmente appannato l’identità. La presenza, però, di forti strutture organizzate, ecclesiali o sociali, unitarie nelle scelte politiche aveva permesso che covassero sotto la cenere velleità di rivincita pronte a riemergere, come è avvenuto non appena papa e vescovi hanno rilanciato l’idea di un nuovo impegno dei cattolici in politica, come antidoto al degrado dell’etica pubblica.

In quest’ottica era nato a Todi un Forum gestito, con la benedizione della Cei, dalle più grosse organizzazioni laicali cattoliche e da Cisl, Coldiretti, Acli, Compagnia delle Opere, Confartigianato, Confcooperative e Mcl, per la prima volta unite. Avevano elaborato anche un Manifesto per Una politica buona e moderata. Un Manifesto per tornare a crescere che affermava esplicitamente “Il nostro paradigma di riferimento è fondato sugli insegnamenti della Dottrina sociale della Chiesa”. Subito dopo indicava anche i mezzi per realizzarlo: “Il nostro contribuito al rinnovamento della politica si articolerà piuttosto in modo innovativo, attraverso due canali principali: per un verso, la partecipazione alla formazione dei programmi e delle linee di azione di governo; per l’altro verso, il miglioramento della qualità delle classi dirigenti”.

Tre dei suoi esponenti sono stati chiamati nel governo presieduto da Monti e si sono, quindi, schierati al suo fianco nella “salita” in politica, subito dopo, però, si sono defilati ed è stata disdetta una terza riunione del Forum, convocata per sancire il Patto fondativo del nuovo Centro lanciato lo scorso novembre, sul palco del teatro De Paolis a Roma, fra Luca Cordero di Montezemolo, Andrea Olivero, allora ancora presidente delle Acli, Lorenzo Dellai, presidente della provincia di Trento e Raffaele Bonanni, segretario della Cisl.

Il paradigma non ha retto: se il collante è la Dottrina sociale della Chiesa l’unione non può reggere senza il benestare della gerarchia ecclesiastica.

Si torna alla diaspora: il redattore di Famiglia cristiana, curatore questa settimana della rubrica Prima pagina, ha considerato molto positiva questa soluzione che garantisce la presenza di cattolici distribuiti in liste diverse, ma tutti impegnati a difendere l’intangibilità dei valori “non negoziabili”.

Un troppo facile ottimismo.

In verità, di tale difesa non c’è traccia nei programmi di tali liste, mentre, al tempo stesso, le gerarchie, che invece continuano a considerarla discriminante, sono fuori gioco per la dimostrata incapacità di riciclarsi dopo vent’anni di compromessi con il berlusconismo.

Non interessano le conseguenze di questa nuova situazione sul mondo cattolico e sulla comunità ecclesiale, né se ci saranno ancora gruppi politici che si qualificheranno cattolici, c’è da interrogarsi su come reagiranno intellettuali e partiti democratici a questa sollecitazione a ripensare i loro rapporti con il mondo cattolico.

Lo faranno, fra i primi, quelli che Sandro Magister cita in un suo blog? Galli della Loggia, un intellettuale laico che dal Vaticano è sempre letto con attenzione, come sostenitore dell’opposizione del papa al matrimonio fra omosessuali. E i “marxisti ratzingeriani”: il filosofo Pietro Barcellona, il teorico dell’operaismo Mario Tronti, lo scienziato della politica Giuseppe Vacca, il sociologo Paolo Sorbi, tutti organici al Partito democratico e in precedenza al Partito comunista e tutti adesso convertiti alla “visione antropologica” di papa Joseph Ratzinger, in difesa della vita “dal concepimento alla morte naturale” e del matrimonio tra uomo e donna.

Quanto al Pd c’è da rilevare che continua a dar la caccia ai “candidati dal mondo cattolico”, non da aggiungere ai tanti già presenti, da Bindi a Fioroni, ma da esibire come carta d’identità di partito “non laicista”. Quattro sono quelli che Bersani ha inserito nelle liste: due uomini – impegnato nel sociale Patriarca, direttore dell’Istituto Toniolo della Cattolica Preziosi – e due donne – accademica Fattorini, operatrice culturale Nardelli.

C’è da augurarsi che questa “disavventura” di Monti induca finalmente il partito a prendere atto, che ben altro serve per vedere riconosciuta tale identità dalla gerarchia ecclesiastica e ad avviare un radicale ripensamento per darsi una identità autenticamente laica, riconoscendo l’inutilità di tanti tentativi di “dialogo”.

Non sarà certo sufficiente ostentare una ormai improrogabile scelta per l’affermazione dei diritti inalienabili contro i valori non negoziabili.

Perché la svolta sia credibile può servire un intervento in un settore strategico: il sistema formativo.

Serve l’impegno, solenne e senza reticenze, di avviare un processo di riqualificazione della scuola pubblica statale che elimini la parità con quella privata, ripristinando il chiaro ed inequivocabile dettato costituzionale, e che la liberi dal confessionalismo introdotto da anni di gestione clericale della Pubblica Istruzione.