In Spagna, nonostante l’opposizione della Chiesa, la legge è entrata nel costume

Sandrine Morel
Le Monde, 13 gennaio 2013 (traduzione: www.finesettimana.org)

Sette anni e 23 000 matrimonio omosessuali dopo, che cosa resta del dibattito sulle unioni tra
persone dello stesso sesso che aveva scosso la Spagna, al tempo del voto sulla legge, nel 2005?
“Nulla”, dichiara decisamente la presidentessa della Federazione lesbiche, gay, transessuali e
bisessuali (FELGTB), Boti Garcia, che parla oggi di “normalizzazione assoluta”.

Circa il 70% degli spagnoli sono oggi favorevoli al matrimonio gay rispetto al 60% in occasione del
voto sulla legge. Le unioni si celebrano in pace, come le adozioni di figli da parte di coppie omo. E
la battaglia giudiziaria è stata richiusa con la risoluzione del Tribunale costituzionale, il 6 novembre
2012, a favore del “matrimonio egualitario”. Ma il percorso fu seminato di trappole.

Nel 2003 le organizzazioni gay e lesbiche cominciano la lotta presentando delle richieste di
matrimonio gay nei comuni. Per parlare ad una sola vice, si uniscono in seno ad una stessa
piattaforma, la FELGTB.

Nei mesi precedenti le elezioni del marzo 2004, fanno pressione sul partito socialista, allora
all’opposizione, per “trasmettere l’idea che non eravamo cittadini differenti e che di conseguenza
non dovevamo avere diritti differenti”, spiega la signora Garcia. Ottengono che il provvedimento
figuri nel programma elettorale di José Luis Rodriguez Zapatero.

Una volta eletto, il giovane presidente si affretta a mantenere la promessa fatta in campagna
elettorale: uno schema di progetto di legge viene redatto alla fine del 2004. L’idea è di effettuare una
semplice sostituzione nel codice civile dei termini che definiscono il matrimonio come l’unione di
un uomo e di una donna con la parola “coniugi”. “La cosa più bella di questa legge è che è
esattamente la stessa del resto della società”, assicura la signora Garcia. Nel marzo 2005, il testo
comincia, tra vive polemiche, il suo percorso legislativo.

La Chiesa, che gode ancora di un potere e di un’influenza considerevole, utilizza tutti gli strumenti
in suo possesso per impedirne l’approvazione. Ma il governo socialista non si lascia impressionare.
Né dai volantini distribuiti durante le messe o dalle petizioni firmate all’uscita dalle scuole
cattoliche. Né da certi giudici che paragonano pubblicamente il matrimonio gay ad un’unione tra un
uomo e un animale. E neanche dalla manifestazione massiccia del 18 giugno 2005 che riunisce a
Madrid 1,5 milioni di persone secondo gli organizzatori, 180 000 secondo la polizia.

Convocata dall’associazione ultraconservatrice e cattolica Forum delle famiglie, vi partecipano anche vescovi
accanto a rappresentanti di peso del Partito popolare (oggi al potere), tra cui gli attuali ministri
dell’agricoltura, Miguel Angel Arias Canete o delle infrastrutture, Ana Pastor. La signora Garcia se
ne ricorda come se fosse ieri. “I vescovi con la loro tonaca nera e la croce che brillava al sole,
traspiravano omofobia, racconta ancora scossa. In piazza Colon, hanno fatto salire sul palco anche
dei bambini, contro i nostri diritti…”

Nonostante queste pressioni, il 30 giugno 2005, la Spagna diventa il terzo paese europeo a
legalizzare il matrimonio gay, dopo i Paesi Bassi e il Belgio. La legge viene votata con 187 voti a
favore e 147 contrari. L’11 luglio viene celebrato il primo matrimonio tra due uomini.

Tuttavia gli attacchi continuano. La Conferenza episcopale spagnola moltiplica le critiche e dal
Vaticano l’ex presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia, il cardinale colombiano Alfonso
Lopez Trujillo, invita i funzionari municipali a non sposare le coppie omosessuali. Mentre diversi
giudici, invocando una “impossibilità morale” o mettendo in discussione la costituzionalità del
testo, rifiutano di scrivere i matrimoni gay nel registro civile.

Una cinquantina di deputati del Partito Popolare decidono in settembre di deporre un ricorso davanti
al Tribunale costituzionale, facendo planare sulle unioni già celebrate una spada di Damocle. “Per
sei anni, abbiamo vissuto in un’insicurezza immensa, non solo delle nostre coppie, ma dei nostri
figli”, sottolinea la signora Garcia. Nel novembre 2012, il tribunale ha chiuso il dibattito.