Per che cosa si vota di RLaValle

Raniero La Valle
http://ranierolavalle.blogspot.com

C’è una grave distorsione della campagna elettorale. Da tanto tempo attesa, come l’unica via per ripristinare la normalità democratica della politica italiana, rischia di essere buttata via per i comportamenti errati o irresponsabili di tutti i protagonisti.

Lo scopo delle elezioni sembra non essere quello di dare al Paese un governo capace di tirarlo fuori dal baratro sociale in cui effettivamente è precipitato (il baratro per il Paese, non per le grandi ricchezze che invece sono state salvaguardate); lo scopo sembra piuttosto quello di mantenere più o meno la situazione com’è o di impedire agli altri di governare per preservarsi piccole fette di potere e una capacità di interdizione dei poteri altrui.

Questo sembra essere il senso della campagna elettorale di Berlusconi, ma anche dei centristi che agitano lo spettro comunista del mitissimo Vendola, per togliere al Partito Democratico la maggioranza almeno al Senato.

Quanto ai contenuti si fa credere che si vota per l’IMU o per il redditometro, o per mandare a casa i vecchi e fare spazio ai giovani, o per mitiche riforme costituzionali, e non si mette al centro della campagna elettorale il vero problema. La vera questione è quella delle politiche che deve fare l’Europa, questo nuovo sovrano che stampa la nostra moneta, decide dei nostri bilanci e impone un ordine economico che rischia di far cadere l’Italia – come ammette l’ultimo Rapporto sullo sviluppo e l’esclusione sociale della stessa Commissione di Bruxelles – “nella trappola della povertà di massa”.

Non era questo regime il fine per cui si era fatta l’Europa, il cui progetto era invece stato concepito nel pieno delle politiche keynesiane che nel dopoguerra avevano avviato lo sviluppo e la crescita nello spazio europeo, atlantico e mondiale. Dando per scontato che in Europa si sarebbe creato quel tanto di armonia politica capace di evitare le guerre tra gli Stati del continente, l’idea era quella di promuovere uno sviluppo economico e sociale che includesse nelle attese di felicità e benessere i ceti più svantaggiati e le masse povere o impoverite dalla guerra.

Non c’era nessuna ragione di pensare che a livello europeo si sarebbe fatto di meno di quanto in termini di destinazione delle risorse e di funzione sociale della proprietà era programmato e sancito dalla Costituzione italiana; e tanto meno si poteva pensare che il ruolo dello Stato e dei poteri pubblici nella promozione del bene comune del Paese sarebbe stato escluso in via di principio, stigmatizzato come lesione della maestà dei mercati, e concretamente impedito da vincoli e limiti imposti da trattati e da autorità politiche e monetarie europee.

Tutto ciò è avvenuto e si è tradotto nei “compiti a casa” che ci ha dato l’Europa; e sui compiti a casa che Monti sarebbe stato l’unico capace di fare, si è impostata tutta la vicenda politica di quest’ultimo anno.

Ma quale Europa? L’Europa e perfino le istituzioni europee non sono affatto tutte d’accordo su queste politiche, soprattutto volute dalla Germania che, ricordandosi di Hitler, è terrorizzata dal pericolo dell’inflazione. Molti sono i dubbi e i pentimenti sulle politiche ultraliberiste e monetariste che stanno incatenando le economie europee. Anche il presidente uscente del cosiddetto “Eurogruppo”, Jean Claude Juncker, ha lanciato l’allarme sulla “tragedia della disoccupazione in Europa, che non ci possiamo permettere”, e lo stesso Fondo Monetario Internazionale ha riconosciuto di avere sbagliato i conti quando ha sostenuto che i tagli della spesa pubblica facessero diminuire il debito. Lo stesso Juncker ha proposto che per assicurare dignità di vita a tutti gli abitanti d’Europa, venga istituito un reddito minimo che sia garantito a tutti proprio come attuazione effettiva dei diritti fondamentali di ogni persona, ciò in cui consiste la vera gloria dell’Europa.

È su questo allora che si vede chi sono i veri europeisti in questa campagna elettorale: non quelli che in nome dell’Europa perseguono politiche di diseguaglianza che fanno cadere l’Europa dal cuore e dal consenso dei cittadini, ma piuttosto quelli che vogliono rompere l’identificazione perversa tra l’Europa politica e il regime neo-liberista perfettamente realizzato.

In realtà si vota perché in Italia e in tutto lo spazio europeo si diano soldi, cioè euro, ai cittadini e alle imprese per vivere con dignità e fare investimenti o invece perché i soldi restino a giacere nelle banche, siano presi in ostaggio dai cosiddetti “debiti sovrani”, che come i vecchi sovrani andrebbero deposti dai troni, o siano resi immateriali nelle grandi speculazioni realizzate col clic dei computer, per alimentare immensi capitali finanziari con cui si giocano la potenza e l’egemonia di questo o quel Paese nel mercato mondiale.

Rimettere i soldi nelle mani dei cittadini, grazie al loro lavoro, non crea né inflazione né debito, se all’aumento delle risorse corrisponde l’incremento dei beni prodotti, dei beni consumati e scambiati, e della qualità della vita di tutti. Questo, un tempo, gli economisti l’avevano capito.