Parigi val bene un matrimonio! di M.Lanfranco

Monica Lanfranco

Circola su internet un piccolo video che ritrae un gruppo di donne italiane sotto i 40 anni che stanno lavorando, e all’improvviso una comunica alle altre che presto si sposerà con la sua fidanzata. Commozione, abbracci, partenze e biglietti da organizzare. Il video festoso si conclude con la domanda di un bimbo ad una delle donne del gruppo: “Perché si deve andare in Olanda a sposarsi”. “Perché qui in Italia non si può”, è la risposta.

All’ovvio e successivo ‘perché?’ del bimbo la risposta non arriva, e questo silenzio rabbuia il clima di gioia che si era percepito fin qui. Del resto non sarebbe semplice spiegare ad un bimbo o ad una bimba perché per sposarti, se sei italiana, o italiano, e omosessuale ti tocca farlo in un altro paese; perché appena varcata una frontiera lo stesso gesto e diritto impossibile a casa tua diventa reale e normale; perché dirsi famiglia è valido a 300 km di distanza da dove vivi tu ma per te in Italia è ancora un diritto da conquistare.

Nel bellissimo “Women – If These Walls Could Talk”, trittico cinematografico del 2000 con attrici del calibro di Vanessa Redgrave, Michelle Williams, Chloë Sevigny, Ellen DeGeneres e Sharon Stone si raccontano le vicende di famiglie e coppie lesbiche che affrontano la difficoltà di amarsi e di vivere; si tratta di difficoltà comuni a tutti gli altri nuclei familiari, ma che per loro si trasformano in dramma, o in quasi insormontabili ostacoli solo perché sono coppie lesbiche.

Niente visite in ospedale se la compagna si ammala, niente eredità dopo una vita in comune, nessun diritto adottivo, niente matrimonio: una cittadinanza di fatto di serie b, soltanto perché l’orientamento sessuale non è quello etero. Possibile che tutto questo sia, di fatto, ancora la condizione che milioni di donne e uomini in Italia vivono oggi?

Questo 2 febbraio sarà ricordato da chi ha a cuore la laicità e il diritto alle pari opportunità come una bella giornata: come nel 2005 in Spagna ora anche in Francia il matrimonio è ‘un accordo tra due persone di sesso diverso o del medesimo sesso’.

Il mese scorso, a distanza di due settimane, Parigi ha visto due imponenti manifestazioni, una contro e una a favore del progetto di legge che reca questo rivoluzionario articolo 1. Così come ormai 8 anni fa il governo Zapatero resse la prova muscolare della destra oltranzista del clero iberico così oggi il governo Hollande ha superato lo scoglio delle proteste della destra fondamentalista d’oltralpe, che si sono opposte in modo forte al matrimonio tra persone dello stesso genere.

Una bella vittoria, che ha come corollario non di secondo piano quella di essere stata annunciata in Parlamento da una ministra che reca la traccia ereditaria dell’era coloniale francese sul volto e nel nome: Christiane Taubira, originaria di una modesta famiglia della Guiana, allevata da una madre single con 5 figli, lei stesse madre separata di altri 4, difficilmente da noi sarebbe diventata Guardasigilli. Donna, immigrata, e femminista: un mix che rende oggi la Francia orgogliosa, attraverso le sue parole in Parlamento, di poter ospitare il progetto di legge sul ‘matrimonio per tutti’.

Buffo, e grottesco, che qui da noi si balbetti ancora di pax e convivenza. Chi chiede di potersi sposare non rivendica, per una volta, nulla: vuole solo poter avere lo stesso diritto di dirsi ‘famiglia’. Una comunità, come si sa, piena di doveri, fatica e oneri più che di onori. E tuttavia, pure nel centro-sinistra, c’è chi frena.

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L’amore ipocrita che nega le unioni gay

MICHELA MARZANO
www.repubblica.it

“Meglio un matrimonio gay che un matrimonio triste”. È questo lo slogan con cui domenica scorsa hanno manifestato a Parigi quasi 400.000 persone. Giocando sul modo in cui, in francese, si pronuncia il termine “gay” (“gai” che significa “allegro”). Nonostante la straordinaria mobilitazione del fronte del no di due settimane fa, la legge sul “matrimonio per tutti” che arriva oggi in Parlamento la vogliono in molti (più del 63% dei francesi). Non solo i militanti o i simpatizzanti del collettivo LGBT (Lesbiche, Gay, Bi e Trans), ma anche numerosi eterosessuali che non riescono proprio a capire come mai, nel paese della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità, ci debbano ancora essere persone “meno uguali” delle altre. Tanto più che i dibattiti degli ultimi mesi hanno permesso di riaprire il capitolo consacrato alla famiglia e di discutere seriamente sul senso del matrimonio, della filiazione e dell’amore.

Perché sposarsi? Perché diventare genitori? Esiste veramente un “diritto ad avere un figlio”? In fondo sono queste le questioni cui, una volta per tutte, si dovrebbe cercare di dare una risposta. Non tanto perché tra breve ci saranno famiglie omosessuali che avranno anche loro il diritto di adottare. Quanto perché, fino ad oggi, non ci si è mai veramente interrogati né sul peso che possono (o meno) avere i legami genetici tra genitori e figli né sull’importanza per i bambini di avere (o meno) accesso alle proprie origini biologiche. Chi si oppone al matrimonio gay e all’adozione da parte delle coppie omosessuali invoca il diritto dei figli ad avere un padre ed una madre, facendo finta di non sapere che già oggi, almeno in Francia, tanti bimbi sono adottati da single. Parla della necessità di non mentire ai figli, senza preoccuparsi del fatto che a molti bambini nati per IAD (inseminazione con dono) i genitori non hanno mai parlato del dono senza il quale non sarebbero nati.
Quanto all’amore, nessuno pretende che sia una giustificazione delle nozze. L’amore, a differenza del matrimonio che è un’istituzione, non si decreta né si controlla. Ecco perché tante persone che si amano non si sposano e tante che si sposano non si amano. Perché negare allora l’accesso al matrimonio a chi, omosessuale o eterosessuale, decide di condividere tutta una serie di diritti e di doveri che, con l’amore, non c’entrano (quasi) niente?