Carceri, l’urgenza del fare

Rosa Ana De Santis
www.altrenotizie.org

La vita nelle carceri, oggetto di numerose denuncie da parte delle associazioni impegnate e al massimo delle interrogazioni di qualche parlamentare, rimane ancora dietro i riflettori delle agguerrite competizioni elettorali. Se ne è parlato nei giorni del digiuno ad oltranza di Marco Pannella e se ne parla in questi giorni per la vicenda Corona, a seguito delle sue parole di timore alla sola idea di trascorrere qualche anno nelle prigioni italiane, tanto da meritare una super puntata in tempo di elezioni del Porta a Porta di Vespa.

Molti i sostenitori delle tre leggi di iniziativa popolare presentate per affrontare i nodi più problematici del sistema penitenziario italiano. Tra i tanti “A buon diritto”, “Antigone”, Arci e numerosi altri. I tre testi sono arrivati in Cassazione e riguardano: l’introduzione del reato di tortura, il problema del sovraffollamento dei detenuti e dei loro diritti e, infine, la modifica della legge che regolamenta la questione delle droghe a firma Fini – Giovanardi, responsabile numero uno di una gestione poco ragionevole ed efficace dei flussi d’ingresso nelle carceri.

Il piano carceri varato dal governo Berlusconi nel giugno del 2010 è stato nei fatti completamente disatteso anche a causa di un progressivo impoverimento dei fondi destinati, anche se la gestione dei detenuti in termini di sole opere edili non risolve alla radice una disfunzione che nasce dalla legge e dalla sua attuazione.

Le proposte vanno dalla rivisitazione della legge Cirielli sulla recidiva, all’attuazione della misura cautelare solo in casi di extrema ratio, fino all’abrogazione del reato di clandestinità tanto per citare alcuni esempi, scempio dell’ultima politica, fino all’investitura di un Garante nazionale per i detenuti.

Il 37% dei detenuti ha violato la legge sulle droghe a firma Giovanardi-Fini ed è soprattutto questa norma ad aver generato un fiume di carcerati non solo aggravando le condizioni delle carceri, ma vanificando quell’aspetto di recupero e di rieducazione che è fondamentale e che va garantito nell’idea di pena prevista dalla legge italiana. Peraltro i “drogati” non sono tutti uguali e oggi la legge è strutturata in modo tale che un fumatore di spinello non ha la chance di non finire in carcere con l’accusa di spaccio per pochi grammi in più, solo grazie al buon senso dei giudici.

L’idea che la detenzione sia uno strumento utile a recuperare i tossicodipendenti mostra clamorosamente nella cronaca tutti i suoi fallimenti. Occorre che torni alla centralità dei servizi sociali la funzione di sostegno e recupero delle persone affette da tossicodipendenza.

Bisogna raggiungere almeno 50 mila firme e l’urgenza di portare avanti una legge in materia nasce anche dal prossimo appuntamento del gennaio 2014 in cui l’Italia dovrà rispondere alla Corte Europea sulla situazione carceraria con numeri che ad oggi disegnano un quadro sconfortante in cui le uniche speranze sono spesso affidate al lavoro delle cooperative sociali.
Sono 66.000 i detenuti in Italia e accedono al lavoro regolare in carcere solo 800.

La recidiva per chi non lavora è del 90 per cento e va da sé che il carcere che rappresenta esso stesso una ferita del Paese per le condizioni in cui vivono i detenuti, non risolve uno dei problemi che la società ha con chi ha infranto la legge dello stato. Le misure alternative relativamente alla diversificazione dei reati servono non soltanto a salvaguardare i diritti umani di chi è in prigione, ma a consentire con concretezza la reintroduzione nel contesto sociale e il recupero di tante vite per le quali il carcere diventa l’unica condanna senza appello.

Non c’ nemmeno più il sapore di vecchie e superate contestazioni di ordine ideologico dal momento che è la polizia penitenziaria in prima fila a definire “disumane” le condizioni delle carceri italiane. Luoghi in cui sembra non esser mai arrivata l’Europa delle convenzioni e dei grandi trattati. Quella che la politica nazionale invoca come un bollino di garanzia senza interrogare sul serio la più antica tradizione dei diritti che all’Europa ha dato l’unica dignità che resta dietro alle algebre della finanza.