La sinistra perde perché è litigiosa

Beppe Pavan (Maschile Plurale – Pinerolo)
lettera inviata a “il manifesto”

E’ un’affermazione che sento quotidianamente ogni volta che comincia una campagna elettorale… Vorrei condividere qualche piccola riflessione a partire dalla cronaca dello scontro tra Vendola e Ingroia e dall’editoriale di Norma Rangeri su Il Manifesto del 31 gennaio.

Comincio dalla parola “sinistra”. Non mi riconosco più in questo linguaggio: sono “i dirigenti” dei partiti di sinistra che sono litigiosi, non “la sinistra”. Come non è “la chiesa cattolica” che è di destra, bensì “i gerarchi” della chiesa cattolica, e neanche tutti per fortuna… C’è un’insipienza recidivante in tanta parte del giornalismo italiano che fa senso: quante volte abbiamo chiesto un linguaggio più attento, consapevoli che il simbolico crea la realtà? Continueremo a insistere, perché in questo sono loro che devono cambiare. Sono passato al plurale perché mi ritrovo ad essere una delle tante persone, donne e uomini, che da anni sono attente al valore e alla forza del simbolico.

Andiamo avanti: la sinistra “perde” perché è litigiosa. Ma anche “vince” deve essere preso in considerazione: perdere e vincere appartengono alla cultura patriarcale della competizione. Non è più nostra, non è più la cultura di tutta la sinistra: certamente non appartiene più alle donne e agli uomini che condividono consapevolmente la convinzione che il patriarcato è morto per chi gli sottrae il proprio consenso e non vuole contribuire a rivitalizzarlo sostenendo questo o quel piccolo patriarca di partito. C’è qualche dirigente della sinistra che pratichi questa consapevolezza?

E veniamo al “litigiosa”. E’ una costante incredibile, scoraggiante… se non fosse che il bisogno di giustizia a questo mondo è così vitale da spingerci ad essere più tenaci nel perseguirla di quanto lo siano i dirigenti della sinistra nel litigare e dividersi e condannare la giustizia nel limbo dei desideri perennemente frustrati. Io spero di avere la possibilità materiale di dare il mio voto a una donna che condivida le mie stesse preoccupazioni; perché donne così porteranno avanti anche questo lavoro di formazione di cui “la sinistra” ha disperato bisogno. Cominciando dal considerare non “cose da donne” il femminismo e i contenuti della sua rivoluzione, il pensiero della differenza e le sue ricadute positive in termini di “trasformazione del maschile”: imparare a partire ognuno da sé, a non dare giudizi su chi pensa e dice cose diverse, ad ascoltare con attenzione e rispetto… Così impariamo a stare nei conflitti senza cercare l’annichilimento dell’altro, ma diventando ognuno una vera risorsa per ciascun altro.

C’è qualcuno, tra chi legge, che condivide questi pensieri? Che crede percorribile la strada della convivialità delle differenze, invece della litigiosità perenne e autolesionista? Qualcuno che apprezzi la distinzione tra “politica prima” (quella delle relazioni e della convivilità) e “politica seconda” (quella della competizione e dello scontro)? Qualcuno che creda praticabile anche nella sfera pubblica della polis quelle regole preziose che rendono belle e convenienti le relazioni intime e amicali tra chi le pratica con consapevolezza e costanza?