Mutilazioni genitali femminili: in Italia le vittime sono decine di migliaia

Licia Falduzzi
www.cronachelaiche.it

Con la legge numero 7 del 9 gennaio 2006, la legislazione italiana ha istituito il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile (Mgf), prevedendo, per chiunque pratichi l’infibulazione, la reclusione da 4 a 12 anni. Pena che viene aumentata di un terzo se la mutilazione viene compiuta su una minorenne, nonché in tutti i casi in cui viene eseguita per fini di lucro. Per i medici scoperti a praticarla è previsto un massimo di 10 anni di cancellazione dall’ordine.

La legge inoltre prevede la promozione di numerose attività di contrasto delle pratiche di Mgf e la predisposizione di campagne d’informazione rivolte agli immigrati dai Paesi in cui tali pratiche sono effettuate allo scopo di diffondere la conoscenza dei diritti fondamentali della persona e il divieto che vige in Italia delle pratiche di mutilazione genitale femminile. Il coordinamento di queste attività è affidato al Dipartimento per le Pari opportunità, preso il quale è stata istituita una Commissione per la prevenzione e il contrasto delle pratiche di Mgf.

Secondo i dati diffusi dall’Oms, riportati in una ricerca condotta nel 2009 dall’Istituto Piepoli e commissionata dal ministero per le Pari opportunità, le donne (incluse bambine e ragazze) che nel mondo hanno subìto una qualche forma di mutilazione genitale sono tra i 100 e i 140 milioni, una stima che tiene conto dei 91,5 milioni di ragazze di età superiore ai nove anni che in Africa (il continente con la maggiore diffusione di questo fenomeno) sono state vittime di questa pratiche. Il tipo di intervento mutilatorio imposto alla popolazione femminile varia a seconda del gruppo etnico di appartenenza: il 90 per cento delle Mgf praticate è di tipo escissorio (con taglio e/o rimozione di parti dell’apparato genitale della donna), mentre un decimo dei casi si riferisce all’azione specifica della infibulazione (cioè il restringimento dell’orifizio vaginale, che può comunque essere associato anche a un’escissione).

Le Mgf sono generalmente praticate su donne molto giovani, in media ragazze che non hanno ancora compiuto i 15 anni. In alcune comunità l’escissione viene praticata su donne più adulte, alla vigilia del matrimonio o all’inizio della prima gravidanza, ma anche su donne che hanno appena partorito. E si tratta di modalità pertinenti alla cultura di appartenenza che, proprio per questo, tendono a rimanere stabili nel tempo e tra le generazioni, con donne che hanno subito le mutilazioni genitali e che, a loro volta, sottopongono le proprie figlie a questa pratica, anche se cresce sempre di più, da parte delle più giovani, la tendenza a sottrarsi alle Mgf.

In Italia, le donne provenienti dai paesi africani a “tradizione escissoria” sono circa 110mila, e le donne di età inferiore ai 17 anni, potenziali vittime attuali o future del fenomeno sono circa mille. Sulle 110mila donne africane soggiornanti in Italia (dati Istat 2008) si può stimare che circa 35mila abbiano subito questa pratica, o prima di venire in Italia o durante il soggiorno nel nostro Paese.
L’attenzione rivolta in Italia al fenomeno delle Mgf è cresciuta via via negli anni grazie anche all’impulso dato dalle Nazioni Unite e dall’Oms e si è concretizzata in un piano di prevenzione della diffusione di queste pratiche di mutilazione anche in considerazione dei rischi sanitari e psicologici per le giovani donne che le subiscono. Va infatti tenuto conto dell’effetto contrario che potrebbero avere le campagne di comunicazione e di denuncia su questo fenomeno che rischiano di provocare, nei soggetti coinvolti, un maggiore attaccamento alla pratica della Mgf, che viene vissuta come un segno di prestigio e di appartenenza alla propria cultura al quale non si vuol rinunciare ed una chiusura da parte delle donne che hanno già subito queste mutilazioni.

Per evitare infatti il rischio di compiere una seconda violenza su queste donne, presentandole e stigmatizzandole come vittime sfortunate di una barbarie e come figlie di una cultura minore, è necessario attivare efficaci canali per l’incontro e la mediazione culturale, formando personale referenziato che sappia interagire con queste donne e comprendere il loro punto di vista in relazione al delicato tema delle mutilazioni genitali femminili. Se, da una prospettiva antropologica, la Mgf rappresenta il superamento di un limite sociale, perché costituisce, per le donne, il diritto di accesso alla comunità ed al proprio ruolo sociale, garantisce, in relazione al matrimonio, l’accettazione da parte dell’uomo e preserva anche la relazione con la parentela, nei casi in cui si è lontani dal proprio paese d’origine; da un punto di vista prettamente sanitario, le mutilazioni genitali hanno conseguenze nella sfera sessuale, rendono impossibili le gravidanze nei casi di infibulazione, comportano vaginiti e infezioni all’apparato genitale-urinario e riducono la salute riproduttiva della donna.
È necessario dunque informare e sensibilizzare sul tema delle Mgf, evitando campagne che stigmatizzino le donne la cui cultura di appartenenza impone loro di praticare le mutilazioni genitali, perché si rischierebbe altrimenti di punire queste donne due volte, una per la mutilazione fisica subita e, due, per essere oggetto di scherno o comunque di discussione.