Non basta essere donna, o gay, o di colore

Anna Paola Peratoner
ReteKM0

• Non basta essere dentro a un corpo sessuato per garantire una visione e uno sguardo alternativo al dominio, al potere e al patriarcato. Non basta essere gay per empatizzare con la differenza e il disagio (il leader del partito olandese xenofobo, ucciso qualche anno fa, era gay); non basta il colore della pelle per stare dalla parte dei deboli (Condoleeza Rice era nera), non basta essere donna per sentire sulla pelle l’urgenza di laicità e uguaglianza (l’on. Binetti, l’on Santanchè sono donne, e mi fermo solo per motivi di spazio).

• Non mi è mai bastato, non mi basta e non mi basterà il generico essere di una donna una mia simile perché io possa affidarle un mandato (non una delega) sui miei interessi e bisogni politici. Deve essere una donna con quale poter fare un patto di condivisione, per il suo mandato, sulle questioni di fondo urgenti che necessitano una svolta: cambiare il paradigma economico, abbandonare la logica dello sviluppo neoliberista, incidere sulla cultura sessista e omofoba facendola diventare una priorità, ricostruire la signoria della laicità nello spazio pubblico garantendolo dalle derive fondamentaliste, ridisegnare il lavoro mettendo al centro la riproduzione.

• Mi fermo qui. Il 50 e 50, ci insegnano le donne dei paesi nordici e alcune esperienze africane, non basta a garantire equità e pari opportunità, perché da sempre nella storia prima del femminismo le donne sono state formidabili alleate del potere patriarcale. Ragioniamo su questo, ricordando, come sosteneva Rosa Luxemburg, che chiamare le cose con il proprio nome è il primo gesto rivoluzionario.

• Il problema è: era questa la soggettività che desideravamo e desideriamo costruire quando criticavamo e critichiamo le strutture patriarcali della società, dei partiti, dei sindacati e dei movimenti sociali tre, quattro decenni orsono? SeNonOraQuando sta partorendo, almeno qui da noi, una lobby elettoralistica. Basta lottare per l’equa rappresentanza senza ragionare sulla qualità di questa rappresentanza?

• Una cosa è certa: non bastano e non sono sufficienti, per dare la misura della diffusione e della sedimentazione della coscienza di genere, né le manifestazioni di piazza, né i centri di studio; quello che penso è che, per la sua originalità e la sua inscindibile qualità di movimento che nasce dall’intreccio fra pratica e teoria (il personale è politico), il femminismo si possa trasmettere se resta viva e vivace la trasmissione che le donne singole e i gruppi sanno alimentare nella relazione con le altre, mettendo al centro, anche nei movimenti misti, il conflitto di genere…

• Come riuscire dunque a costruire insieme e quindi a offrire la possibilità di fare esperienza diretta di una pratica politica che permetta alle giovani donne e ai giovani uomini di ‘imparare’ il femminismo e poi di assumerlo?