Femicidi nel 2012 : fermiamo la strage

Casa delle donne per non subire violenza, Bologna
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Nel 2012 abbiamo rilevato 124 femicidi in Italia, un numero leggermente inferiore a quello degli anni precedenti, che resta però di grande preoccupazione e non segna un miglioramento rispetto al fenomeno, se si tengono altresì presenti i 47 casi di femicidi tentati, ma che fortunatamente non hanno portato alla morte della donna. Il 69% delle donne uccise erano italiane, così come italiani sono il 73% degli assassini.

Il 14 febbraio scorso milioni di donne scendevano nelle piazze di tutto il mondo per affermare, con lo strumento più vivace e liberatorio, quello della danza, che la violenza contro le donne non è più tollerabile, a qualunque latitudine, in qualunque contesto sociale, economico o politico. Nelle stesse ore nel nostro paese, in Sicilia, il corpo di una donna veniva dato alle fiamme dal marito, dopo essere stata investita e uccisa dal medesimo.

A pochi giorni di distanza a Budrio, nella provincia di Bologna, una giovane di 30 anni veniva accoltellata e uccisa dal marito, alla presenza dei suoi due figlioletti. Anche per quest’anno la ricorrenza dell’8 marzo rappresenta per la Casa delle donne per non subire violenza un’occasione di lotta e denuncia della urgenza di politiche e azioni contro la violenza sulle donne e i femicidi.

Come è ormai consuetudine scegliamo questa data per rendere pubblico il lavoro di ricerca sul femicidio in Italia, che da otto anni conduciamo, grazie a un gruppo di volontarie che raccolgono le informazioni sulle donne uccise per mano dei loro partner o ex, a partire dalla stampa nazionale e locale. Abbiamo iniziato a condurre queste indagini sin dal 2005, per colmare il vuoto di conoscenza sul fenomeno dei femicidi esistente nel nostro paese, e ora l’elenco si è allungato fino a 901 donne uccise: una strage di donne!

Abbiamo altresì denunciato il fatto che mass media e opinione pubblica ancora troppo spesso si interessino di questi delitti quando riguardano determinate categorie di popolazione, come le comunità migranti, mentre essi non se ne occupano quando riguardano le “normali” relazioni di genere nella nostra società, ove la violenza è a tal punto radicata da far sì che ogni tre giorni, una donna, a qualsiasi livello sociale e culturale appartenga, viene uccisa per mano del partner o dell’ex.

Nel 2012 abbiamo rilevato 124 femicidi in Italia, un numero leggermente inferiore a quello degli anni precedenti, che resta però di grande preoccupazione e non segna un miglioramento rispetto al fenomeno, se si tengono altresì presenti i 47 casi di femicidi tentati, ma che fortunatamente non hanno portato alla morte della donna.

Il 69% delle donne uccise erano italiane, così come italiani sono il 73% degli assassini.

Il 60% dei delitti è avvenuto nel contesto di una relazione intima tra vittima e autore, in corso o conclusa. Nel 25% dei casi le donne uccise erano in procinto di porre fine alla relazione o l’avevano già fatto.

Nel 63% dei casi il femicidio si è consumato in casa, fosse essa della vittima, dell’autore o di un familiare. Anche nel 2012, come negli anni precedenti, le donne non sono le sole vittime dei femicidi: altre 8 persone, in maggioranza figli della donna o della coppia, pagano con la vita questa estrema forma di violenza di genere. Quindi sono state 132 le persone uccise nei tragici eventi.

La Regione Emilia-Romagna anche per il 2012 è tra le regioni italiane in cui si realizzano il maggior numero di casi, con 15 eventi, preceduta solo da Lombardia e Campania.

In particolare nella nostra regione dal 2006 sono 78 le donne vittime di femicidio, mentre nella provincia di Bologna dal 2009 sono state uccise tre donne all’anno, con un’incidenza pari al 30,5% rispetto alla media regionale.
Le regioni del nord restano quelle in cui i delitti sono più frequenti, il 52% nel 2012, a dimostrazione di come laddove le donne vivono situazioni di maggior autonomia e indipendenza, e quindi sono meno propense ad accettare di subire violenza e disparità di potere nella relazione, esse sono anche maggiormente a rischio di finire vittime della violenza maschile.

Coerente con questo dato è anche quello che emerge dalle motivazioni di questi delitti riportate dalla stampa, poiché la volontà di separarsi, o una separazione in corso, è ascritta come causa del femicidio nel 25% dei casi rilevati.

Un dato interessante che emerge dal rapporto di quest’anno, il solo a segnare una notevole discontinuità rispetto agli anni precedenti, è quello riguardante il numero di casi in cui la stampa riporta l’informazione sulla presenza di precedenti di violenza e maltrattamento contro la vittima effettuati dall’autore.

Ebbene se fino al 2011 in quasi il 90% dei casi riportati dalla cronaca tale tipo di informazione non era reperibile, perché l’articolo non ne faceva cenno, oggi sappiamo direttamente dalla stampa invece che il 40% delle donne uccise nel 2012 aveva subito precedenti violenze da quel partner od ex che poi l’ha uccisa.

E’ un dato che ci ripaga del nostro impegno in questo lavoro di ricerca e controinformazione, perché dimostra che la consapevolezza dei media sul legame profondo tra violenza di genere e femicidio, che abbiamo sempre sostenuto, in questi anni è cresciuta e si è consolidata. Ciò anche grazie ai tanti Centri antiviolenza in prima linea tutti giorni contro la violenza alle donne e al lavoro prezioso di professionisti come Riccardo Iacona che ha dedicato libri, interviste e trasmissioni al tema.

Al tempo stesso questo dato ci dice anche un’altra cosa molto importante, ovvero di come sia assolutamente necessario e urgente fermare la violenza prima che essa giunga all’irreparabile, esso ci permette di affermare con sempre maggiore convinzione che la prevenzione di questi delitti è necessaria e praticabile, e la si può realizzare offrendo una protezione maggiore e più adeguata alle donne che vivono situazioni di violenza.

Per far questo è necessario destinare risorse ai centri antiviolenza, rafforzare le reti di contrasto ad essa tra istituzioni e privato sociale qualificato, effettuare una corretta formazione di operatori sanitari, sociali e del diritto, perché sempre più donne possano sentirsi meno sole, possano superare la paura e divenire consapevoli che sconfiggere e sopravvivere alla violenza è possibile.