Lettera di un protestante al prossimo papa

Daniel Marguerat
www.garriguesetsentiers.org (traduzione: www.finesettimana.org)

Sua Santità,
Lei è stato appena eletto dal santo conclave dei cardinali, e la fumata bianca uscita dalla Cappella
Sistina ha annunciato al mondo: habemus papam. Addossarsi la carica politico-religiosa più pesante
al mondo ispira un infinito rispetto. Permetta ad un protestante di condividere questo rispetto e di
rivolgerle i propri voti, cioè i propri auguri. Infatti la storia mostra che protestanti e cattolici hanno
destini profondamente legati; tornerò su questo punto.

I suoi predecessori sono stati un grande intellettuale (Paolo VI), un fine politico (Giovanni Paolo
II), un teologo guardiano del dogma (Benedetto XVI). Lei che cosa sarà: un pastore? Un
organizzatore? Uno spirituale? Comunque sia, una persona che abbia talenti di aggregatore è
indispensabile ad una Chiesa cattolica tormentata come non mai.

Il gelo dell’ecumenismo ha deluso milioni di fedeli che si erano impegnati in progetti comuni con le
altre Chiese e si trovano oggi respinti da giovani preti rigidi quanto il loro colletto romano. La
teologia della liberazione, che aveva suscitato in America Latina un grande entusiasmo popolare è
oggi esangue; affermare “l’opzione prioritaria di Dio per i poveri” evidentemente non è più
d’attualità, né in Brasile né altrove. Lo scandalo dei preti pedofili ha scosso la fiducia dei fedeli
nell’istituzione, non solo a causa dell’immoralità ma anche perché ha rivelato il persistente silenzio
dei vescovi davanti a delitti che non ignoravano. Quanto alla penuria di preti, non è il caso di
insistere.

Lei mi dirà, Santo Padre, che il quadro non deve essere reso più cupo di quanto non sia, che bisogna
tener conto anche degli impressionanti raduni di folle attirate da Giovanni Paolo II. E che lo scisma
degli integralisti di Écône stava per essere riassorbito. E che la comunità di Taizé, che tanti giovani
attira, ormai fa professione di fede romana. Sarebbe certo ingiusto trascurare queste positività che
giocano a favore dell’identità cattolica.

Ma, appunto, come deve essere affermata oggi l’identità cattolica? Giovanni Paolo II, suo brillante predecessore
a cui lei sarà continuamente paragonato, ha applicato  al mondo intero la visione polacca dell’affermazione religiosa,
cioè il ripiegamento identitario. A  lungo sottoposto all’ostilità comunista, il cattolicesimo polacco
ha vissuto proprio del ripiegarsi sulla sua credenza fondamentale e del marcare le sue frontiere
di fronte a un mondo esterno aggressivo. Di questa strategia faceva parte anche la dimostrazione
di forza costituita dai raduni di folle. Bisogna certamente constatare che questa strategia è stata pagante,
in particolare di fronte a un protestantesimo dal volto incerto e dalla diversità sconcertante.

Serrare le fila ha però un costo, che la Chiesa cattolica paga oggi a caro prezzo, e cioè con i
tormenti che ho prima enumerato, tra i quali la fine degli slanci ecumenici ispirati da Paolo VI. Ora,
per quanto possa parere paradossale, il destino dei protestanti e quello dei cattolici romani sono
indissolubilmente legati. Più ancora: protestantesimo e cattolicesimo hanno bisogno l’uno dell’altro
per esistere. Ne dubita forse? Mi spiego.

Forza e debolezza del protestantesimo e del cattolicesimo sono il rovescio l’una dell’altra. La forza
protestante sta nel rispettare la sua pluralità, ma la sua fragilità genetica è un’incapacità ad
esprimere e mettere in atto la sua unità. La forza del cattolicesimo romano risiede in un sentimento
di appartenenza che lo unifica, ma non sa accogliere la sua diversità interna, che tende a rifiutare.
Protestanti e cattolici hanno quindi molto da imparare gli uni dagli altri, e solo una frequentazione
regolare e rispettosa permette loro un arricchimento reciproco.

Arriverà il giorno in cui tutte le Chiese cristiane riconosceranno di essere insieme eredità di Cristo?
Verrà il giorno in cui si riconosceranno compagne di un movimento religioso chiamato
“cristianesimo”, senza che nessuna ne rivendichi per sé sola tutta la verità? Quando quel giorno sarà
arrivato e si concepirà l’unità del cristianesimo in termini di pluralità e non più di uniformità, allora
l’annuale “settimana di preghiera per l’unità dei cristiani” cesserà di essere un insipido ritornello.
Perché quel giorno la preghiera di Gesù affinché i suoi si riconoscano uniti nella loro diversità sarà
finalmente salita fino al cuore delle gerarchie istituzionali.

Questo ci riconduce alla questione dell’identità. Le sarà chiesto di essere saldo. Ma come dire oggi
l’identità cattolica all’interno del cristianesimo e, più ampiamente, l’identità cristiana all’interno delle
religioni del mondo? Io mi auguro un papa che unisca l’affermazione identitaria forte allo spirito di
apertura. Infatti, manifestare una identità aperta piuttosto che chiusa, un’identità che non esclude
l’altro ma lo rispetta, che manifesta la sua differenza senza negare il valore dell’altro, non significa
forse superare una posizione di paura? Perfino i partiti politici riconoscono, a seconda delle loro
alleanze, di operare insieme per il bene comune…

Bisognerà anche farla finita un giorno con l’idea che i cristiani sono al 100% nella luce mentre i
miliardi di adepti di altre religioni del mondo sarebbero al 100% nell’oscurità. Essere convinti che la
propria religione è nel vero non equivale a negare alle altre credenze ogni accesso, anche se
parziale, al divino.

C’è un’urgenza che la attende, Santo Padre: quella relativa al mondo economico. A partire dalle
recenti crisi finanziarie, nei media imperversa il discorso economico. Valore delle monete, tasso di
disoccupazione e crescita del PIL sono diventati i nuovi mantra. La salvezza passa ormai dalla
salute finanziaria, e i governi si fissano esclusivamente su questo compito.

Di fronte a questa lettura dominante della situazione, il silenzio delle Chiese è assordante. Giovanni
Paolo II ha avuto il merito di protestare contro la disumanizzazione del capitalismo sfrenato e di
fare appello ad una più giusta ripartizione dei profitti. Quelle dichiarazioni sono poco conosciute,
ma occorre che una voce si levi nuovamente per ricordare ai soggetti economici i valori di umanità,
equità e benessere sociale.

La Sua Chiesa, Santo Padre, è stanca di sbattere la testa contro gli stessi problemi: la penuria di
preti, il celibato obbligatorio (fonte di tante devianze…), l’emarginazione delle donne, una morale
sessuale di un’altra epoca… Il papa che restituirà dignità al celibato sarà quello che ne farà per i preti
una libera scelta e non più un obbligo; quello che permetterà al cattolicesimo romano di tornare alla
tradizione cristiana più antica, adottata da tutte le altre Chiese, che consacrano al ministero sia celibi
che sposati.

Questo ritorno alle fonti restituirà di conseguenza alla donna, nella Chiesa, il suo posto e la sua
dignità. Il papa che farà questo passerà nella storia come colui che avrà attinto dalla tradizione gli
impulsi più innovatori.

Sarà lei quel papa? Saprà suscitare una fiducia sufficiente a ridare slancio alla sua istituzione un po’
stanca? È ciò che le auguro di cuore da protestante quale io sono.

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Aspettative protestanti

Luca Maria Negro
www.riforma.it

Che cosa si aspettano i protestanti dal nuovo papa? Di per sé il conclave che sta per aprirsi è un evento interno alla Chiesa cattolica. Tuttavia, se è vero – per riprendere l’espressione dell’enciclica Ut unum sint – che i cristiani non cattolici non vanno più considerati come «fratelli separati» bensì come «fratelli ritrovati», è normale che anche i protestanti esprimano le loro aspettative per il successore di Benedetto XVI, specie per quanto riguarda il cammino ecumenico. Negli scorsi numeri di Riforma abbiamo raccolto alcune reazioni di teologi evangelici alle dimissioni di Ratzinger; in questo numero proponiamo alcune riflessioni in vista del futuro, cominciando con il segretario generale della Comunione di chiese protestanti in Europa (Ccpe), il vescovo luterano austriaco Michael Bünker.

«La nostra speranza – ha dichiarato Bünker – è che le aperture ecumeniche del Concilio Vaticano II vengano realizzate con decisione, e consideriamo la recente consultazione tra Roma e la Ccpe sul tema dell’ecclesiologia (Vienna, 7-10 febbraio) come un segno incoraggiante in questa direzione. Ci aspettiamo che venga sostenuta l’integrazione europea nel contesto della secolarizzazione e del pluralismo religioso, di cui è parte anche l’ecumene cristiana, e che non venga inseguita la nostalgia di un “occidente cristiano”. Nell’interesse di molti, l’apertura della celebrazione eucaristica ai membri di altre chiese sarebbe un segno concreto dell’ecumene. Come capo di una chiesa mondiale, il nuovo papa dovrebbe ricordare all’Europa la sua responsabilità nei confronti della pace e della giustizia».

Anche per il presidente del consiglio della Chiesa evangelica in Germania (Ekd), Nikolaus Schneider, l’augurio è «che il nuovo papa dia un nuovo impulso al cammino ecumenico. Che non freni lo slancio portato 50 anni fa dal Vaticano II, ma che dia oggi una nuova vitalità alle aperture di allora».

Per il presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Svizzera, Gottfried W. Locher, il nuovo papa deve essere anzitutto un «uomo di preghiera»: «un buon pastore cerca la sua autorità solo nella forza dello Spirito Santo. Se il papa è un uomo di preghiera, allora lascerà la sua impronta sulla chiesa, al di là delle frontiere confessionali». Il papa deve anche essere un «buon teologo», fondato biblicamente e capace di attingere «al tesoro di fede di tutte le tradizioni cristiane». Infine, il papa deve essere «amico degli umani», capace di «accompagnarli, incoraggiarli e fortificarli». «Uomo di preghiera, buon teologo, amico degli umani: un papa così avrà la mia fiducia, e confido che mi prenderà sul serio come fratello evangelico nella fede; confido che il suo ministero sarà una benedizione per l’intera cristianità».

Il teologo luterano francese André Birmelé, membro della Commissione Fede e costituzione del Consiglio ecumenico, interpellato dal settimanale Réforme, osserva che nelle dimissioni del papa, oltre all’età, ha giocato l’insuccesso della sua strategia volta al recupero dei tradizionalisti cattolici. Per gestire una chiesa mondiale non ci vuole un teologo, ma un politico, «capace di fare dei compromessi. Spero che il prossimo papa sia in grado di dirigere la sua chiesa e rimettere a posto la curia. Quanto alle relazioni con i protestanti, bisognerebbe che la chiesa cattolica finalmente accettasse che si può essere Chiesa al di fuori del sistema romano».

Venendo ai protestanti italiani, per il teologo valdese Paolo Ricca sono tre le cose che, in un’ottica protestante, ci si può «ragionevolmente aspettare» dal prossimo papa: «La prima è che metta risolutamente al centro del suo insegnamento l’Evangelo, cioè l’annuncio del Regno di Dio vicino e del re di questo Regno, la cui croce è scandalo per i religiosi e pazzia per i laici. Si può sperare che il tesoro della Chiesa, cioè – come diceva Lutero – l’Evangelo della grazia e della gloria di Dio, non venga annacquato nella sapienza millenaria della Chiesa o, peggio, ridotto a etica, per di più naturale. La seconda cosa è che il prossimo papa cominci a tradurre nei fatti quello che promise (e non fece) Giovanni Paolo II con l’enclica Ut unum sint: un nuovo modo di esercizio del primato papale. La terza cosa è che, ricorrendo nel 2017 il 500° anniversario della Riforma protestante, il nuovo papa colga l’occasione per dichiarare che la Riforma fu, per tutta la Chiesa, a cominciare da quella cattolica, una benedizione e non una sventura, e promuova il riconoscimento delle Chiese nate dalla Riforma come «Chiese in senso proprio»».

Il pastore Raffaele Volpe, presidente dell’Unione battista, mette l’accento sulla sfida di ripensare il papato dopo le dimissioni di Ratzinger: «Non vi è alcun dubbio che al prossimo papa sono date le condizioni per mettere mano ad una riforma radicale della sua figura. Dopo un papa dimissionario, chi lo sostituisce è quasi autorizzato a ripensare al suo ruolo accogliendone un naturale indebolimento. Sia nel rafforzamento di una maggiore collegialità all’interno della Chiesa cattolica romana che nell’enfatizzare maggiormente, nel dialogo ecumenico, un primato tra pari dove i pari hanno medesima dignità e sono sul medesimo livello. Sull’infallibilità del papa e sul suo potere giurisdizionale si è arenato l’ecumenismo, da qui e dal nuovo papa si potrebbe ripartire per una svolta epocale. Che bella occasione!».

Minore entusiasmo viene dal moderatore della Tavola valdese, il pastore Eugenio Bernardini, che in un articolo sul numero di marzo del mensile interreligioso Confronti  rileva che il prossimo papa «potrà essere più o meno tradizionalista o «aperto», ma sarà pur sempre un monarca assoluto di preteso diritto divino, scelto da un ristretto gruppo di elettori emerso da un lungo processo di selezione e omologazione, all’apice di un’organizzazione ecclesiastica che non conosce democrazia, parità di genere, trasparenza, controlli e contrappesi nell’esercizio del potere decisionale. Chiunque, in questa situazione, non potrà che apportare cambiamenti contenuti a un’istituzione che nel tempo si è lucidamente organizzata per autoreplicarsi con ammodernamenti minimi». Però, conclude Bernardini, «»lo Spirito soffia dove vuole» (Giovanni 3,8). Se non dall’interno della gerarchia, un cambiamento «riformatore» potrà venire dall’esterno, da quel popolo di credenti – che poi è la vera chiesa – che vive ogni giorno, come tutti, le contraddizioni dell’esistenza umana e di fede. Potrà venire dal confronto ecumenico e dal dialogo interreligioso se ci si parlerà con franchezza e con coraggio, ricercando la fedeltà a Dio invece che alle proprie tradizioni. Potrà venire anche da quella cultura moderna occidentale – con cui papa Ratzinger ha interloquito in modo critico e che papa Wojtila semplicemente avversato – che riconosce il valore della tolleranza e del pluralismo e della fragilità di ogni essere umano e di ogni pensiero umano, e che riconosce quindi il bisogno e la necessità anche dell’altro. Un cambiamento riformatore è necessario perché la chiesa, ogni chiesa, sia capace di costruire solo ponti di comunicazione e non muri di separazione».